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MILANO. La «mappa» la traccia Google Earth.

C’era una volta l’intrepido Indiana Jones che, armato di frusta e di tanta passione, s’inoltrava nei luoghi più remoti della Terra per ritrovare preziosi reperti archeologici.
Ma nel XXI secolo il celebre personaggio ideato da George Lucas e diretto al cinema da Steven Spielberg non è più al passo con i tempi: oggi le scoperte archeologiche più importanti si possono fare comodamente seduti sulla poltrona di casa usando Google Earth.
Lo ha dimostrato recentemente David Kennedy, archeologo dell’università dell’Australia occidentale, che grazie al software che genera immagini virtuali della Terra utilizzando foto satellitari e aeree, è riuscito a scovare quasi duemila siti archeologici sconosciuti in Arabia Saudita.

I RITROVAMENTI – Lo studioso australiano ha individuato 1.977 potenziali siti archeologici, di cui 1.082 tombe in pietra a forma di goccia. Il professore ha confermato alla rivista New Scientist di aver chiesto successivamente a un amico che lavora nel Paese saudita di fotografare alcuni di questi siti archeologici. Le immagini confermerebbero che si tratta di reperti molto antichi.
Confrontando le foto con alcuni siti archeologici che in passato ha visto in Giordania, Kennedy ritiene che i reperti possano essere stati costruiti 9 mila anni fa. Tuttavia lo studioso non si fa prendere dall’entusiasmo e rivela che è necessaria un’ulteriore verifica sul campo per ottenere la datazione certa: «Il problema è che con Google Earth è impossibile capire se abbiamo trovato una struttura beduina costruita 150 anni fa o 10 mila anni fa», ha dichiarato l’archeologo di Perth. Kennedy non è il primo studioso che si avvale del celebre software per scovare reperti antichi.
In Inghilterra diversi archeologi hanno identificato grazie alle immagini satellitari siti risalenti all’epoca romana, mentre in Perù e in Belize con Google Earth sono stati ritrovati reperti costruiti ai tempi dei Nazca e dei Maya. E studiosi italiani hanno scoperto un cratere meteoritico in Egitto, poi verificato sul posto, grazie allo stesso sito.

IL DIVIETO DEI RELIGIOSI SAUDITI – Kennedy non ha potuto verificare sul campo le sue scoperte, perché l’Arabia Saudita ha leggi molto restrittive in materie di archeologia e non permette alla maggior parte degli studiosi di visitare i siti storici più antichi: «Non sono mai stato in Arabia Saudita», ha confessato l’archeologo. «Non è il Paese più semplice in cui entrare».
Secondo Kennedy le fotografie aeree del Paese arabo non sono accessibili alla maggior parte degli archeologici ed è quasi impossibile ottenere il visto per poter visitare i luoghi antichi: «Ma con Google Earth il problema si può aggirare», continua lo studioso.
I governanti dell’Arabia Saudita temono che la scoperta di nuovi siti archeologici, magari risalenti a epoche precedenti alla nascita dell’islam, possa minare la religione di Stato. Un editto emesso nel 1994 da un consiglio di religiosi affermava che la conservazione dei siti archeologici avrebbe «potuto portare la popolazione locale verso il politeismo e l’idolatria». Coloro che avrebbero trasgredito la norma – continuava l’editto – sarebbero stati puniti, anche con la pena di morte.
Eppure in questa terra ricca di storia, secondo i ricercatori, ci sarebbero tanti siti archeologici che potrebbero essere studiati e visitati. Negli ultimi anni i governanti sauditi hanno permesso pochissime esplorazioni. Ad esempio hanno concesso ad alcuni studiosi di scavare le rovine dell’antica e poco conosciuta Hegra (oggi si chiama Maidan Saleh), città fondata oltre 2 mila anni fa dai nabatei, nomadi semiti dell’Arabia meridionale.

Autore: Francesco Tortora

Fonte: Corriere della Sera, 07-02-2011

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