II Castello di Milazzo (1) trova sede sulla parte più elevata della città omonima, il Promontorio, in cui il terreno roccioso ha evitato lo sfacelo che avrebbero potuto causare i disastrosi terremoti che hanno colpito la regione. La più interessante e stimolante problematica offerta dall’edificio del Castello, riguarda la sua prima fondazione. Secondo autorevoli studiosi (2) il nucleo principale del Castello, costituito dal Mastio, sarebbe stato edificato nel periodo svevo e in particolare durante il momento più intenso dell’attività architettonica di Federico II; il suo organismo doveva essere già completato sulla fine del 1239.
La tesi di Agnello (3) sarebbe supportata da un documento che riporta una missiva di Federico II in cui egli stesso si congratula con il suo Ministro, Riccardo da Lentìni per il lavoro svolto con le seguenti parole: “…Super opere wivarij constructi in aqiia Sancii cosme, castrorum Nostrorum Syracusìe, .Calatnageronis et Milacii diligentiam tuam et studium commendamus…” (4). Secondo Agnello, pertanto, sarebbe necessario ammettere che nell’organismo generale il Castello fosse stato condotto a termine dagli Svevi. L’elemento, però, che sembra stonare all’interno di questa supposta costruzione sveva, è la Torre Saracena, così denominata dalla tradizione popolare e, altresì, definita con il termine di Maschio. Secondo il Ryolo (5) quest’opera dovrebbe essere datata come originariamente e totalmente di costruzione araba; il nucleo principale del Castello sarebbe stato, così, edificato tra il 976 e il 1030 ad opera degli Arabi, nel luogo in cui, .probabilmente, sorgevano le fondamenta greche dell’antico Castello, espugnato da Gerone II nel III secolo a. C.
A sostegno della sua tesi, Ryolo propone i dati scaturiti da una analisi particolareggiata del Maschio. Questa torre quadrata presenta spigoli eseguiti accuratamente con piccoli blocchi di pietra lavica; la sua altezza è di quattordici metri e quaranta centimetri e misura dieci metri in lunghezza e dieci metri in larghezza, con uno spessore di mura di un metro e ottanta nove centimetri.
Ryolo, inoltre, pone in evidenza una caratteristica inconfondibile dei monumenti arabi e, cioè, la durezza della malta (6) che, pertanto, può essere considerata come elemento datante.
I monumenti pre-normanni presentano, infatti, delle malte tenacissime eseguite probabilmente con impiego di pozzolane anche durante il periodo arabo.
Le murature arabe erano verosimilmente realizzate da maestranze provette e sono definite murature listate; tale tecnica muraria, che presenta una fondazione in pietrame con listatura in laterizi, è definita a “saracinesca”(7) ed è impiegata in edifici sia civili, sia in castelli o torri.
Un altro elemento caratteristico della tecnica edilizia araba è l’uso della pietra da taglio proveniente, talvolta, anche da cave lontane. Nel nostro caso, per la costruzione del Maschio gli Arabi hanno impiegato pietra lavica in conci perfettamente squadrati.
Elemento caratterizzante nella tecnica edilizia araba è l’introduzione della scarpata nella parte più bassa della torre, probabilmente allo scopo di logorare la difesa piombante. La scarpata è presente attorno alla torre saracena del Castello di Milazzo e misura in altezza nove metri e dieci centimetri dal lato orientale.
Ryolo sottolinea l’assoluta originalità della scarpata araba che presenta un angolo d’inclinazione che si aggira tra i quarantacinque e i cinquanta gradi, mentre nelle costruzioni cinquecentesche era di ottanta gradi.
La tesi del Ryolo, supportata da validi dati storici e tecnici, sembrerebbe verosimile, ma come spiegare l’esistenza della Torre Saracena inglobata in una costruzione sveva? Ryolo fornisce una soluzione al problema, retrodatando la costruzione del Mastio del Castello di Milazzo all’XI secolo, inserendolo, così, nel periodo arabo, come la Torre Saracena.. Osservando, però, come ci suggerisce Agnello (8), la struttura del Mastio, notiamo che essa non si discosta da altre opere coeve d’età federiciana. L’accidentata topografia su cui sorge il Castello non ha permesso però la realizzazione della regolarità di schema e della simmetria caratteristica che contrassegnano la pianta dei “novorum aedificiorum” di epoca sveva, riscontrabile nel perfetto rilievo quadrato dei Castelli di Siracusa, Catania, Augusta e Prato. E’ scaturito, così, un organismo che si pone tra il castello classico di tipo svevo e il castrum o cittadella fortificata.
L’elemento fondamentale che ci riporta allo schema classico è dato dall’impostazione delle torri: l’ampiezza dei lati maggiori è stata rafforzata con l’ introduzione di torri mediane, le quali sono state estese per ragioni estetiche anche ai lati minori. Le torri angolari hanno la stessa struttura quadrata, lo stesso spessore e le stesse proporzioni.
Le torri, secondo la tecnica federiciana, sono aggettanti rispetto al muro di cinta e la loro struttura muraria ci appare, attualmente, notevolmente compromessa.
Questo risulta essere l’unico elemento concreto di distinzione tra le torri, appartenenti senza dubbio ad una costruzione di età federiciana, e la Torre Saracena. Il Maschio spicca sulle altre torri, non solo perché inglobato all’interno del muro di cinta, ma perché la sua struttura muraria appare decisamente più massiccia e più accurata. La sua mole è sottolineata da una scarpata che esula dal contesto murario in cui è inserita e, così pure, lo spessore del muro appare notevolmente maggiore rispetto alle altre torri, anche quelle angolari. La sua solidità è giustificata da una altezza eccezionale, se paragonata alle altre e al resto dell’edificio; sembra, infatti, che essa sia stata decapitata e di ciò ne restano evidenti tracce.
Ulteriore elemento di distinzione è fornito dalla diversa tecnica muraria e, di conseguenza, dal suo inspiegabile migliore stato di conservazione: sembra, infatti, che la pomice lavica sia stata applicata con maggiore dovizia, facendo Idei cantonali una salda massa compatta che chiude gli spigoli taglienti.
La teoria di Agnello, secondo cui anche la Torre Saracena sarebbe ascrivibile nel novero degli edifici di costruzione federiciana tanto quanto il Mastio appare, così, piuttosto fragile per i motivi sopra espressi. Si potrebbe diversamente ipotizzare che la Torre Saracena fosse preesistente al Mastio e che fosse stata inglobata in esso durante la costruzione di quest’ultimo; inoltre, sarebbe verosimile pensare che le maestranze federiciane abbiano provato ad imitare la tecnica edilizia araba, presente nella Torre Saracena, nella realizzazione dello stesso Mastio, non eguagliando, però, gli alti livelli costruttivi raggiunti dalla tecnica edilizia araba.
Numerose sono state le modifiche apportate alla struttura originaria del Castello durante il corso delle varie epoche; le trasformazioni, però, non si limitano ad integrazioni di carattere militare in seguito al perfezionamento dei mezzi bellici: spesso, soprattutto in epoche relativamente recenti, si tratta di modifiche irreversibili e di alterazioni evidenti che non ci permettono di risalire alle strutture originarie interne del Castello.
Fino a pochi decenni fa, il Castello era stato adibito a carcere giudiziario, con la conseguente manomissione delle strutture, il riadattamento delle stanze a celle e il forte degrado dal punto di vista artistico (tavola LXII). Ricordiamo, infatti, che le più evidenti manomissioni sono state a discapito della struttura delle torri, nelle quali sono state ricavate celle d’isolamento, celle di rigore, camere mortuarie e serbatoi per l’acqua. L’architettura dell’interno ne risulta, pertanto, notevolmente compromessa; solo l’ampiezza dei muri ci permette di individuare, attraverso la loro struttura, l’originalità nonché l’antichità stessa delle sale.
Dobbiamo soffermarci, a questo proposito, nella descrizione della sala definita del camino, localizzata all’interno del Mastio e, sicuramente, di età federiciana. Dopo un breve cortile, in cui è sita la scala di accesso alla torre, si giunge, attraverso una porta originaria e apparentemente non manomessa, ad un vasto ambiente i cui elementi architettonici sono riconducibili all’epoca sveva. Non sono difatti presenti le consuete volte a crociera, ma cinque campate formanti due ambienti per la divisione di una parete sulla quale è allogata una decorazione sostenuta da consolette cuspidate, la quale contribuisce anche all’ornamento del camino. Per un breve periodo sembra che sia stato inserito un soffitto ligneo, che, purtroppo, interrompeva in due piani lo slancio delle campate, ma fortunatamente, attualmente sembra che esso sia stato eliminato, ridonando, così, splendore alla perfetta architettura federiciana..
I pilastri quadrati sono decorati con modanature semplicissime; gli archi presentano un contorno ben definito dall’applicazione dei conci lavici, la cui accuratezza della disposizione ne ha assicurata la validità statica. Gli spigoli sono stati smussati, conferendone un aspetto rigoroso e fornendo, allo stesso tempo, elementi decorativi. Sui lati opposti delle campate si trovano delle finestre, alcune delle quali, oggi, sono chiuse o mal ridotte; addossato al muro della stessa campata troviamo i resti di un grandioso camino; la sua ubicazione doveva conferire una nota di equilibrio all’ambiente, prima della odierna suddivisione. Dal suo organismo di notevoli dimensioni, si elevano due mensoloni monolitici (due metri e trenta centimetri di lunghezza) che, probabilmente, dovevano accogliere la cappa. I mensoloni erano sostenuti da piccole mensole decorate a motivi floreali a grappa, caratteristici dell’arte federiciana.
Ulteriore elemento a favore dell’attribuzione del Mastio all’epoca sveva, è l’ubicazione delle porte di accesso che segue un preciso disegno strategico: nelle costruzioni federiciane il collegamento con l’esterno è garantito dalla presenza di due porte situate sugli opposti lati minori dell’edificio. L’una rappresenta l’entrata comune, mentre l’altra l’uscita di sicurezza in caso di emergenza nelle estreme necessità di difesa. La prima presenta una architettura semplicissima (pomice lavica compatta e pietra lavica) ed è ubicata sul lato nord-est.La porta di sicurezza trova luogo nel lato sud-ovest; essa è attualmente chiusa, ma le stesse caratteristiche della principale sono rilevabili attraverso gli intonaci, per la presenza di conci di pomice lavica compatta.
Dicevamo che numerose sono le modificazioni subite dal Castello nei corso dei secoli: non è da escludere che alcune di esse siano state suggerite e attuate dagli ingegneri di Carlo d’Angiò e, poi, da quelli aragonesi. Il Castello è andato soggetto a progressive trasformazioni, dovute, principalmente, al perfezionamento dei mezzi bellici, come l’introduzione delle artiglierie. Mano a mano che il raggio di tiro si allargava, si spostava anche la linea di difesa e, di conseguenza, la costruzione sveva non poteva più essere sufficiente a sostenere il martellamento dei mezzi di offesa.
II Mastio svevo viene cosi circondato, in epoca quattrocentesca, da una recinzione muraria lambente, nei lati sud-ovest e nord-ovest, il ciglione del monte a ridosso della scarpata. Ai lati opposti la cortina è rafforzata mediante l’interposizione di cinque torrioni semicilindrici nei quali appaiono, qua e là, i tagli di cannoniere .
Un’ unica porta attraversa la cinta muraria ed è difesa da due torrioni accostati; essa presenta ancora forme gotiche. Al centro dell’archivolto campeggia lo stemma aragonese, chiuso dentro una robusta cornice a losanga .
Con il perfezionamento tecnico delle artiglierie, furono necessari nuovi e più complessi mezzi di difesa, in quanto tutta la città murata aveva bisogno di essere protetta in maniera più valida. Il punto più vulnerabile era localizzato lungo il lato maggiore del triangolo creato dalla cortina muraria; gli architetti militari secenteschi escogitarono allora un formidabile congegno di difesa chiudendo tutta la scarpata con un muro di sbarramento attrezzato con bastioni, rivellini, cannoniere e piombatoi.
In seguito alla creazione di questa ulteriore cinta muraria notevolmente più valida da un punto di vista difensivo, l’importanza strategica del Mastio svevo andò gradualmente attenuandosi, fino ad assumere, negli ultimi secoli, il modesto ruolo di caserma.
All’interno della cittadella milazzese erano ubicati numerosi edifici, di alcuni dei quali non abbiamo più traccia, mentre dobbiamo assistere allo sfacelo inesorabile di altri. Oltre al Palazzo dei Giurati , in stile gotico, attualmente esistente, anche se in pessime condizioni, ci è giunta notizia dalla memoria popolare, di un Palazzo del Comune e delle Finanze, di molte chiese, tra le quali due di rito, verosimilmente bizantino, cioè Santa Maria dei Greci e San Dernetrio.
L’edificio che però desta maggiore attenzione è il Duomo vecchio; questo superbo tempio fu consacrato nel 1616, dopo otto anni di lavoro e fu eretto in sostituzione di quello abbattuto nel 1580 per la costruzione della cinta muraria.
Fu ideato dall’architetto Camillo Gamilliani, fiorentino, che in qualità d’ingegnere regio, aveva diretto la costruzione della cinta muraria del Castello e il rifacimento di altre fortificazioni. I lavori di abbellimento del Duomo durarono per circa un secolo, a causa degli intoppi militari e delle lungaggini burocratiche. Esso fu, quindi, definitivamente ultimato nel 1729.
La pianta del Duomo è a croce greca inscritta in un nucleo quadrato e presenta un’unica grande cupola centrale: per questi elementi architettonici possiamo inserire l’edificio nello stile tipico cinquecentesco, particolarmente raro in Sicilia, la cui maggiore esemplificazione si ha nella Basilica di San Pietro.
Non ci soffermeremo in una descrizione particolareggiata del Duomodobbiamo però sottolineare il degrado in cui versa questo splendido edificio sacro, adibito nel corso degli anni a varie funzioni lontane da quella originale di luogo di culto. Nulla sopravvive degli splendidi marmi e dei quadri dei quali resta solo quello della Natività.
Bibliografia
AGNELLO G., Il Castello svevo di Milazzo, in “Rivista dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte”, Roma 1955, vol. XIII.
AA.VV., Castelli italiani,I.B.I., 1979.
BELTRANDI A.D., Castelli di Sicilia, Milano 1956.
CARCANI, Costituziones Regnum Regni utriusque Siciliae, Neapoli 1780.
MAURICI F., Castelli medievali in Sicilia, Palermo 1992.
RYOLO D., Sopravvivenze arabe in provincia di Messina, in “Palladio” 1968.
Note:
(1)– Milazzo, località in provincia di Messina, lungo la linea autostradale Messina-Palermo.
(2)- AA.VV.1979,p.180; MAURICI 1992, p.319; AGNELLO 1955,pp.209-241; BELTRANDI 1956, p. 39.
(3)- AGNELLO 1955, p.213.
(4)- CARCANI 1780, p.270.
(5)- RYOLO 1968, p.38.
(6)- Ibidem, p.31.
(7)- Ibidem, p.33.
(8)- AGNELLO 1955, p.215.
Autore: Paola Sfameni
Cronologia: Arch. Medievale