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OVADA (AL): Aurifodine e miniere d’oro dell’ovadese (progetti di tutela e valorizzazione).

(Relazione presentata al Convegno Nazionale dell’ANIM -Associazione Nazionale Ingegneri Minerari- il 31 maggio 2003).

La presenza dell’oro nei torrenti dell’Ovadese è nota da tempo, ed è certo che la sua raccolta è iniziata nella più remota antichità. Particolarmente intenso è stato lo sfruttamento dei terrazzi che si sviluppavano nei tratti finali dei torrenti Stura e Gorzente e lungo tutto il basso corso del Piota, i quali sono stati completamente rimossi e, al loro posto, restano ancora estesi accumuli di ciottoli residui di lavaggi che la tradizione popolare fa risalire ai romani. I depositi di ciottoli sono in effetti del tutto simili a quelli che si possono osservare in altre parti del bacino padano, specie lungo il fronte esterno dell’anfiteatro morenico di Ivrea, che rappresentano indubbiamente la testimonianza dello sfruttamento in epoca romana e preromana di analoghi terrazzi auriferi.

Nonostante la plurisecolare opera di livellamento e di asportazione dei ciottoli, lungo i bassi corsi del Gorzente e del Piota la presenza dei cumuli è ancora osservabile con una certa contuinità, per uno sviluppo lineare di circa 12 chilometri, mentre nella parte finale del torrente Stura se ne osservano limitati lembi, in quanto i terrazzi alluvionali sono discontinui e poco estesi. I cumuli poggiano direttamente sul substrato roccioso che, procedendo verso nord, da monte a valle, è costituito prima da ultramafiti e calcescisti del “Gruppo di Voltri”, poi dai sedimenti basali del “Bacino Terziario Piemontese”. A monte sono in gran parte privi di vegetazione e possono raggiungere i 10 metri di altezza, mentre a valle sono meno elevati e coperti da una fitta boscaglia: in tutti i casi è ancora possibile osservare la disposizione in allineamenti paralleli, separati da avvallamenti diretti verso il vicino corso d’acqua attuale. I ciottoli sono molto grossolani e presentano vario grado di arrotondamento, le dimensioni variano dai 10 ai 50 centimetri e più, con totale assenza di elementi più minuti, e la composizione rispecchia quella del Gruppo di Voltri, da cui provengono, con prevalenza di ultramafiti, metagabbri, prasiniti, anfiboliti ed eclogiti.

A valle delle “aurifodinae” l’oro è ancora sporadicamente presente nell’alveo dei torrenti e tende a concentrarsi negli antichi depositi alluvionali degli stessi e, soprattutto, dell’Orba a valle delle rispettive confluenze. Il metallo è per lo più presente sotto forma di sottili scagliette, di un bel colore giallo, che difficilmente superano il millimetro di diametro e i 3-4 milligrammi di peso; i bordi sono irregolari, ma ben arrotondati, e le superfici, apparentemente lisce, all’esame microscopico appaiono sempre bugnose e rugose, a testimonanza dei molteplici episodi di trasporto; nelle parti più montane possono trovarsi rade scaglie di dimensioni maggiori, fino a 5 millimetri e oltre, spesso ripiegate una o più volte, nonché isolati granuletti arrotondati o spugnosi. Analisi eseguite su alcuni campioni dell’Orba hanno evidenziato contenuti medi del 90% di oro, 8 % di argento e 2 % di altri elementi, con prevalenza di rame.

Il contenuto d’oro nei depositi alluvionali è molto vario e raggiunge tenori medi apprezzabili soltanto in alcuni depositi terrazzati delle basse valli del Piota e dell’Orba. Localmente, nelle cosidette “punte” che si formano nell’alveo attivo durante le piene più violente, per erosione e concentrazione di materiale dalle sponde, si possono avere contenuti di alcune diecine di grammi per metro cubo di sedimento, mentre nella coltre alluvionale i contenuti medi sono di pochi milligrammi e superano raramente i 2-3 decigrammi, anche negli strati più ricchi. Le “punte” sono da sempre oggetto dell’attività artigianale di “pesca dell’oro”, ma sono quantitativamente molto limitate (uno-due metri cubi), mentre la coltre alluvionale è notevolmente estesa e, nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, è stata localmente oggetto di tentativi di coltivazione in grande, con l’impiego di draghe. In periodo autarchico le sabbie del Piota e dell’Orba, estratte a scopi edilizi, furono ancora oggetto di estrazione di oro e di altri minerali quali prodotti secondari: infatti all’oro si accompagnano sempre, nella frazione pesante delle sabbie, discreti quantitativi di magnetite e di ilmenite, oltre a consistenti tracce di granati di rutilo e di zircone.

L’origine del metallo è da ricercarsi in alcune manifestazioni aurifere primarie presenti nella fascia collinare che si estende a sud di Ovada, ove affiorano rocce facenti parti del complesso metaofioltitico-calcescistoso noto col nome di “Gruppo di Voltri”.

Le manifestazioni aurifere si collocano in rocce ultramafiche tettonizzate e serpentinizzate, derivate da originarie lherzoliti, all’interno di dislocazioni tettoniche verticali con sviluppato scorrimento in direzione nord-sud (“shear zones”) che, in genere, mettono in contatto le lherzoliti con altri tipi di rocce; localmente assumono invece giacitura suborizzontale, in corrispondenza di estese fasce milonitiche che evidenziano fenomeni di scorrimento e brecciatura delle masse lherzolitiche più superficiali. Sono costituite da corpi lenticolari di breccia serpentinitica alterata e cementata da reticolati di vene quarzoso-carbonatiche, solo localmente da veri e propri filoni quarzosi compatti, e si estendono per poche diecine di metri, raramente per qualche centinaio, con spessore variabile dal decimetro a qualche metro, ma sono talora numerosi e ravvicinati tanto da poter costituire giacimenti unitari. Nel complesso costituiscono un particolare tipo di roccia, indicato nella vecchia letteratura col nome di “idrotermalite” ed oggi più internazionalmente noto come “listwaenite”, derivato da carbonatizzazione e silicizzazione di ultramafiti ad opera di fluidi idrotermali. All’interno delle vene di quarzo, ma anche nel materiale serpentinitico alterato, si trovano minerali metallici, per lo più di dimensioni microscopiche e in forma dispersa: soltanto localmente si hanno piccole concentrazioni di pirite microgranulare o grosse plaghe di altri solfuri. La paragenesi metallica è costituita da oro, pirite, marcasite, calcopirite, pirrotite, blenda galena e tetraedrite, ai quali si associano minerali componenti le serpentiniti; particolarmente abbondanti sono i prodotti limonitici di alterazione di colore rossastro e, in alcune vene, di microdiffusioni di un minerale verde cromifero (fuchsite). L’oro è prevalentemente presente allo stato libero, sia nella ganga quarzosa che nel materiale limonitico, in plaghette che in genere non superano il millimetro; in alcune druse e geodi si possono comunque trovare piccoli cristalli con abito ottaedrico e aggregati dendritici centimetrici. Il contenuto è molto vario ed irregolare, anche nell’ambito della stessa vena: nei filoni più ricchi si possono localmente raggiungere e superare i 200 grammi per tonnellata di roccia, ma il tenore medio, anche nel minerale scelto, è di pochi grammi. Il metallo è costituito da una lega con contenuti medi dell’85% di oro, 15% di argento e tracce di rame ed altri elementi.

Filoni e vene quarzose sono tipicamente idrotermali e l’origine dell’oro va cercata nelle rocce ultramafiche incassanti, che ne contengono sempre discrete anomalie. La presenza dell’oro è stato infatti riconosciuta anche al di fuori delle vene mineralizzate, distribuito in tracce nelle lherzoliti e, specialmente, nei livelli dunitici (fino a 1-2 g/t); contenuti maggiori (fino a 100 g/t e oltre) si riscontra in bande milonitiche di frizione interessate da alterazione talco-carbonatica ed accompagnata talora da grafite e da asbesto, nelle quali possono notarsi localmente sottili scaglie d’oro striate sugli specchi di faglia.

Le mineralizzazioni più sviluppate affiorano nella zona collinare compresa tra i torrenti Piota e Gorzente, a monte del bacino artificiale dei Laghi della Lavagnina, comuni di Mornese, Casaleggio Boiro e Lerma (AL), dove in epoca recente sono esistite quattro concessioni minerarie: vi sono stati coltivati filoni con tenori alti, anche se discontinui, e sono stati riconosciuti locali arricchimenti di alterazione superficiale, costituiti da livelli talora potenti alcuni metri di “saprolite lateritica”. A poca distanza, nella Stura di Ovada, comuni di Ovada e Belforte Monferrato, si trovano manifestazioni simili ma molto meno sviluppate, che hanno comunque dato vita a due altre concessioni; manifestazioni ancora di minore importanza, che sono state oggetto di ricerca in tempi passati ma non sono sfociate in recenti concessioni minerarie, si trovano nella valle del Gargassino (Rossiglione) e nella valle del Rio Vezzullo (Masone).

Le ricerche più recenti ed approfondite, eseguite negli anni ‘80 dalla società “TEKNOGEO” in collaborazione con compagnie minerarie canadesi, hanno evidenziato la presenza di discreti giacimenti nell’area compresa fra i torrenti Piota e Gorzente, in particolare nelle zone di C. Ferriere sup., Nebbie ed Argion, dove sono stati individuati corpi superficiali con cubature variabili dalle 500 alle 600.000 tonnellate di minerale con tenori d’oro variabili da 2 a 4 grammi.

I giacimenti primari del Gorzente e della Stura di Ovada sono molto prossimi ed in stretta relazione con i terrazzi sfruttati in epoca antica, a differenza dei terrazzi sfruttati a nord del Po che, in conseguenza delle differenti condizioni climatiche, si sviluppano a valle dei depositi morenici e a molti chilometri dai giacimenti primari. Sull’argomento ho scritto molto, nel corso degli ultimi 20 anni: parte degli articoli sono stati raccolti nel volume di interesse locale “Le Valli dell’Oro. Miscellanea di Geologia, Archeologia e Storia dell’Ovadese e della Bassa Val d’Orba” (Ovada 2000), altri sono compresi nel volume più generale “Oro, Miniere, Storia. Miscellanea di giacimentologia e Storia Mineraria Italiana”, in corso di stampa.

Nota personale e conclusiva:

Il potenziale aurifero evidenziato in Val Gorzente negli anni ‘80 non venne reputato economicamente valido ai costi attuali, tanto più che l’area mineraria ricadeva all’interno di un Parco Naturale (delle Capanne di Marcarolo) cosa che avrebbe necessariamente comportato, in caso di coltivazione, complicazioni e lungaggini burocratiche, oltre ad alti costi aggiuntivi legati al rispetto delle particolari condizioni ecologiche e paesaggistiche. Abbandonata quindi, per il momento, ogni ipotesi di coltivazione mineraria e tenuto conto che erano state rintracciate ed in parte ripristinate una quindicina di vecchie gallerie, pensai che fosse possibile una utilizzazione a fini turistici e culturali, sull’esempio di nazioni vicine, Austria in particolare: a quel tempo non esistevano infatti esempi del genere in Italia. Mi rivolsi allora, più volte, alle amministrazioni pubbliche locali, in particolare Provincia, Parco e Comunità Montana, mettendo a disposizione il materiale raccolto in anni di ricerche, compresi i rilevamenti geologici con l’ubicazione e le piante delle gallerie, senza ottenere in genere alcun riscontro, e le rare volte che riuscivo a parlare con qualche amministratore venivo guardato come un marziano. In occasione del primo progetto Leader della Comunità Europea (1986), cercai di spingere l’Amministrazione Provinciale a presentare un progetto di valorizzazione e fruizione turistica delle vecchie miniere: la cosa non venne presa in considerazione dai responsabili regionali incaricati, con la conseguenza che non venne presentato alcun progetto al riguardo, mentre un progetto simile, pur meno fondato su emergenze storico-minerarie, venne presentato dal comune austriaco di Heiligenblut ed ottenne un congruo finanziamento.

Convinto che un tale patrimonio non dovesse essere trascurato ed obliterato, iniziai io stesso ad organizzare limitate manifestazioni turistiche, quali visite guidate alle miniere e alle aurifodinae, escursioni alla ricerca dell’oro nei torrenti, gare di abilità tra cercatori. Nel contempo continuavo a raccogliere materiali e documenti sulle antiche attività, e, dopo la prima costituzione di una raccolta di interesse locale a Casalcermelli (1981), nel 1987 costitui il Museo Storico dell’Oro Italiano; iniziai inoltre a pubblicare articoli a carattere geologico, archeologico e storico sulle nostre antiche attività aurifere e continuai a segnalare, alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte, la presenza di sempre nuove evidenziazioni delle aurifodinae e di altre emergenze archeologiche. L’intensa attività finì per sensibilizzare la gente e, in qualche misura, anche funzionari ed amministratori pubblici: una spinta decisiva ad interessarsi del’argomento venne però dalla constatazione che era possibile ottenere finanziamenti regionali, statali e comunitari e, come in altre parti d’Italia, cominciarono a fiorire progetti, non sempre però sostenuti da reale conoscenza del problema e da specifiche competenze.

Una prima presa d’atto amministrativa-burocratica della realtà storico-mineraria ovadese, a quanto mi risulta, fu l’inserimento di una zona di interesse archeologico, denominata “Aurifodine della valle del Gorzente”, nel Piano Territoriale Provinciale di Alessandria, compilato alla fine degli anni ‘90 ed approvato dalla Regione nel febbraio del 2002. Nonostante le mie pubblicazioni e le segnalazioni alla Soprintendenza, io non venni minimamente consultato sull’argomento, con la conseguenza che l’area individuata nel Piano non coincide con la reatà e, oltre a coprire zone del tutto prive di testimonianze, omette di riportarne una delle più importanti, quella che si sviluppa intorno al cimitero di Silvano d’Orba dove esistono altre emergenze archeologiche, compresi i ruderi tardoromani-bizantini di “Rondinaria” che, secondo la tradizione popolare, sarebbe stata una grande città romana a guardia delle miniere d’oro.

Per quanto riguarda i giacimenti primari compresi all’interno del Parco delle Capanne di Marcarolo, nel 1998 l’Ente di Gestione presentò una richiesta di finanziamento regionale per un progetto intitolato “Valorizzazione delle cavità artificiali site nel territorio del Parco delle Capanne di Marcarolo”: il progetto, approvato ed ammesso a finanziamento, ricadeva nell’ Obiettivo 5 B cofinanziato dalla Comunità Europea, alla Misura N. II. 3, “Salvaguardia dell’ambiente e riassetto del territorio nelle aree protette”, e prevedeva una spesa totale di lire 70.742.000, comprensive di L. 29.040.000 per una pubblicazione divulgativa. Esso era partito dalla proposta di due speleologi, di cui uno laureando in Scienze Biologiche, e prevedeva la localizzazione e il rilevamento delle vecchie gallerie, oltre allo studio di alcune specie biologiche che le popolano. La maggior parte della spesa era proprio destinata al rilievo delle gallerie, ipotizzate in poche unità per uno sviluppo totale di circa 5 chilometri, e non si teneva affatto conto delle mie precedenti offerte che contemplavano anche le piante dei vecchi lavori in sotterraneo, i quali, in effetti, erano in numero di 14 per uno sviluppo totale ancora percorribile di poco superiore al chilometro. Comunque sia, il Parco provvide subito all’acquisto di materiale ritenuto utile per i rilievi, per circa 10 milioni di lire, ma in fase di assegnazione dell’incarico sorsero difficoltà con i due proponenti che, nel febbraio 1999, rinunciarono all’incarico. Soltanto allora ci si ricordò delle mie precedenti offerte, e mi vennero chiesti specifici elaborati delle gallerie e la stesura di un testo per la pubblicazione, previo contributo di lire 15.000.000 da devolvere all’Associazione da me presieduta: la pubblicazione, intitolata “Le miniere d’oro delle Valli Gorzente e Piota”, vide la luce nel dicembre del 2001, per i tipi de L’Artistica Savigliano.

Due richieste di finanziamento per specifiche progettazioni preliminari, una del Comune di Silvano d’Orba e una del Parco, venivano intanto inserite nei Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (P.R.U.S.S.T.) promossi dal Ministero dei Lavori Pubblici, Direzione Generale del Coordinamento Territoriale, ed in particolare nel PRUSST del Piemonte Meridionale presentato dalle province di Alessandria e di Asti (1999). Il comune di Silvano chiedeva L. 22.000.000 per la progettazione di un “Intervento di valorizzazione del territorio tramite la valorizzazione dei reperti archeologici romani delle aurifodinae” che prevedeva una spesa complessiva di L. 1.150.000.000 da reperire con il concorso degli altri comuni interessati; il Parco chiedeva una somma analoga per un progetto di “Realizzazione del Museo dell’Oro presso palazzo Balbo in Comune di Lerma e ripristino di una serie di percorsi tematici: 1), alle miniere all’interno del Parco, 2),alle aurifodinae lungo il corso del Piota”, progetto la cui realizzazione era prevista una spesa totale di 568.102,00 Euro da inserire nell’elenco dei Lavori Pubblici e per la quale fu chiesto il finanziamento al Settore Parchi della Regione. Nel corso del 2002 furono finanziate le due progettazioni preliminari, subito predisposte da locali studi di architettura: io non ero stato interpellato preliminarmente, se non per quanto riguarda il possibile spostamento del Museo dall’edificio scolastico nel quale si trova ad apposita struttura da realizzare nello storico palazzo Balbo, e non venni minimamente coinvolto nelle progettazioni che, non essendo basate su reale conoscenza dell’argomento, risultano molto generiche, del tutto irrealizzabili in alcune parti e non prive di grossolane inesattezze.

Nel contempo, a seguito delle mie segnalazioni e del personale interessamento della funzionaria dr.sa Marica Venturino, la Soprintendenza Archeologica del Piemonte, d’intesa con la Provincia di Alessandria, si faceva promotrice di un’iniziativa congiunta di tutela, valorizzazione e promozione delle “Aurifodinae” e delle miniere aurifere delle valli del Piota, del Gorzente e dello Stura, incentivando il coivolgimento e la collaborazione degli Enti locali interessati. Si giunse così, nel gennaio del 2000, alla stipula di un Protocollo d’Intesa tra la Soprintendenza, la Provincia, la Comunità Montana Alta Val lemme e Alto Ovadese, il Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo ed i comuni di Ovada, Belforte Monferrato, Tagliolo, Silvano d’Orba, Lerma, Casaleggio Boiro e Mornese. Nelle poche riunioni tenute, alle quali fui invitato come semplice osservatore, venne deciso di conferire, ad una ditta indicata dalla Soprintendenza, incarico per un primo rilevamento topografico e fotogrammetrico delle aree interessate, il cui costo era preventivato in L. 5.750.000, da suddividere in parti proporzionali tra le amministrazioni: non tutte mantennero però l’impegno, anzi nel 2002 il Comune di Casaleggio, nel cui territorio ricadono i cumuli più evidenti, ritirò formalmente la sua aderenza al Protocollo, paventando presunti vincoli oltre quelli già previsti dal Piano Territoriale Provinciale. La Soprintendenza e la Provincia sono comunque intenzionate a proseguire sulla via intrapresa, sostenute dalla maggior parte degli altri Enti interessati, ed a breve dovrebbe aversi un qualche sviluppo.

Un altro progetto, che mi riguarda molto da vicino ma del quale ho saputo soltanto a cose fatte, è stato nel frattempo approvato dalla Regione Piemonte alla Comunità Montana nell’ambito dei “progetti di sviluppo dei sistemi turistici e culturali integrati” (DOCUP 2000-2006) finanziati dalla Comunità Europea. Esso prevede la trasformazione delle ex scuole elementari di Lerma, che ospitano il Museo, in Centro Polifunzionale comprendente Museo, Sala Convegni, Biblioteca e Centro di Documentazione sulle Aurifodine, per la quale è prevista una spesa di 360.000 Euro di cui 61.000 a carico del Comune: questo, che evidentemente crede veramente nel progetto, ha inoltre stanziato 35.000 Euro per la sistemazione dell’area esterna. I lavori sono già iniziati e dovrebbero terminare nella prossima primavera.
Fonte: Redazione
Autore: Giuseppe Pipino
Cronologia: Protostoria

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