Tra il 4° e il 3° millennio a.C., nell’età del rame, l’Italia era crocevia di una complessa rete di diffusione e scambio di questo metallo sviluppatasi prima di quanto si immagini. A svelarlo sulle pagine della rivista Plos One è uno studio condotto da Andrea Dolfini dell’università di Newcastle, Gilberto Artioli e Ivana Angelini dell’università di Padova.
Nell’ultimo decennio, nuove ricerche hanno dimostrato che l’estrazione di minerali cupriferi e la lavorazione del rame nell’Italia preistorica sono cominciate prima e con tecnologie più complesse di quanto ritenuto in precedenza. Ma si conoscono ancora troppi pochi dettagli sulle vie di diffusione e le modalità di scambio di questo metallo a sud delle Alpi. Ecco perché il gruppo di lavoro patavino si è messo all’opera con l’intento di comprendere meglio l’entità e l’estensione delle importazioni e degli scambi del rame nell’Italia neolitica.
Per ricostruire le rotte di scambio e i siti di lavorazione del rame, nonché le tempistiche, il team ha esaminato 20 oggetti in rame che includono asce, alabarde, e pugnali rinvenuti nell’Italia centrale. “Abbiamo recuperato e sottoposto ad analisi reperti già datati in base al contesto ed alla tipologia e oggi conservati in diversi musei del centro Italia: Firenze, Arezzo, Siena e Grosseto” spiega a Il Bo Live Gilberto Artioli, del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova. “La datazione di reperti del genere è qualcosa di abbastanza complesso: i metalli non possono essere datati direttamente. Perciò abbiamo una indicazione cronologica dagli studi archeologici, a cui abbiamo aggiunto analisi chimiche ed isotopiche del piombo come traccianti della provenienza del metallo” continua Artioli.
Ma cosa c’entra il piombo se stiamo parlando di rame? “Tutti i reperti in rame contengono come impurità alcune tracce di piombo. E il rapporto tra la concentrazione di piombo 204 e i suoi isotopi radiogenici (206, 207 e 208) può essere sfruttato per avere informazioni sull’origine del rame. Questi rapporti variano nei diversi giacimenti a seconda della loro età: in pratica diventa un’impronta digitale dei diversi giacimenti italiani ed europei. Una volta misurati i rapporti isotopici del piombo nei nostri reperti ci basta confrontarli con un database il più completo possibile delle miniere, per dedurre da dove arriva quel rame”.
È così che, confrontando i dati archeologici e le firme isotopiche degli oggetti in rame con le aree minerarie e la distribuzione dei siti archeologici, si è riusciti a tracciare le rotte del rame preistorico in Italia.
“La prima applicazione sistematica dell’analisi degli isotopi di piombo ai reperti esaminati ci ha rivelato che nell’Italia centrale c’era una metallurgia importante e sviluppata già molto tempo prima dell’epoca etrusco-romana. Si estraeva e lavorava il rame già nella seconda metà del 4° millennio a.C. e la maggior parte di questo proveniva dalla Toscana. Questo in parte lo avevamo già sospettato quando abbiamo esaminato l’ascia dell’uomo di Similaun” meglio conosciuto come Ötzi, l’uomo ucciso intorno al 3200-3300 a. C. da un colpo di freccia nella schiena i cui resti sono stati ritrovati ben conservati in un ghiacciaio fra Italia e Austria. Sull’ascia di Ötzi, in rame e legno, Artioli aveva già indagato: “È stato possibile datare l’ascia al 3200 a.C. con il metodo del radiocarbonio grazie al suo manico di legno, e noi abbiamo identificato l’area da cui proveniva il rame della lama: la Toscana”.
Dunque già 3.000 e passa anni fa, in Italia c’era una metallurgia ben sviluppata. Ma il nuovo studio di Artioli e il suo team stavolta aggiunge ancora una tessera del puzzle. “Come ci si aspettava, la maggior parte degli oggetti esaminati sono stati costruiti con rame estratto in Toscana” continua Artioli, “ma alcuni oggetti – e questo ci ha sorpreso non poco – sono stati forgiati con rame proveniente dalle Alpi occidentali o dalla parte meridionale del massiccio centrale francese. Segno che già c’era un circuito tirrenico di scambio e commercio di questo metallo abbastanza sviluppato. Sappiamo anche i ricchi giacimenti delle Alpi Sud-Orientali non erano sfruttati in questo periodo, anche se rappresenteranno poi la maggior fonte di metallo dalla seconda metà del 3° millennio e durante l’intera età del Bronzo”.
Lo studio conferma dunque l’importanza dei ricchi giacimenti minerari della Toscana come fonte di rame per le comunità eneolitiche in Italia, ma traccia nuove rotte di scambio e importazione che partono e arrivano oltralpe. Mille anni prima dell’età del bronzo, nell’Europa prestorica, c’era già una rete di scambio ben sviluppata. “Prima dei nostri studi non esistevano dati del genere, si pensava che tutto il rame provenisse dall’Oriente o dai Balcani. Anche quello dell’ascia di Ötzi. Invece adesso abbiamo un quadro molto più chiaro della metallurgia di questo periodo, in cui il rame toscano e il circuito tirrenico acquista sempre più importanza”.
Il rame toscano, quindi, arrivava fin sulle Alpi – almeno fino al confine con l’Austria – mentre il rame francese arrivava fino in centro Italia. Come avvenisse di fatto lo scambio sarà compito degli archeologi ricostruirlo, mentre nuovi studi potrebbero rivelare nuove vie di commercio o nuovi giacimenti che completino il quadro dell’estensione di queste reti di diffusione del rame.
Autore: Francesca Buoninconti
Fonte: www.ilbolive.unipd.it, 22 gen 2020