Il complesso di tratti che caratterizzano il genere Homo – gambe lunghe, un periodo di sviluppo dei piccoli molto prolungato, un grande cervello, l’abilità nell’usare e creare strumenti – non sono evoluti insieme quando, tra 2,4 e 1,8 milioni di anni fa, hanno iniziato ad ampliarsi le praterie africane, il clima della Terra è diventato fresco e asciutto e ha avuto inizio il lignaggio che ha dato infine origine all’uomo moderno. La loro storia è più lunga e articolata e mentre alcune caratteristiche del genere Homo si sono evolute già in Australopithecus, tra 3 e 4 milioni di anni fa, altre sono emerse significativamente dopo. E’ questo il quadro descritto da tre antropologi della New York University, della Smithsonian Institution e della Wenner-Gren Foundation in un articolo pubblicato su “Science”.
In effetti, diversi fossili di recente scoperta sono in conflitto con la più diffusa immagine lineare dell’evoluzione di Homo. Cinque crani risalenti a circa 1,8 milioni di anni fa trovati nel sito di Dmanisi, in Georgia, mostrano per esempio variazioni di alcuni tratti tipiche di H. erectus africano, ma differiscono in altri tratti considerati definitori di altre specie di Homo note unicamente in Africa. E i resti di Australopithecus sediba, risalenti a circa 1,98 milioni di anni, recentemente scoperti a Malapa, in Sudafrica, mostrano denti e mani tipici di Homo, mentre i piedi e il cranio se ne distinguono netttamente.
L’apparente confusione tende a dissolversi, osservano Richard Potts, Susan Antón e Leslie Aiello, se tutti questi reperti sono collocati all’interno di una ricostruzione del clima che ha caratterizzato l’Africa orientale fra 2,5 a 1,5 milioni di anni fa. Questo lungo periodo sarebbe stato caratterizzato da una forte instabilità climatica, con significative variazioni nell’intensità delle stagioni umide e secche annuali.
Combinando le mappe climatologiche e quelle delle scoperte paleoantropologiche, osservano i ricercatori, si può ipotizzare che in quell’ambiente fortemente variabile siano emerse più specie di Homo che coesistettero sovrapponendosi anche geograficamente: quel milione di anni sarebbe stato un intenso periodo di sperimentazione morfologica per il nostro lignaggio, in cui ciascuna specie o sottospecie ha tentato qualche strategia leggermente diversa per sopravvivere.
Proprio questo complesso mosaico avrebbe permesso l’evoluzione dell’uomo moderno: “Le condizioni climatiche instabili hanno favorito l’evoluzione delle radici della flessibilità umana nei nostri antenati”, dice Potts. “Il racconto dell’evoluzione umana che nasce dalle nostre analisi sottolinea l’importanza per il successo iniziale del genere Homo della capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali, piuttosto che l’adattamento a un qualsiasi ambiente.”
Didascalia immagine:
L’evoluzione degli ominini da 3 a 1,5 milioni di anni fa: in verde: Australopithecus; in giallo: Paranthropus, in rosso: Homo. Le icone indicano, dal basso, la prima apparizione di strumenti di pietra circa 2,6 milioni di anni fa, la dispersione di Homo in Eurasia circa 1,85 milioni di anni fa, e la comparsa della tecnologia dell’Acheuleano circa 1,76 milioni di anni fa.
Fonte: http://www.lescienze.it, 5 luglio 2014