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MILANO. Tanta passione, paletta e pennello. Così sotto l´asfalto ritrovano la storia.

Niente giacca di pelle né cappellaccio in testa: i moderni archeologi al lavoro nei cantieri di Milano picconano in maglietta, scarpe antinfortunistiche ed elemetto.

Ragazzi fra i venti e i trent´anni, quasi nessuno ha l´indimenticabile barba incolta di Indiana Jones e per il 70% sono donne.
Ma come il mitico cercatore dell´Arca perduta hanno lo spirito di adattamento e la passione giusti per la a caccia agli antichi reperti.

Fra i palazzi del centro, impegnati negli scavi di Sant´Ambrogio, Darsena, piazza XXV Aprile e piazza Meda, lavorano una cinquantina di operatori.
Scavi della discordia, iniziati per costruire box sotterranei e poi “incagliati” quando le ruspe di sono imbattute nei primi reperti.
In piazza Sant´Ambrogio le indagini sono state avviate nel 2006: ora gli scavi in estensione, stanno portando alla luce depositi archeologici.
In Darsena, ruspe fermate nel 2006, sono emerse le mura spagnole e le travi di legno della Conca di Viarenna, il sistema progettato dagli ingegneri della Veneranda fabbrica del Duomo per il trasporto del marmo fino alla Cattedrale.
In piazza XXV Aprile nel 2007 sono affiorati i bastioni spagnoli. Non siamo in Egitto, ma per chi sa cercare Milano riserva sorprese di valore.

Anche se non si tratta di testimonianze di civiltà perdute, con la pala e il pennellino gli archeologi sono disposti a lavorare per far venire alla luce tutti i frammenti, anche i più piccoli, del passato della città.
Fra i cinquanta impegnati nell´opera, manovrando abilmente cazzuola, bisturi e pennelli, scopini e sessola (la paletta per raccogliere i detriti), il 98% è laureato, in molti hanno frequentato scuole di specializzazione.
In piazza Meda, cuore di quella Milano romana di cui, quattro metri sotto l´attuale livello stradale, sono stati trovati resti di necropoli, laboratori artigianali, pozzi, vasche in laterizi e un porticato con una decorazione affrescata, dall´ottobre del 2005 lavorano trenta giovani.
Faticheranno lì fino a Natale, che ci sia il sole o la pioggia, con orari da cantiere: dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 17, ogni giorno.
«Per il nostro lavoro non basta saper scavare – spiega Annalisa Maiorano, della Società Lombarda di Archeologia, che conduce gli scavi in piazza Meda – è almeno altrettanto importante saper leggere i reperti man mano che emergono e capire a che periodo appartengono».
L´approccio al terreno è questo: prima la ruspa apre gli scavi preventivi, quattro metri per quattro, in cui viene effettuato uno scavo stratigrafico fino ad arrivare ad un livello di interesse storico. Poi gli archeologi iniziano a spalare.
«È un lavoro fisicamente molto faticoso – racconta Monica Fallarini, 39 anni e una laurea in Lettere antiche – scavo da quindici anni e il mal di schiena comincia a farsi sentire. Si lavora sempre piegati e anche il più semplice dei movimenti, come usare la cazzuola, a lungo andare ti fa venire dolori e tendiniti».
La fatica però è spesso ripagata. «Trovare reperti interi è certamente una soddisfazione – spiega Barbara Galli, 29 anni, laureata in Beni culturali – ma forse la cosa più bella è riuscire a farsi una visione d´insieme del sito che si sta ripulendo. Con una certa esperienza si riesce ad immaginare come era la vita di una determinata area, diversi secoli prima».
Essere in mezzo ai palazzi e alle macchine forse non è il massimo, ma tanti confessano che poter andare alla ricerca della Milano romana è, in un certo senso, un onore.
Anche perché, spiega Luca Fontana, 26 anni e gli studi di Storia antica in corso, «in città trovi di tutto, appena sotto l´asfalto emergono resti dell´Ottocento come del protostorico». Oltre a chi spinge carriole in canotta e chi trasporta secchi con le vesciche sotto le mani, in piazza Meda c´è anche chi lava e cataloga reperti. «Riempio il catino e immergo i frammenti – racconta Alfonsina Amato, 29 anni e una passione per l´età del bronzo – poi li lascio ad asciugare al sole nei setacci, osservo e catalogo: su ogni pezzo segnalo il sito di provenienza e l´unità stratigrafica».
Sulle ceramiche si scrive con la china e poi si passa una mano di smalto. Quello da unghie, trasparente. Perché il vero archeologo non ha rivoltella e frusta in mano, ma strumenti semplicissimi mossi alla luce di conoscenze complesse.


Fonte: La Repubblica 24/08/2007
Autore: Laura Bellomi

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