Il libro in questione è “Paesi Etruschi” (Etruscan Places), che fu edito a Londra, per la prima volta, nel 1932. Il libro fu stampato in lingua italiana solo nel 1985, con la presentazione di uno dei massimi studiosi di archeologia del tempo, Massimo Pallottino, Ordinario di Etruscologia e Antichità Italiche all’Università di Roma. Tralascio la presentazione di Pallottino, suppur essa sia molto interesante. Posso accennare soltanto che lo studioso italiano, non gradiva molto certi giudizi del Lawrence e in particolare non condivideva la prosa e la poesia del Lawrence. Soprattutto lo studioso dai ‘lombi nobili’ (1) non gradiva affatto certe affermazioni che tendevano ad esaltare gli Etruschi e, invece, ‘ridimensionavano’ in parte la ‘grandeur’ dei Romani. I Romani vengono definiti dal Lawrence “questi Prussiani dell’antichità” e li incolpa “di aver calpestato, con tacco di ferro, l’antico fiore splendido dell’Etruria”.
E’ significativo riportare alcune righe dello scritore inglese che sono un sintomatico riferimento ai Romani:


Lo scrittore riconosce con onestà: “Da parte mia era una frecciata maliziosa, perché l’attuale regime si considera l’erede autentico della Roma antica”. Notate quanto può pesare anche il giudizio politico di uno straniero sul modo di vedere e pensare la politica comparandola con la storia antica.
“Gli Etruschi – continua il Lawrence – sono stati senz’altro i meno romani di tutti i popoli mai vissuti in Italia, proprio come i Romani dell’antica Roma, sono stati certo i meno italiani, almeno a giudicare dagli italiani di oggi”. Sentenze lapidarie, circostanziate, e ci chiediamo cosa direbbe oggi lo stesso Autore nel sentire alcuni versi del nostro inno nazionale, riferito all’Italia: “…che schiava di Roma Iddio la creò”?
Lo scrittore-archeologo, “dilettante”, ci stupisce quando parla della necropoli di Tarquinia (a quei tempi ancora non localizzata nella sua interezza): “E si capisce subito che, se il colle da cui guardiamo è quello dove i tarquinesi vivi costruivano le loro gaie casette di legno, allora quall’altra sarà la collina dove i morti erano sepolti nelle loro case dipinte nel sottosuolo, come vive sementi”.

Dunque i musei sono sempre un errore? La questione è molto dibattuta.
La convinzione dell’Autore del libro viene ribadita in questo concetto: “Gli etruschi non furono distrutti, ma furono spogliati della loro essenza…Il sapere degli etruschi divenne mera superstizione, e in princìpi etruschi diventarono grassi e inerti romani”.
Come Ruskin, il Lawrence crede l’arte italiana e i grandi artisti come Giotto, abbiamo ereditato proprio dagli Etruschi questo sapere (3). Giotto e i primi scultori non furono altro che il “rifiorire di questo stesso sangue, che riesce sempre a far sbocciare un fiore”.
Dopo Vulci lo scrittore visita Volterra ed è curioso notare come “delle sfacciate ragazzotte ci salutano ‘romanamente’, per pura insolenza: un saluto con cui non ho niente da spartire, e che perciò non ricambio. La politica è sempre un flagello e in una città etrusca che si è difesa contro Roma tanto a lungo trovo il saluto romano particolarmente sconveniente, e poco appropriato il ricordo dell’imperium di Roma”.
A Volterra guardando le urne volterrane lo scrittore-archeologo si chiede: “Ma cos’è l’arte? “Arte è tuttora per noi qualcosa di ben cucinato, come un bel piatto di spaghetti”.
E sulle urne volterrane: “Quanto provo più piacere guardando queste urne volterrane che – sto quasi per dire – il fregio del Partenone. Uno si stufa della qualità estetica – una qualità che smussa gli angoli delle cose e ce le fa sembrare ‘stracotte’”.
Poi, riguardo a Volterra, dice: “Gli abitanti di Volterra, Velathri, non erano di origine orientale, non appartenevano allo stesso popolo che vediamo manifestarsi con maggiore evidenza a Tarquinia. Sicuramente qui c’era una tribù più selvaggia e più acerba ….”.
Lawrence inveisce poi con le tombe ricostruite fuori del luogo, come la tomba Inghirami a Firenze. “Perché, perché mai una tomba non è stata lasciata intatta come fu trovata, dove fu trovata?”….”Quello che vogliamo è un contatto autentico”….”Se cercate di produrre un grande amalgama di Cerveteri, Tarquinia, di Vulci ……non otterrete mai come risultato una qualche essenza veramente etrusca, ma un pasticcio stracotto che non ha più alcun significato vitale….”
Scrive di lui l’amico e biografo Richard Aldington: “Lawrence era convinto che l’arte etrusca ha una qualità particolare, ben diversa da quella dell’arte greca e romana, e ciò che trovò e gli piacque tanto nei paesi etruschi era l’intensa vita ‘fisica’ ormai quasi persa nel nostro mondo. Gli etruschi non possedevamo molto ‘senso estetico’, l’amore greco per la perfezione, l’armonia e la grazia ma raffigurano la vita dei vivi, con vero calore e vera tenerezza”
Conclude il Pallottino nella presentazione al libro di Lawrence: “Chi scriverà un giorno quella storia dell’arte che non è stata ancora mai scritta non potrà non tener conto di qureste notazioni che, di là dalle parole brillanti e paradossali, contengono una assai maggiore validità critica, una assai più stimolante fecondità di molti grossi tomi pubblicati da archeologi di chiara fama”.
E se lo dice il Pallottino……!
Note:
(1) E’ una espressione del liguista Giovanni Semerano per indicare i “padreterni” dell’etruscologia, i celebri capi-scuola, intoccabili, inattaccabili, ecc. ecc. Uno di questi era Massimo Pallottino fondatore di una scuola di Etruscologia, che tuttora porta avanti gli insegnamenti del maestro. Io, tuttavia stimo molto questo grande etruscologo.
(2) L’asfodelo era un fiore maleodorante considerato dagli etruschi come il fiore dei morti. Un po’ quello che sarebbe per noi italiani di oggi il grisantemo.
(3) “Vi prego di credermi sulla parola se vi dico che Giotto era un autentico etrusco-greco del XIII sec. benché convertino alla religione di San Francesco piuttosto che a quella di Ercole, ma, quanto a dipingere, era proprio il vecchio etrusco di sempre…” (John Ruskin 1819-1900 Mornings in Florence Orpington, 1881)
Bibliografia: D. H. Lawrence – Paesi Etruschi – Nuova Immagine Editrice, Siena IV ed. 1997 (versione originale “Etruscan Places”, Martin Secker, London, 1932)
Autore: Paolo Campidori – paolo.campidori@tin.it – www.paolocampidori.eu