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Paolo CAMPIDORI. Villanoviani ed Etruschi sono la stessa cosa? Gli Etruschi non sono più un mistero?

La domanda più insistente che forse tutti ci poniamo riguardo agli Etruschi è la seguente: “Villanoviani ed Etruschi sono la stessa cosa?”.

Bella domanda, vero? Fino a poco tempo fa non erano la stessa cosa. Si era sempre detto che l’Etruria Vetus era ‘confinata’ fra i fiumi Arno e Tevere e la catena degli Appennini.

Verso la metà dell’Ottocento (ma anche prima) alcuni scavi, riportarono ‘fortuitamente’ alla luce del sole, in località Villanova, presso Bologna, un certo numero di tombe, DALLE QUALI VENNERO RECUPERATI E RESTAURATI REPERTI DI GRANDISSIMA IMPORTANZA, COME RASOI LUNATI, SPILLE, FUSERUOLE, SPADE, ELMI, ECC.

Gli archeologi del tempo rimasero sbalorditi per un insieme di fattori. Il primo è dato dalla bellezza di questi reperti, ad esempio i rasoi a forma di luna in bronzo, ai quali venne subito connessa  una valenza simbolica.

Chiaramente, in una tomba con elmo spada e rasoio si riconnetterà la proprietà della stessa ad un uomo, un guerriero.

In una tomba con spille e fuseruole verrà riconosciuta di appartenenza di una donna.

Quindi per quelle popolazioni ‘Villanoviane’ la distinzione fra uomo-donna, maschio-femina, doveva essere di capitale importanza, poiché a questa distinzione si riconnettevano delle posizioni ben precise nella società di allora.
Un altro fattore di sbalordimento era dato dal fatto che le tombe di Villanova non erano tombe ad inumazione come si era abituati a vedere nella zona di Felsina-Bologna (Felsina: nome etrusco – Bologna-Bononia: nome celtico).

La pratica funebre di inumazione consisteva nel deporre il cadavere nella tomba, fino a quando questo non si fosse decomposto interamente nel tempo (Forse, però, l’intenzione degli Etruschi era quello di conservarlo nel tempo, con unguenti, profumi, ecc). Qui, invece, nelle tombe di Villanova, presso Bologna, i corpi dei defunti erano stati bruciati, secondo una procedura meticolosa e le ceneri erano state messe in vasi panciuti di terracotta, dalla forma ovoidale, coperti da una ciotola, sempre in terracotta, oppure da un elmo di guerriero, detti vasi ‘biconici’. Quasi sempre questi vasi erano deposti in pozzetti con pochi oggetti personali del defunto, come abbiamo visto, consistenti in spade, elmi, spille, collane, fuseruole, e soprattutto rasoi e specchi (bronzo), insieme ai ‘servizi’ (i cocci, diremo in Toscana) che erano serviti per il convito funebre.
Gli archeologi dell’epoca rimasero sbalorditi e, coerentemente e razionalmente, non chiamarono queste popolazioni etrusche, poiché in tutto diverse da quest’ultime e si limitarono, diventando luogo comune, a denominare queste popolazioni ‘Villanoviane’ e assegnandole a un periodo fra il IX e il VII sec. a.C.

La cosa però non ci dice assolutamente niente per risolvere il quesito che ci siamo posti.
Un’altra cosa che diede molto da pensare agli archeologi  bolognesi dell’epoca fu il fatto che le tombe con le stesse caratteristiche e cioè a pozzetto, con vasi ‘biconici’ contenenti le ceneri dei defunti, con gli stessi corredi, con le stesse tradizioni cerimoniali funebri furono trovate anche negli strati più profondi delle città ‘etrusche per eccellenza’, come Vulci, Tarquinia, Volterra, ecc. con una sola differenza.

In questi luoghi le tombe furono definite ‘etrusche’ o ‘etrusco-villanoviane’ per indicare che appartenevano alla stessa facies di quelle trovate a Villanova presso Bologna.

A Bologna, invece (l’antica Felsina etrusca), tali reperti furono esposti nel Museo Civico  della città sotto la denominazione di reperti ‘villanoviani’, quasi esistesse per questi ultimi una specie di timore riverenziale verso gli etruschi considerati DOCG.

Io, ho passato più di due anni (prima di tornare alla Soprintendenza Beni Artistici di Firenze), alla Soprintendenza Beni Artistici di Bologna (allora diretta da Gnudi, Maria Vittoria Brugnoli Pace ed infine  Emiliani, dei quali fui segretario inviato dal Ministero Beni Culturali di Roma) nei primi anni del ’70 e, in una delle mie frequenti visite al Museo Civico, vidi la bellezza di questi oggetti, che non erano belli perché erano ‘artistici’, ma erano belli per la loro (scusate il paradosso) elegante rozzezza e, soprattutto, per ciò che rappresentavano, per i colori cangianti che emanavano quelle superfici di rame e di bronzo, degli elmi, delle spade, dei rasoi, ecc., per lo strano gusto, o se vogliamo chiamarlo ‘richiamo’ orientale (ma tutto parlava orientale) di questi oggetti.

Ma la cosa che più mi affascinava erano i rasoi, dalla strana forma ‘a mezzaluna’, una forma insolita, la quale terminava con un manico di metallo e con una specie di stellina.

Una simbologia che rimandava alla luna, alle stelle (e rimandava, di conseguenza, anche alla civiltà dei Sumeri).

Quindi questi oggetti  potevano essere di uso comune, ma anche oggetti di culto, un culto che per noi uomini del III millennio è sconosciuto, o quasi. Anche gli specchi mi affascinavano e le decorazioni degli altri oggetti, tutto parlava di una provenienza arcana, soprattutto orientale.

Mi sono sempre domandato: “Da dove saranno venute queste popolazioni?” E’ stato proprio vedendo questo Museo Civico di Bologna, nei primi anni del 1970 (cioè circa 40 anni fa) che mi sono appassionato alla storia, alla lingua e all’arte degli Etruschi, ‘passione’ (nel senso di piacere) che coltivo tutt’ora.
Ritorniamo agli oggetti esposti nel museo.

Non un solo cartellino indicava (parlo sempre di 40 anni fa) che si trattasse di Etruschi. Gli Etruschi in questa zona erano quasi tabù.

Mi ricordo che si dava importanza solo al fatto che la zona fosse stata conquista celtica (come in effetti lo è stato). Gli archeologi bolognesi che avevano curato l’allestimento del museo erano stati coerenti, almeno per quell’epoca, poiché si diceva (i maggiori esperti etruscologi), con una certa autorità e forse anche un po’ di prepotenza che Etruschi  ‘veri’ erano solo quei popoli antichi che abitavano nel ‘triangolo’ Arno-Tevere-Appennino.

Pertanto i reperti trovati a Villanova, non potevano essere etruschi, ma semplicemente villanoviani.

Tuttavia gli stessi oggetti con le stesse caratteristiche trovati a Vulci, Tarquinia, Volterra, ecc. venivano definiti ‘etruschi’.
Qui è nata la grande confusione, che ha investito anche studiosi di prima grandezza, poiché gli Etruschi del IX-VII secolo risultavano essere completamente diversi dagli Etruschi che siamo abituati a conoscere, quelli che abitavano l’Etruria dal VII sec. a.C. Ma perché erano diversi i Villanoviani dagli Etruschi? Per una infinità di motivi, ma fra queste:
1 – il rituale funebre completamente diverso di ‘villanoviani’ ed etruschi;
2 – l’abbandono, o quali, della simbologia a favore della scrittura etrusca;
3 – il modo di vita, le mode, ecc., ecc.

Nel ragionamento di alcuni dei più grandi studiosi di etruscologia c’era qualcosa che non tornava, tutti avevano la sensazione che gli ‘Etruschi’ (i Villanoviani) del IX-VII secolo fossero diversi, o, ‘altra cosa’ rispetto agli Etruschi del VII sec. a.C.

Ma affermando ciò, andava a discapito della ‘continuità’ che gli storici con insistenza proponevano, specialmente con la teoria della ‘autoctonia’. Questa affermava che gli Etruschi erano nati in quel luogo  e vi erano sempre rimasti.

D’accordo, però questa teoria ‘cozzava’ con il fatto che gli etruschi del IX sec. a.C:  erano troppo diversi dagli Etruschi, ad es. del VII-V sec. a.C. Allora, sono state formulate le teorie più varie che non sto ad elencare perché ho pietà per i lettori.
C’è però un punto che ci può chiarire le idee. Si tratta di questo. Dionisio di Alicarnasso, storico greco, vissuto in Italia nei primi anni antecedenti la venuta di Cristo, raccolse la testimonianza da alcuni di questi abitatori ‘toscani antichi’ (tanto diversi dalle altre popolazioni italiche di allora in fatto di lingua, religione, costumi, ecc.) i quali affermarono che la loro ‘stirpe’ si sarebbe chiamata ‘Rasenia o Rasenna’.

Ora bisogna vedere ciò che intendiamo con la parola ‘stirpe’.  Questa parola deriva da “stirps-is” che vuol dire ‘radice’. Ma ha anche altri significati simili come ‘schiatta’, ‘progenie’, ‘RAZZA’, ecc.

Mi soffermo su quest’ultima parola. ‘Razza’ potrebbe essere anche una parola di origine etrusca “Raza” (con una solo enne e si pronuncia “rasa”). Potrebbe darsi che fra ‘Raza’ (pron. ‘rasa’) e ‘Razenna (pron. ‘rasenna’) ci possa essere una connessione. E’ probabile che questi individui ‘toscani antichi’, “di raza”, (rasenna) abbiano detto a Dionigio (o Dionisio): “Guarda amico noi siamo di quella “raza” (origine, progenie, schiatta) e poi, a questa parola, ABBIANO FATTO SEGUIRE il nome “Rasenna”, che ancestralmente potrebbe aver avuto anche il significato di “UOMINI RASATI” o “GUERRIERI RASATI”, O ANCHE ALTRI SIGNIFICATI.
Proprio ieri, il Prof. Massimo Pittau, insigne glottologo e storico linguistico, nonché professore universitario e Rettore di Università, autore di più di trenta volumi e studi specialistici, autore del primo Dizionario, stampato, della Lingua Etrusca, mi ha confermato, a seguito del mio articolo “Rasenna – Finalmente risolto l’enigma della parola etrusca, ecc”, pubblicato da diverse testate internet e anche dal Galletto, Giornale del Mugello, la possibilità che questo accostamento: “Rasenna” con “Uomo Rasato” sia “plausibile”, ovvero sia azzeccato, ed ha spiegato il perché (Lettera che accludo, come doveroso corredo, al presente articolo).
Da parte mia vorrei esprimere un giudizio sui ‘villanoviani’, lo faccio per la prima volta (in assoluto) in questa occasione.

I Villanoviani (intendendo questo antico popolo abitatore soprattutto della Toscana e dell’Emilia Romagna) era un popolo NOMADE (II millennio a.C.) proveniente dall’Africa del Nord o dalle zone prossime all’Arabia attuale.

Ne sarebbe la prova, i RASOI, A FORMA DI MEZZALUNA, ANTICO SIMBOLO DELL’ISLAM. MI SEMBREREBE CHE LA STIRPE DI QUESTI POPOLI SIA STATA IMPARENTATA (MOLTO ALLA LONTANA) CON I POPOLI DI ETNIA EBRAICA. E non finisce qui….
Infine, mi piace ricordare una cosa.

Tempo fa ebbi modo di ritornare in un paesino della Romagna-Toscana (patria dei miei genitori ed avi), precisamente Coniale, che fu anticamente castello degli Ubaldini.

Nella Cappellina, ora facente parte della Villa Vivoli, che si trova all’interno di quelle che erano le mura del castello, mi capitò di vedere e fotografare alcune cose: una stampa fine Ottocento con il ritratto di Papa Pio IX (legato al dogma della Immacolata Concezione) e un dipinto (stesso periodo) raffigurante una Madonna con il Bambino Gesù, e, sotto i piedi (della Madonna),  una bella falce di luna messa in orizzontale che occupava tutta la parte inferiore del quadro. Dapprima non ci feci caso. Poi ripensandoci…..

Da quelle parti, Valle del Santerno, Valle del Reno, Valle del Setta, dell’Idice la battaglia dei Cristiani contro i pagani, verso la fine del sec. IV, assunse toni drammatici. In modo particolare nel 393 d.C. ci fu un assalto dei cristiani guidati dai soldati dell’Imperatore a danno delle popolazioni ‘pagane’ e del Santuario alla Dea Pale che si trovava su Montovolo.

Pale era la dea protettrice dei pastori e delle greggi (Pale, deriva da pallido, incolore, come il pallore della luna e come il ‘paleo’ secco dei prati che diventa pallido, senza colore, quando sopraggiunge la stagione fredda. La dea Pale, raffigurava la Luna). Dopo questo episodio cruento  calò il silenzio e tutto fu avvolto nelle tenebre. Ma con il senno di poi ci possiamo domandare: “Chi erano questi ‘pagani’ se non gli Etruschi romanizzati o celtizzati? E tuttavia sempre etruschi erano ed avevano mantenuto, nonostante tutto, la loro religione, i loro costumi, e, forse anche la loro lingua originaria.
Mi sembra che tutto ruoti intorno a questo simbolo: LA LUNA.
E SE “RASENNA” VOLESSE DIRE  “LUNA”?
La teoria mi sembra affascinante.
Tutto può essere, ma tutto ciò dovrà essere dimostrato e la cosa non è facile.

©COPYRIGHT: PAOLO CAMPIDORI
WEB-SITE: www.paolocampidori.com


Autore: Paolo Campidori
Cronologia: Arch. Italica

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