Le defixiones erano testi di maledizione ampiamente diffusi nel mondo classico (ne sono state trovati scritti in greco, latino, osco, etrusco, celtico, iberico e punico) con i quali l’autore/autrice intendeva colpire uno o più destinatari. Di solito sono incisi su fogli di piombo e ritrovati, arrotolati o piegati, in luoghi con valenza magico-religiosa come tombe, pozzi, sorgenti o santuari che consentivano un contatto diretto con l’ultraterreno ed in particolare gli dei inferi. Talvolta indicavano il solo nome del defisso (il destinatario della maledizione) in alcuni casi contenevano anche formulari specifici.
L’individuazione delle defixiones etrusche in considerazione della scarsa conoscenza della lingua risulta piuttosto complessa ed in gran parte si basa sulla constatazione del supporto in piombo e sulla particolarità (quando nota) del luogo del ritrovamento.
Alcuni reperti in piombo inscritti, seppur con qualche incertezza, sono stati interpretati come maledizioni etrusche.
Nel dicembre del 1755 in una tomba a doppia camera nei pressi del Podere San Girolamo a Volterra, sotto a ceneri e resti di urne, fu trovato un involucro di piombo. Il singolare oggetto era costituito da una lamina più grande (circa 12 x 30 cm), ripiegata, che conteneva due lamine più piccole ed il contenitore era chiuso da una striscia sempre in piombo. Le lamine (tutte e tre) presentavano iscrizioni in caratteri etruschi. La scrittura sulla lamina più grande era disposta su due colonne per circa tredici righe ciascuna. Le lamine più piccole contenevano rispettivamente quattro righe ed una sola parola. Nel documento sarebbero scritti solo nominativi (35) appartenenti a famiglie volterrane. La grafia farebbe pensare al III – II secolo a.C.
Nel 1890 fu rinvenuta in una necropoli a Monte Pitti (con tombe principalmente del III secolo a.C.) presso Populonia un’iscrizione su lamina di piombo. L’iscrizione si compone di dieci righe e comprende una serie di formule onomastiche intervallate da quelli che sembrano essere dei formulari di non facile comprensione. La maledizione sarebbe stata lanciata da una donna (Titi Setria) e tra i defissi (dodici) vi sarebbe anche una donna (Thancvil Velsui). Nel testo compare anche l’espressione inpa θapicun θapintaś ripetuto con l’unica variante θapintaiś; infine si trova due volte da solo θapicun. Secondo gli studiosi potrebbe trattarsi di una formula di maledizione del tipo “i quali maledico avendo maledetto”.
Nel febbraio 1943 fu rinvenuta a Poggio Gaiella a Chiusi una lamina di piombo. Si trattava di un foglio ripiegato in tre con circa cinque righe di scrittura in scriptio continua. L’iscrizione presenterebbe un limitato numero di forme onomastiche. Tra le parole compare anche il teonimo śuris. Il documento (della cui autenticità in passato si è dubitato) sembrerebbe ascrivibile al VI – V secolo a.C.
Ad Ardea (e quindi in territorio non etrusco) negli scavi relativi ad un santuario è stata trovata una piccola lamina in piombo inscritta per due righe della metà del V secolo a.C.: prima riga: veluθraśi; seconda riga: mlaχ. L’iscrizione potrebbe essere relativa alla defissione di un nobile (mlaχ) etrusco (Vel Uthras) trapiantato ad Ardea posta in essere da un altro etrusco (in questo senso Giovanni Colonna) anch’egli spostatosi nel Lazio.
Sulle defixiones etrusche cfr., tra l’latro:
– Riccardo Massarelli, Le defixiones nel mondo etrusco, Forme e Strutture della Religione nell’Italia Mediana Antica, III Convegno Internazionale dell’Istituto di Ricerche e Documentazione sugli Antichi Umbri 21 – 25 settembre 2011, L’Erma di Bretschneider, 2016, pag. 517 e ss.;
– Giulio M. Facchetti, L’enigma svelato della lingua etrusca, Newton e Compton editori, 2000, pagg. 247 e ss.
Di seguito copie delle iscrizioni della lamina più grande di Volterra, del documento di Monte Pitti, della lamina di Poggio Gaiella e di quella di Ardea.
Autore: Michele Zazzi – michele.zazzi@alice.it