Oggi appare come un miraggio, una distesa di rovine monumentali nel deserto, ma durante l’Impero Romano Palmira fu una delle metropoli commerciali più vive, come testimoniano le fonti storiche e archeologiche. Tappa obbligata lungo le rotte carovaniere che collegavano l’Oriente all’Impero Romano, Palmira è “sempre stata vista come un’oasi nel deserto, ma non è mai stato chiaro come potesse prosperare”, spiega Michal Gawlikowski, il direttore – ora in pensione – della missione polacca dell’Università di Varsavia a Palmira.
E che oasi: tra le rovine vi sono ancora i viali fiancheggiati dai colonnati, gli archi trionfali e i resti dell’antico mercato dove i commercianti contrattavano le preziose merci provenienti dall’India e dalla Cina: seta, argento, spezie e coloranti.
Per scoprire cosa rese possibile tutto questo, l’archeologo Jørgen Christian Meyer nel 2008 ha iniziato a rilevare l’area montuosa a nord di Palmira. I terreni su cui si è concentrata la ricerca di Meyer, più di 100 chilometri quadrati, erano destinati infatti a incanalare l’acqua piovana verso la pianure, rendendo così possibile l’agricoltura.
Grazie a dei sondaggi sul campo e allo studio dellle immagini satellitari, gli archeologi hanno individuato i resti di più di 20 villaggi raggiungibili da Palmira in pochi giorni di cammino, che si aggiungono ai 15 insediamenti precedentemente scoperti da un altro gruppo di ricercatori nella zona ad ovest della grande metropoli antica. Gli archeologi hanno anche trovato le tracce di una vasta rete di serbatoi e canali artificiali che raccoglievano e convogliavano l’acqua in occasione degli improvvisi temporali stagionali.
Il paesaggio intorno alla città era quindi caratterizzato da colture – tuttora diffuse in Siria – di olivi, fichi e pistacchi come testimoniano i resoconti romani. Veniva coltivato anche l’orzo, come dimostrano le analisi polliniche condotte su un mattone di fango proveniente dalle aree rilevate da Meyer.
Natura o ingegno umano?
Si potrebbe essere tentati di attribuire le alterne fortune agricole di Palmira ai cambiamenti climatici, ma secondo Meyer la risposta va ricercata nell’ingegno umano.
“C’è stata una discussione molto forte sui cambiamenti climatici nell’antichità e alcuni ricercatori si affidano a questa spiegazione per quasi tutto; ma oggi c’è un accordo abbastanza condiviso sul fatto che il clima non sia mutato così radicalmente negli ultimi duemila anni”. Anche se la zona a nord di Palmira è una steppa desertica, Meyer ha aggiunto che potrebbe avere “un enorme potenziale per l’agricoltura se si investissero tempo ed energia nel controllo delle risorse”.
I suoi antichi abitanti riuscivano a catturare e canalizzare dai 12 ai 15 centimetri di pioggia ogni anno. Le testimonianze archeologiche indicano che questo sistema durò fino a circa il 700 d.C., periodo in cui iniziò il declino della città.
Paradiso fiscale
Sembra che i risultati degli studi di Meyer stiano già cambiando il modo in cui gli studiosi vedono Palmira.
“Vicino a Palmira c’erano delle fattorie che coltivavano grano e altri cereali”, ha detto Gawlikowski. “Ormai è chiaro che rifornivano la città”. Questa ricerca consente anche di comprendere l’importanza e il ruolo che ebbe la città in passato: un vero e proprio hub commerciale nonostante la sua particolare posizione geografica.
Dopo aver attraversato l’Asia, navigato nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico, le merci che dovevano raggiungere l’Europa venivano trasportate in parte lungo il fiume Eufrate fino alla Siria e da qui, passando per Palmira, raggiungevano sulle carovane i porti del Mediterrano. Altri percorsi più a nord, dove si trova oggi la Turchia, per esempio, o a sud lungo il Mar Rosso e il Nilo, sarebbero stati però più veloci e diretti. Perché attraversare il deserto a dorso di cammello?
La risposta, ha detto Meyer, ha a che fare con il profitto e con le aziende agricole appena scoperte. Duemila anni fa Palmira si trovava in una regione inserita tra l’Impero Romano a ovest e gli imperi dei Parti e dei Persiani a est, e tutta una serie di piccoli regni – ognuno dei quali esigeva un pedaggio – che sorgevano lungo il corso dell’Eufrate.
Palmira offriva quindi ai carovanieri una via alternativa, resa possibile proprio da tutti quei campi coltivati, ha detto Meyer. Secondo la sua teoria, gli agricoltori locali permettevano ai pastori nomadi che conducevano le loro carovane di cammelli verso questa città di pascolare sui loro terreni dopo il raccolto. Il pascolo, ha aggiunto Meyer, offriva anche un beneficio collaterale, aiutando a concimare i campi. “I nomadi arrivavano con le loro mandrie, lasciavano un regalino…e in cambio ottenevano l’acqua”.
Perdite di guerra
Forse i resti polverosi dei serbatoi per l’acqua non saranno così affascinanti come i templi e gli anfiteatri di Palmira, ma di sicuro il lavoro di Meyer “è un monumento in sè”, ha detto l’archeologa della Brigham Young University, Cynthia Finlayson. Se gli archeologi si concentrano solo sugli “edifici d’elite, ci perdiamo tutto quello avveniva nelle altre parti della società”, ha detto Finlayson. “Il lavoro di Meyer ha colmato finalmente molte lacune”.
Molte domande restano comunque in sospeso, e non si sa se e quando troveranno una risposta. Meyer, per esempio, non ha avuto il tempo di scavare, avendo dovuto abbandonare la Siria all’inizio del conflitto armato scoppiato la scorsa primavera. “Vorremmo poter scavare per avere un’idea più precisa della cronologia, ma visto come stanno ora le non so se sarà possibile.”
La violenza e il caos in Siria rischiano, però, di fare molto peggio di un normale ritardo nella ricerca.
Finlayson, che faceva parte dell’ultimo gruppo di archeologi americani che lasciarono la Siria nel 2011, ha detto che le campagne intorno a Palmira sono diventate il campo base delle milizie armate antigovernative. “Tutta la polizia locale e gli uomini della sicurezza del Dipartimento delle Antichità sono stati richiamati dal governo centrale, lasciando i siti totalmente privi di sorveglianza”.
E che oasi: tra le rovine vi sono ancora i viali fiancheggiati dai colonnati, gli archi trionfali e i resti dell’antico mercato dove i commercianti contrattavano le preziose merci provenienti dall’India e dalla Cina: seta, argento, spezie e coloranti.
Per scoprire cosa rese possibile tutto questo, l’archeologo Jørgen Christian Meyer nel 2008 ha iniziato a rilevare l’area montuosa a nord di Palmira. I terreni su cui si è concentrata la ricerca di Meyer, più di 100 chilometri quadrati, erano destinati infatti a incanalare l’acqua piovana verso la pianure, rendendo così possibile l’agricoltura.
Grazie a dei sondaggi sul campo e allo studio dellle immagini satellitari, gli archeologi hanno individuato i resti di più di 20 villaggi raggiungibili da Palmira in pochi giorni di cammino, che si aggiungono ai 15 insediamenti precedentemente scoperti da un altro gruppo di ricercatori nella zona ad ovest della grande metropoli antica. Gli archeologi hanno anche trovato le tracce di una vasta rete di serbatoi e canali artificiali che raccoglievano e convogliavano l’acqua in occasione degli improvvisi temporali stagionali.
Il paesaggio intorno alla città era quindi caratterizzato da colture – tuttora diffuse in Siria – di olivi, fichi e pistacchi come testimoniano i resoconti romani. Veniva coltivato anche l’orzo, come dimostrano le analisi polliniche condotte su un mattone di fango proveniente dalle aree rilevate da Meyer.
Natura o ingegno umano?
Si potrebbe essere tentati di attribuire le alterne fortune agricole di Palmira ai cambiamenti climatici, ma secondo Meyer la risposta va ricercata nell’ingegno umano.
“C’è stata una discussione molto forte sui cambiamenti climatici nell’antichità e alcuni ricercatori si affidano a questa spiegazione per quasi tutto; ma oggi c’è un accordo abbastanza condiviso sul fatto che il clima non sia mutato così radicalmente negli ultimi duemila anni”. Anche se la zona a nord di Palmira è una steppa desertica, Meyer ha aggiunto che potrebbe avere “un enorme potenziale per l’agricoltura se si investissero tempo ed energia nel controllo delle risorse”.
I suoi antichi abitanti riuscivano a catturare e canalizzare dai 12 ai 15 centimetri di pioggia ogni anno. Le testimonianze archeologiche indicano che questo sistema durò fino a circa il 700 d.C., periodo in cui iniziò il declino della città.
Paradiso fiscale
Sembra che i risultati degli studi di Meyer stiano già cambiando il modo in cui gli studiosi vedono Palmira.
“Vicino a Palmira c’erano delle fattorie che coltivavano grano e altri cereali”, ha detto Gawlikowski. “Ormai è chiaro che rifornivano la città”. Questa ricerca consente anche di comprendere l’importanza e il ruolo che ebbe la città in passato: un vero e proprio hub commerciale nonostante la sua particolare posizione geografica.
Dopo aver attraversato l’Asia, navigato nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico, le merci che dovevano raggiungere l’Europa venivano trasportate in parte lungo il fiume Eufrate fino alla Siria e da qui, passando per Palmira, raggiungevano sulle carovane i porti del Mediterrano. Altri percorsi più a nord, dove si trova oggi la Turchia, per esempio, o a sud lungo il Mar Rosso e il Nilo, sarebbero stati però più veloci e diretti. Perché attraversare il deserto a dorso di cammello?
La risposta, ha detto Meyer, ha a che fare con il profitto e con le aziende agricole appena scoperte. Duemila anni fa Palmira si trovava in una regione inserita tra l’Impero Romano a ovest e gli imperi dei Parti e dei Persiani a est, e tutta una serie di piccoli regni – ognuno dei quali esigeva un pedaggio – che sorgevano lungo il corso dell’Eufrate.
Palmira offriva quindi ai carovanieri una via alternativa, resa possibile proprio da tutti quei campi coltivati, ha detto Meyer. Secondo la sua teoria, gli agricoltori locali permettevano ai pastori nomadi che conducevano le loro carovane di cammelli verso questa città di pascolare sui loro terreni dopo il raccolto. Il pascolo, ha aggiunto Meyer, offriva anche un beneficio collaterale, aiutando a concimare i campi. “I nomadi arrivavano con le loro mandrie, lasciavano un regalino…e in cambio ottenevano l’acqua”.
Perdite di guerra
Forse i resti polverosi dei serbatoi per l’acqua non saranno così affascinanti come i templi e gli anfiteatri di Palmira, ma di sicuro il lavoro di Meyer “è un monumento in sè”, ha detto l’archeologa della Brigham Young University, Cynthia Finlayson. Se gli archeologi si concentrano solo sugli “edifici d’elite, ci perdiamo tutto quello avveniva nelle altre parti della società”, ha detto Finlayson. “Il lavoro di Meyer ha colmato finalmente molte lacune”.
Molte domande restano comunque in sospeso, e non si sa se e quando troveranno una risposta. Meyer, per esempio, non ha avuto il tempo di scavare, avendo dovuto abbandonare la Siria all’inizio del conflitto armato scoppiato la scorsa primavera. “Vorremmo poter scavare per avere un’idea più precisa della cronologia, ma visto come stanno ora le non so se sarà possibile.”
La violenza e il caos in Siria rischiano, però, di fare molto peggio di un normale ritardo nella ricerca.
Finlayson, che faceva parte dell’ultimo gruppo di archeologi americani che lasciarono la Siria nel 2011, ha detto che le campagne intorno a Palmira sono diventate il campo base delle milizie armate antigovernative. “Tutta la polizia locale e gli uomini della sicurezza del Dipartimento delle Antichità sono stati richiamati dal governo centrale, lasciando i siti totalmente privi di sorveglianza”.
Autore: Andrew Curry
Fonte: http://www.nationalgeographic.it, 28/07/2012