Per gli addetti ai lavori si è trattato di un ritrovamento “normale” e in una certa misura atteso, visto la vicinanza con una chiesa. Ma la notizia del reperto archeologico ritrovato, lo scorso fine settimana a Beolco, ovvero di una tomba risalente a più di mille anni fa, contenente i resti di una donna e di un bambino, durante lo scavo per la trincea della fibra ottica, ha rapidamente varcato i confini olgiatesi riempiendo di stupore, curiosità e interesse tantissime persone, improvvisamente catapultate indietro nei secoli.
Le prime indagini, effettuate dagli archeologi presenti sul posto e basate sulla stratigrafia, hanno permesso di datare la tomba rinvenuta, sprovvista di corredo o altro materiale, al 10° secolo (alto Medioevo) un paio di secoli dopo la dominazione longobarda, di cui sempre a Beolco c’è un’evidente traccia con la presenza dell’epigrafe ai fratelli guerrieri Aldo e Grauso conservata nella chiesina dei Santi Pietro e Paolo. Un segno tangibile di un passato forte e rigoglioso che ha riacceso l’interesse verso la storia di questa frazione, di origine romana così come quella di Porchera, spingendo molti a interrogarsi sulla possibilità di svolgere un’indagine più approfondita e circospetta del patrimonio archeologico olgiatese.
Domande che abbiamo rivolto all’assessore alla Cultura Matteo Fratangeli, particolarmente legato alla storia locale e in particolare al passato di Beolco tanto da aver dedicato all’epigrafe longobarda rinvenuta nella chiesina dei Santi Pietro e Paolo (precedentemente dedicata ai Santi Pietro e Andrea) la propria tesi di laurea.
Si aspettava un simile ritrovamento a Beolco?
“Diciamo di sì. Per gli addetti ai lavori non è una circostanza inusuale e lo dimostra il fatto che per le operazioni di scavo, come quelle effettuate da Open Fiber, è previsto di prassi il coinvolgimento di archeologi professionisti. Ciò non toglie che il ritrovamento è stato emozionante e ci ha aperto mille interrogativi sulla storia, anche personale, contenuta in questa tomba. E’ impressionante che un intervento fatto per collegarci in maniera ultraveloce in nome del progresso e della modernità ci abbia catapultato indietro nel tempo, indietro di più di mille anni”.
Nella tomba sono stati trovati i resti di una donna con un bambino. Nella chiesina è conservata l’epigrafe funeraria dei fratelli bresciani Aldo e Grauso con incise le parole “Uguali per nascita, aspetto, sensibilità, mezzi, disposizione e prestanza, qui riposano i due fratelli Aldo e Grauso che insieme il mondo ebbe famosi e che una sola morte ha rinchiuso sotto una stessa lapide; testé li uccise malamente la spada crudele”.
C’è un legame tra queste vicende?
“Premesso che sappiamo poco dell’ultimo ritrovamento, visto che sono in corso gli approfondimenti in carico alla Sovraintendenza, direi però che quello che emerge è che c’è una continuità storica che vede protagonista la frazione di Beolco, presidio “protetto” dal Molgora e dalla morfologia del territorio, che durante la dominazione longobarda ha avuto una certa importanza, come rilevato proprio dalla storia dei due fratelli guerrieri, probabilmente gasindi, ovvero amministratori dipendenti dalla corte di Pavia. Un caso raro in cui le fonti storiografiche, su tutte la Historia Langobardorum di Paolo Diacono, hanno riscontro nel ritrovamento archeologico dell’epigrafe funeraria”.
Quando venne trovata l’epigrafe longobarda?
“Bisogna andare indietro nel tempo e precisamente alla prima metà dell’Ottocento quando vennero effettuati degli importanti lavori all’interno della chiesa, etichettati dallo storico dei tempi Giovanni Dozio come “vandalico fatto”. In quell’occasione vennero scavate le fondamenta della nuova parete occidentale della chiesa, circa a metà navata, e vennero rinvenuti i frammenti maggiori dell’epigrafe e un sepolcro interrato formato da sei massicci pezzi di serizzo. Nonostante la manomissione operata in antico, ci viene tramandato che la tomba contenesse ancora due teschi e diverse ossa, i resti di due spade e un anello d’oro di cui però non c’è più traccia. Ora l’epigrafe, oggetto di studi e approfondimenti di esperti e professori universitari, è conservata nella chiesina di Beolco e rappresenta una preziosa testimonianza del passato longobardo della nostra frazione”.
Ma la chiesina è aperta al pubblico?
“L’edificio rientra nella proprietà di villa Guzzoni, ma nei secoli è sempre stata il luogo di culto della frazione, come dimostra anche il fatto che viene regolarmente aperta il 29 giugno in occasione dei Santi Pietro e Paolo. E’ possibile accedervi contattando il custode, la parrocchia oppure la proprietà. Ed è stata aperta per delle visite guidate in occasione, ad esempio, dell’escursione lungo la Via Longa effettuata nel 2019 oppure in alcuni appuntamenti di Sei in Brianza”.
E’ presumibile pensare che all’interno della chiesa o nel giardino intorno vi siano altri resti archeologici importanti?
“Assolutamente sì, soprattutto se pensiamo che lì vi era presente già un’ara romana e i longobardi poi vi hanno eretto un proprio luogo di culto. Anche nel corso dei secoli l’area ha mantenuto la sua caratteristica di luogo “religioso” diventando una comunità di presbiteri, come emerge da un documento datato 1126. La canonica è rimasta presente fino alla Rivoluzione francese con l’espropriazione dei beni religiosi”.
La chiesina di Beolco e la zona intorno meriterebbero un supplemento di indagine?
“A mio parere sì, ma sono chiaramente di parte. Il ritrovamento dell’altro giorno, nella sua “semplicità”, ci ha fatto ricordare che camminiamo sulla storia. Bisognerebbe però effettuare delle indagini mirate, andando a cercare laddove la probabilità di trovare qualcosa di importante e storicamente significativo è più alta. Il che vuol dire, effettuare degli scavi più profondi, intercettando stratigraficamene epoche antecedenti, oppure più vicine alla chiesa, sapendo che tendenzialmente le persone di un certo rango venivano sepolte in posizioni privilegiate. Per farlo, in questo caso, bisogna però entrare in una proprietà privata ed è quindi fondamentale averne assenso e collaborazione”.
Qualora la strada dell’approfondimento d’indagine nell’area di Villa Guzzoni fosse perseguibile, il Comune sarebbe disposto a collaborare, anche a livello economico?
“Certamente. Si potrebbero intercettare bandi e chiedere finanziamenti anche a Fondazioni o privati. Il percorso va però costruito, partendo dalla base, ovvero l’appoggio della proprietà. Di certo, il ritrovamento della tomba della mamma con il bambino ci ha regalato, oltre che delle forti emozioni, anche delle belle suggestioni, ricordandoci che viviamo in un posto ricco di tesori, anche nascosti, che meriterebbero di essere valorizzati. Sarebbe bello riuscire a ricostruire la storia di questa donna, morta presumibilmente di malattia, insieme al figlio. Speriamo davvero che l’avventura in cui ci ha immerso questo scavo non duri solo lo spazio di alcuni giorni, ma possa portare nuovo interesse sulla zona di Beolco e sul suo inestimabile patrimonio storico e archeologico. Da parte nostra, siamo pronti a organizzare conferenze e momenti di approfondimento per dare seguito al grande interesse suscitato da questo rinvenimento”.
Autore: Noemi D’Angelo
Fonte: www.lecconotizie.com, 29 apr 2021