A Monopoli c’è una grotta chiamata “delle Mura”. Qui, alla fine degli anni Novanta, precisamente nel 1998, con uno scavo dell’Università di Siena furono ritrovati dei resti scheletrici, appartenenti ad un bambino vissuto nel Paleolitico superiore, cioè circa 17 mila anni fa.
È una tra le testimonianze meglio conservate di una sepoltura, che apre uno squarcio su una fase preistorica, offrendo diversi dettagli, a partire dalle caratteristiche del bambino e anche della sua mamma. E lo fa soprattutto da quando a lavorarci è uno studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale guidato dalle Università di Firenze, Bologna e Siena.
Per la prima volta quelle ossa sono state esaminate sotto diversi punti di vista, con un approccio multidisciplinare, che ha messo insieme l’antropologia e le più recenti tecniche scientifiche.
I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications con il titolo “Life history and ancestry of the Late Upper Palaeolithic infant from Grotta delle Mura, Italy” hanno reso nota, per esempio, l’età esatta che il bambino aveva quando è morto, cioè ad un anno e quattro mesi.
Ma, a partire da resti scheletrici, è possibile sapere molto di più. Esiste, infatti, una porzione dell’osso del cranio nota per la sua eccellente conservazione del Dna anche in reperti così antichi. Così è stato possibile ricostruire il genoma quasi completo del bambino, a partire dal colore degli occhi, dei capelli e della pelle: aveva occhi blu, pelle scura e capelli ricci, in linea con le caratteristiche fisiche delle popolazioni del Paleolitico superiore.
Inoltre, l’analisi genetica ha evidenziato una stretta parentela tra i genitori del bambino, suggerendo che fossero probabilmente cugini di primo grado, un fenomeno riscontrato di rado nel Paleolitico, ma più comune durante il Neolitico. Ma sappiamo anche qualcosa in più sulla mamma del bambino. E questo grazie all’analisi dei denti.
«Il laboratorio che dirigo a Ravenna, all’università di Bologna, chiamato Bones Lab, è dedicato allo studio di resti scheletrici, non soltanto attraverso approcci tradizionali ma utilizzando anche metodologie più innovative – dice Stefano Benazzi, professore di Antropologia fisica all’Università di Bologna -. È da qualche anno, poi, che abbiamo avviato una linea di ricerca basata sull’istologia dentale, che consiste nel tagliare i denti a volte fisicamente e a volte virtualmente, per ottenere informazioni di dettaglio sull’età alla morte degli individui, ma eventualmente anche sulla mobilità dell’individuo e sull’allattamento e svezzamento».
Come? «I denti cominciano a formarsi già nel grembo della mamma, oltre che dopo la nascita – spiega -. È così possibile conoscere la mobilità della madre: sappiamo che, in questo caso, non si è mossa durante il periodo della gravidanza. A differenza di altre informazioni che abbiamo in contesti diversi, ad esempio su un altro individuo nel nord Italia: con lo stesso studio sulla mobilità abbiamo appurato che sua madre, invece, si muoveva mentre aspettava il bambino».
Inoltre, è stato possibile anche stabilire se l’individuo soffrisse di patologie genetiche: «A livello genetico sono state anche trovate delle mutazioni associate ad una patologia genetica, che si chiama ipertrofia del miocardio, quindi un ispessimento della parete del cuore, molto probabilmente associata alla morte dell’individuo – continua -. Ci sono evidenti segni di stress avvenuti in vita intrauterina e anche dopo la nascita, che si evincono dall’istologia dentale che abbiamo fatto: questa è un’altra informazione importante che abbiamo, che può rendere conto della morte dell’individuo in età così prematura».
Non solo. Il bambino di Grotta delle Mura rappresenta un’eccezionale testimonianza delle prime fasi di vita e del popolamento dell’Italia meridionale durante il tardo Paleolitico superiore: a quei tempi, infatti, si assiste ad uno spostamento delle popolazioni da nord a sud, creando un turn over delle genti che animavano il sud Italia.
«Il nostro lavoro rappresenta un tassello cruciale nella comprensione delle prime fasi di vita nel Paleolitico superiore – conclude Benazzi -. Questo studio pionieristico, che combina diverse tecniche di analisi dei resti scheletrici, ha fornito una visione senza precedenti della crescita e delle condizioni di vita di un bambino vissuto in un periodo chiave per il popolamento della penisola italiana, consentendo anche di raccogliere informazioni sulla madre e sui gruppi di cacciatori-raccoglitori dell’epoca. La nostra ricerca rappresenta un significativo progresso, dimostrando l’importanza dell’interdisciplinarità per approfondire la conoscenza delle popolazioni preistoriche».
Autore: Rosarianna Romano
Fonte: bari.corriere.it 3 ott 2024