Durante il mese di marzo 2024, la ristrutturazione di un edificio nel centro storico di Orvieto, ha consentito l’eccezionale scoperta di tracce di una frequentazione estesa dall’età del Bronzo Medio alla prima età del Ferro, collocata ovvero in un arco temporale compreso tra 3400 e 3100 anni fa. Allo stato attuale della lunga tradizione archeologica orvietana, tali testimonianze risultano essere le più antiche mai rinvenute e meglio documentate all’interno dell’area urbana.
La scoperta è avvenuta nel corso dell’attività di sorveglianza archeologica ad un cantiere edile disposta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria nell’ambito delle sue funzioni di tutela del patrimonio culturale.
Il lavoro, proseguito per diversi mesi, è stato seguito sul campo dall’archeologo Francesco Pacelli, sotto la supervisione scientifica del funzionario archeologo Luca Pulcinelli e la consulenza di studiosi di protostoria quali Francesco di Gennaro e Barbara Barbaro.
Lo scavo di un ambiente al piano terreno dell’edificio, necessario per la costruzione di una scala, ha permesso di riconoscere e documentare archeologicamente una complessa stratificazione che mostra la sovrapposizione delle diverse fasi dell’evoluzione urbanistica della città.
L’abitazione attuale è ricavata in un edificio rinascimentale sorto a sua volta su precedenti contesti abitativi. L’asportazione del terreno al di sotto del piano di calpestio moderno ha rivelato infatti la presenza di un’abitazione medievale riferibile ai secoli XI-XIV certamente distrutta violentemente, come indicato dalla presenza di tracce di bruciato.
Al di sotto di questa è stato individuato uno strato di terra sostanzialmente privo di reperti archeologici, anche se contenente blocchi di tufo informi simili a macerie, che potrebbe risalire al periodo romano, quando l’area della città doveva essere in buona parte abbandonata e l’insediamento si era trasferito sulle sponde del Lago di Bolsena.
L’indagine è proseguita dunque ancora più in profondità con la scoperta di uno strato tegole riferibili ad un’abitazione etrusca, inserita all’interno di un tessuto urbano già ampiamente documentato, in tale area, dal ritrovamento in passato di pozzi, cisterne e cunicoli a servizio delle abitazioni.
Al di sotto di tale livello “storico”, ad una profondità di circa m 2,50 rispetto all’attuale piano di calpestio, un potente strato di terra sterile sembrerebbe testimoniare una massiccia opera di livellazione e regolarizzazione del masso tufaceo naturale, attuata dagli Etruschi forse già nell’ambito delle prime fasi dell’urbanizzazione della città di Velzna.
Tale strato sigillava le tracce, individuate all’eccezionale profondità di m 3,60, delle fasi più remote della vita sul pianoro orvietano, testimoniate da frammenti di vasi modellati senza l’uso del tornio, lucidati a stecca e riccamente decorati con motivi geometrici realizzati a mano o per mezzo di stampini. Tali testimonianze, attribuite sulla base dell’apparato decorativo alla prima età del Ferro (X – IX secolo a.C.), sono state rinvenute in un particolare ambiente ricavato nel conglomerato tufaceo.
I “primi orvietani” avevano infatti ricavato nella roccia alcune fosse utili per diversi scopi, tra i quali in primo luogo la messa in opera di pali lignei destinati a sostenere una copertura.
Nel prosieguo dello scavo la scoperta di altre fosse più grandi ha permesso di riconoscere la natura sostanzialmente produttiva del sito, che alla luce della datazione particolarmente antica risulta ancora più interessante per la ricerca scientifica. Nelle fosse più grandi, di forma circolare, sono stati difatti rinvenuti alcuni “pani” di argilla. Accanto sono state rinvenute altre due fosse unite a canalizzazioni il cui fondo era rivestito interamente sempre di argilla applicata sulla superficie interna come materiale impermeabilizzante al fine di contenere acqua. Il ritrovamento poi di una fossa bilobata con un piano di cottura forato, di un panetto di concotto e di abbondanti tracce di carbone, certamente riferibili ad una fornace realizzata in buca, ha permesso di ipotizzare per l’intero complesso l’identificazione con un atelier per la produzione ceramica.
Il ritrovamento in altre fosse di ceramiche attribuibili alla cosiddetta Cultura Appenninica (XIV secolo a.C.) sembra costituire, allo stato attuale, l’evidenza più antica di una frequentazione umana stabile della rupe orvietana.
Le scoperte di Via Garibaldi, insieme ad altre tracce individuate nel tempo in diversi punti della rupe, sembrerebbe evidenziare già nella piena età del Bronzo un’occupazione estensiva dell’intera superficie del pianoro dove poi a partire dalla prima età del Ferro si svilupperà l’insediamento urbano, secondo una dinamica anomala rispetto agli altri grandi abitati protourbani dell’Etruria meridionale.
In considerazione della particolare importanza rivestita dalle produzioni ceramiche nella storia di Orvieto, dall’antichità fino all’età moderna, risulta suggestivo e non privo di interesse il fatto che alcune tra le più antiche testimonianze di popolamento del sito siano collegate proprio alla bottega di un vasaio.
Informazioni più dettagliate sui rinvenimenti saranno presentate, in forma preliminare, in una comunicazione curata da Luca Pulcinelli, Barbara Barbaro e Francesco Pacelli nell’ambito del XXIX Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria organizzato dalla Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, che si svolgerà ad Orvieto il 13 e 14 dicembre 2024 presso il Palazzo dei Congressi.
Fonte:
Soprintendenza dell’Umbria