La civiltà minoica risale al III-II millennio a. C. , periodo in cui l’isola di Creta era già abbastanza progredita: si coltivava l’olio e l’uva e si lavorava il bronzo. Ma ciò che contribuì allo sviluppo e alla ricchezza di questa civiltà furono i continui rapporti commerciali con i vicini popoli del sud-oriente. Le vie di comunicazione maggiormente privilegiate dai cretesi erano quelle marittime, tramite le quali si spingevano ovunque creando nuovi villaggi.
Anche se a volte, le fonti letterarie dell’antichità non sono molto attendibili dobbiamo comunque tener conto del fatto che Dionigi di Alicarnasso (I sec. a.C.) accolse per buona una tradizione che affermava che tra il 1700-1800 a.C. popolazioni arcado-pelasgiche provenienti dal Peloponneso, guidate da Enotrio e Peucezio, figli del re degli Arcadi, oltrepassarono fra le tempeste il Mar Ionio e giunsero nella penisola salentina. Difatti, la presenza minoica è attestata nel Salento nel sito di Roca, con il rinvenimento di aree cultuali simili a quele presenti a Micene, e reperti di chiara derivazione egea e minoica. Lo stesso impianto di fortificazione della città, presenta caratteristiche assimilabili alla civiltà della Grecia arcaica.
I materiali di tipo minoico e miceneo, riportati alla luce nel corso degli scavi condotti nell’ultimo decennio dagli archeologi Cosimo Pagliara e Riccardo Guglielmino, hanno gettato nuova luce sulle relazioni economiche e culturali che i Minoici ed i Micenei intrattennero con le popolazioni locali. Roca Vecchia, nei pressi di Melendugno, fu uno dei più importanti scali marittimi dell’Italia meridionale nell’età del Bronzo.
Dal 1984 sono iniziati scavi archeologici di notevole importanza, che hanno evidenziato dei resti di una grande città con un imponente sistema di fortificazione, costituito da mura spesse.
«Dalle scoperte» ha affermato Guglielmino «si rileva che intorno al XV sec. a.C. la città sia stata assediata e incendiata. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio. La città fu più volte distrutta e più volte ricostruita anche se si ignora chi fossero i popoli fondatori. Il sito fu comunque frequentato per tutta l’età del Ferro, mentre decisamente più numerose sono le tracce relative all’età messapica (IV-III secolo a.C.): una cinta muraria che tuttavia non fu completata, un monumento funerario, diverse tombe e alcune fornaci»
Il sito, ha spiegato Pagliara, fu successivamente abbandonato.
«Non sono state rinvenute tracce del periodo romano, mentre fu frequentato nell’alto medioevo da anacoreti, provenienti perlopiù dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo costituirono una comunità, abitando in una serie di grotte scavate nel calcare».
Dagli scavi sono emersi esempi di modelli minoici ed egei, come ad esempio 200 vasi di diversa grandezza, ricostruibili quasi per intero, numerosi oggetti di uso comune, come pugnali, oggetti di avorio, strumenti per la lavorazione della porpora, attingitoi usati per i banchetti, giare di argilla, coperchi, pezzi semilavorati di avorio. Fra i reperti anche parti di ossa con carne di animali, sacrificati prima di edificare le capanne, impronte di elementi vegetali, come foglie di alloro e corde usate per legare le ossa animali, sette scheletri appartenenti a due individui adulti e a cinque di età minore, ancora sottoposti ad analisi, che si presume potessero comporre una famiglia.
«È emersa» ha concluso Guglielmino «una tipologia diversa delle abitazioni: si è notata infatti una gerarchia degli edifici a seconda dei destinatari, che venivano sovrappopolati anche da genti lontane nei periodi di guerra e di pericolo. Si presume che Roca Vecchia sia stato un importante centro di estrazione e lavorazione della porpora, anche grazie alla grande quantità di acqua potabile che garantiva la vita nella città, proveniente da un fiume sotterraneo e da numerosi pozzi».
Nonostante le difficoltà ambientali affrontate nel corso degli anni, la ricostruzione della storia di Roca Vecchia si pensa sia determinante per delineare la fisionomia dell’aria periferia del mondo miceneo.
Anche se a volte, le fonti letterarie dell’antichità non sono molto attendibili dobbiamo comunque tener conto del fatto che Dionigi di Alicarnasso (I sec. a.C.) accolse per buona una tradizione che affermava che tra il 1700-1800 a.C. popolazioni arcado-pelasgiche provenienti dal Peloponneso, guidate da Enotrio e Peucezio, figli del re degli Arcadi, oltrepassarono fra le tempeste il Mar Ionio e giunsero nella penisola salentina. Difatti, la presenza minoica è attestata nel Salento nel sito di Roca, con il rinvenimento di aree cultuali simili a quele presenti a Micene, e reperti di chiara derivazione egea e minoica. Lo stesso impianto di fortificazione della città, presenta caratteristiche assimilabili alla civiltà della Grecia arcaica.
I materiali di tipo minoico e miceneo, riportati alla luce nel corso degli scavi condotti nell’ultimo decennio dagli archeologi Cosimo Pagliara e Riccardo Guglielmino, hanno gettato nuova luce sulle relazioni economiche e culturali che i Minoici ed i Micenei intrattennero con le popolazioni locali. Roca Vecchia, nei pressi di Melendugno, fu uno dei più importanti scali marittimi dell’Italia meridionale nell’età del Bronzo.
Dal 1984 sono iniziati scavi archeologici di notevole importanza, che hanno evidenziato dei resti di una grande città con un imponente sistema di fortificazione, costituito da mura spesse.
«Dalle scoperte» ha affermato Guglielmino «si rileva che intorno al XV sec. a.C. la città sia stata assediata e incendiata. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio. La città fu più volte distrutta e più volte ricostruita anche se si ignora chi fossero i popoli fondatori. Il sito fu comunque frequentato per tutta l’età del Ferro, mentre decisamente più numerose sono le tracce relative all’età messapica (IV-III secolo a.C.): una cinta muraria che tuttavia non fu completata, un monumento funerario, diverse tombe e alcune fornaci»
Il sito, ha spiegato Pagliara, fu successivamente abbandonato.
«Non sono state rinvenute tracce del periodo romano, mentre fu frequentato nell’alto medioevo da anacoreti, provenienti perlopiù dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo costituirono una comunità, abitando in una serie di grotte scavate nel calcare».
Dagli scavi sono emersi esempi di modelli minoici ed egei, come ad esempio 200 vasi di diversa grandezza, ricostruibili quasi per intero, numerosi oggetti di uso comune, come pugnali, oggetti di avorio, strumenti per la lavorazione della porpora, attingitoi usati per i banchetti, giare di argilla, coperchi, pezzi semilavorati di avorio. Fra i reperti anche parti di ossa con carne di animali, sacrificati prima di edificare le capanne, impronte di elementi vegetali, come foglie di alloro e corde usate per legare le ossa animali, sette scheletri appartenenti a due individui adulti e a cinque di età minore, ancora sottoposti ad analisi, che si presume potessero comporre una famiglia.
«È emersa» ha concluso Guglielmino «una tipologia diversa delle abitazioni: si è notata infatti una gerarchia degli edifici a seconda dei destinatari, che venivano sovrappopolati anche da genti lontane nei periodi di guerra e di pericolo. Si presume che Roca Vecchia sia stato un importante centro di estrazione e lavorazione della porpora, anche grazie alla grande quantità di acqua potabile che garantiva la vita nella città, proveniente da un fiume sotterraneo e da numerosi pozzi».
Nonostante le difficoltà ambientali affrontate nel corso degli anni, la ricostruzione della storia di Roca Vecchia si pensa sia determinante per delineare la fisionomia dell’aria periferia del mondo miceneo.
Autore: Rudy Miggiano, Gruppo Archeologico di Terra d’Otranto.