Il Trentino offre ampie testimonianze del passaggio dei giganti che, milioni di anni fa, popolavano le spiagge che si estendevano in questo luogo prima delle valli: i dinosauri. Gli icnologi – studiosi che si occupano delle tracce lasciate dagli organismi animali – cercano da sempre di capire quali tipi di animali hanno camminato sulla nostra terra. “Pochi altri luoghi al mondo – afferma Marco Avanzini, conservatore responsabile della sezione di geologia del Museo Tridentino di Scienze Naturali (MTSN) e noto esperto di icnologia – offrono la possibilità di osservare successioni rocciose continue e ricche di tracce fossili perfettamente datate.
Le montagne del Trentino consentono di studiare comparse e scomparse di interi gruppi di vertebrati e di legare questi accadimenti alla geografia e al clima del loro tempo. La possibilità di “fissarle” virtualmente in un grande archivio digitale rappresenta una sfida interessante e possibile”.
Analizzare le orme per comprendere come apparissero i grandi animali migliaia di anni fa è cosa più difficile di quanto non si creda. Le tradizionali tecniche di studio applicate in paleontologia si basano sulla valutazione dei reperti secondo l’analisi di evidenze visive e sulla misurazione delle dimensioni e profondità dell’impronta, che permettono di ricavare peso e caratteristiche dell’animale.
Dal numero e dalla forma delle tracce si può capire se fossero soli o in branco, carnivori o erbivori, postura e molto altro. Oltre a questi esami, sul luogo del ritrovamento gli icnologi realizzano ricalchi su plastiche trasparenti, calchi con resine o gessi che vengono poi analizzati in laboratorio. Documentazioni invasive e poco precise di questo tipo hanno maggior probabilità di procurare un danno al reperto, già provato dal passare dei secoli.
Ma gli studiosi cercano, o meglio, vogliono trovare un modo per scoprire quali segreti si celano nelle orme dei dinosauri. A prestare loro aiuto sono allora intervenute le nuove tecnologie di rilievo in 3 dimensioni, sviluppate presso il centro di ricerca di Trento, che si distinguono proprio per la loro non invasività ed estrema precisione: fotogrammetria e laser scanner permettono di ottenere una diagnosi più chiara e una documentazione più accurata.
Proprio grazie alla collaborazione – ormai collaudata da diversi anni – dei ricercatori Fabio Remondino, Giorgio Agugiaro, Alessandro Rizzi e Stefano Girardi dell’Unità di ricerca 3DOM (3D Optical Metrology) della Fondazione Bruno Kessler di Trento con i geologi del Museo Tridentino di Scienze Naturali è stato possibile portare a termine i rilievi in 3D e la documentazione digitale di numerose orme e tracce di dinosauri.
L’ultima scoperta, realizzata dai geologi del MTSN l’estate scorsa, riguarda tre orme di dinosauro conservate come calchi naturali sul soffitto di una galleria scavata durante la Prima Guerra Mondiale. Teatro del ritrovamento è il Monte Buso, sul Pasubio, un massiccio calcareo situato al confine fra le province di Trento e Vicenza.
Una scoperta che potrebbe rivoluzionare la geografia giurassica dell’Italia, “in quanto – spiega il paleoicnologo Avanzini – i dinosauri in questo punto della montagna, e in strati di questa età, non dovevano esserci. I modelli elaborati fino ad oggi dagli espert prevedevano che il nostro territorio (ndr. il Trentino), nel Giurassico inferiore, fosse costituito da piane fangose perlopiù sott’acqua e lontane da qualsiasi continente: un ambiente nel quale i grandi dinosauri non potevano certo vivere. É invece evidente che se nel Monte Buso esistono orme di grandi dinosauri (quelle trovate appartengono a esemplari di 3-400 kg e 6-7 metri di lunghezza), le piane fangose non potevano essere così lontane dai continenti stabili”.
Sul sito quindi, in aggiunta ai pennelli e le spazzole dei paleontologi, i ricercatori della FBK hanno portato i loro “ferri del mestiere”: computer, macchine fotografiche e due laser scanner, uno a “tempo di volo” e uno definito a “triangolazione”. Una strumentazione in grado di acquisire i dettagli degli oggetti fino a un decimo di millimetro di risoluzione.
Diverse sperimentazioni e prove sul campo hanno permesso alla squadra di studiosi di sviluppare una metodologia che ha portato a risultati affascinanti. Ecco la novità: le impronte di dinosauri sono ricostruite – identiche all’originale – in formato digitale. Attraverso software specifici, le tracce lasciate dai dinosauri sono visibili sullo schermo del computer: si possono di fatto analizzare velocemente da ogni angolo, girare su se stesse, rovesciarle dal basso verso l’alto, avvicinarle e ruotarle con una precisione tale da scorgere dettagli impercettibili all’occhio umano. Ma non solo. Grazie al processo di acquisizione, i paleontologi possono studiare a fondo anche il luogo del ritrovamento delle orme, all’interno di gallerie e grotte, o all’esterno, riprodotto fedelmente in 3D.
“Tramite il laser scanner – spiega Avanzini – un’orma viene riprodotta in 3 dimensioni con precisione di molto superiore alle potenzialità dell’occhio umano. Per dare l’idea della profondità, i livelli dell’impronta possono essere colorati; l’oggetto virtuale può essere così analizzato e trattato per ricavarne il maggior numero possibile di dati. L’orma, infine, viene immortalata: grazie alla sua perfetta riproduzione digitale, le informazioni che la riguardano vengono sottratte alle intemperie e alla sua intrinseca caducità.
Le tecniche laser hanno anche il vantaggio di restituire tridimensionalmente orme e successioni di orme persino in luoghi difficilmente accessibili e di consentirne, quasi in automatico, la comparazione e la sovrapposizione agli scheletri ritrovati, così da fornire preziose informazioni sui loro autori”. Un appoggio decisivo quindi alle tecniche di rilevamento tradizionali.
“La collaborazione con la FBK – continua Avanzini – è nata quasi sei anni fa in occasione della scoperta, presso Caserta, delle orme fossili umane più antiche d’Europa risalenti a circa 360mila anni fa. Le potenzialità dei metodi di documentazione che al tempo il gruppo 3DOM stava mettendo a punto sembravano perfette per evidenziare una serie di caratteristiche morfologiche delle tracce sulle quali basare la ricostruzione degli autori e delle loro modalità di deambulazione. La collaborazione è proseguita nel rilievo di orme di dinosauro e più in generale di rettili preistorici in molti altri luoghi della nostra penisola”.
In conclusione, dott. Avanzini, il 3D può rappresentare il futuro degli studi nel campo della paleontologia?
“É difficile dirlo – spiega lo specialista. Indubbiamente le riprese con strumenti laser scanner hanno rappresentato un grande passo avanti nella documentazione, nel loro potere di archiviazione e scambio di dati quasi in tempo reale. É però vero che i costi ancora molto elevati di questa strumentazione rappresentano un limite non trascurabile. La fotogrammetria digitale invece, unita a tecniche di correlazione automatica di immagini, sembra in questo senso molto più promettente”.
Quel che è certo è che la collaborazione tra l’Unità di ricerca 3DOM di FBK e il MTSN ha finora portato al rilievo 3D di numerose orme: in Trentino, dal sito delle Coste dell’Anglone (Dro), sul Monte Finonchio (Rovereto), il Castello di S. Gottardo (Mezzocorona), fino a Zone (Brescia) e sul Monte Pelmetto (Belluno), nonché a diversi calchi di impronte presenti presso il MTSN.
In futuro i ricercatori della FBK saranno impegnati ai Lavini di Marco (Rovereto – Tn) per la documentazione 3D dell’intera area, un sito importantissimo, dove si possono contare oltre 1500 impronte.
La ricerca paleontologica trova dunque grande utilità nella realizzazione di modelli tridimensionali basati sui dati archeologici, specie nel Trentino che rappresenta un case study di notevole interesse. Del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese fanno parte dunque anche i reperti lasciati dai “grandi” del passato, che, grazie alle nuove metodologie sviluppate dalla FBK, possono essere salvaguardati e valorizzati anche dal punto di vista didattico e turistico.
Le montagne del Trentino consentono di studiare comparse e scomparse di interi gruppi di vertebrati e di legare questi accadimenti alla geografia e al clima del loro tempo. La possibilità di “fissarle” virtualmente in un grande archivio digitale rappresenta una sfida interessante e possibile”.
Analizzare le orme per comprendere come apparissero i grandi animali migliaia di anni fa è cosa più difficile di quanto non si creda. Le tradizionali tecniche di studio applicate in paleontologia si basano sulla valutazione dei reperti secondo l’analisi di evidenze visive e sulla misurazione delle dimensioni e profondità dell’impronta, che permettono di ricavare peso e caratteristiche dell’animale.
Dal numero e dalla forma delle tracce si può capire se fossero soli o in branco, carnivori o erbivori, postura e molto altro. Oltre a questi esami, sul luogo del ritrovamento gli icnologi realizzano ricalchi su plastiche trasparenti, calchi con resine o gessi che vengono poi analizzati in laboratorio. Documentazioni invasive e poco precise di questo tipo hanno maggior probabilità di procurare un danno al reperto, già provato dal passare dei secoli.
Ma gli studiosi cercano, o meglio, vogliono trovare un modo per scoprire quali segreti si celano nelle orme dei dinosauri. A prestare loro aiuto sono allora intervenute le nuove tecnologie di rilievo in 3 dimensioni, sviluppate presso il centro di ricerca di Trento, che si distinguono proprio per la loro non invasività ed estrema precisione: fotogrammetria e laser scanner permettono di ottenere una diagnosi più chiara e una documentazione più accurata.
Proprio grazie alla collaborazione – ormai collaudata da diversi anni – dei ricercatori Fabio Remondino, Giorgio Agugiaro, Alessandro Rizzi e Stefano Girardi dell’Unità di ricerca 3DOM (3D Optical Metrology) della Fondazione Bruno Kessler di Trento con i geologi del Museo Tridentino di Scienze Naturali è stato possibile portare a termine i rilievi in 3D e la documentazione digitale di numerose orme e tracce di dinosauri.
L’ultima scoperta, realizzata dai geologi del MTSN l’estate scorsa, riguarda tre orme di dinosauro conservate come calchi naturali sul soffitto di una galleria scavata durante la Prima Guerra Mondiale. Teatro del ritrovamento è il Monte Buso, sul Pasubio, un massiccio calcareo situato al confine fra le province di Trento e Vicenza.
Una scoperta che potrebbe rivoluzionare la geografia giurassica dell’Italia, “in quanto – spiega il paleoicnologo Avanzini – i dinosauri in questo punto della montagna, e in strati di questa età, non dovevano esserci. I modelli elaborati fino ad oggi dagli espert prevedevano che il nostro territorio (ndr. il Trentino), nel Giurassico inferiore, fosse costituito da piane fangose perlopiù sott’acqua e lontane da qualsiasi continente: un ambiente nel quale i grandi dinosauri non potevano certo vivere. É invece evidente che se nel Monte Buso esistono orme di grandi dinosauri (quelle trovate appartengono a esemplari di 3-400 kg e 6-7 metri di lunghezza), le piane fangose non potevano essere così lontane dai continenti stabili”.
Sul sito quindi, in aggiunta ai pennelli e le spazzole dei paleontologi, i ricercatori della FBK hanno portato i loro “ferri del mestiere”: computer, macchine fotografiche e due laser scanner, uno a “tempo di volo” e uno definito a “triangolazione”. Una strumentazione in grado di acquisire i dettagli degli oggetti fino a un decimo di millimetro di risoluzione.
Diverse sperimentazioni e prove sul campo hanno permesso alla squadra di studiosi di sviluppare una metodologia che ha portato a risultati affascinanti. Ecco la novità: le impronte di dinosauri sono ricostruite – identiche all’originale – in formato digitale. Attraverso software specifici, le tracce lasciate dai dinosauri sono visibili sullo schermo del computer: si possono di fatto analizzare velocemente da ogni angolo, girare su se stesse, rovesciarle dal basso verso l’alto, avvicinarle e ruotarle con una precisione tale da scorgere dettagli impercettibili all’occhio umano. Ma non solo. Grazie al processo di acquisizione, i paleontologi possono studiare a fondo anche il luogo del ritrovamento delle orme, all’interno di gallerie e grotte, o all’esterno, riprodotto fedelmente in 3D.
“Tramite il laser scanner – spiega Avanzini – un’orma viene riprodotta in 3 dimensioni con precisione di molto superiore alle potenzialità dell’occhio umano. Per dare l’idea della profondità, i livelli dell’impronta possono essere colorati; l’oggetto virtuale può essere così analizzato e trattato per ricavarne il maggior numero possibile di dati. L’orma, infine, viene immortalata: grazie alla sua perfetta riproduzione digitale, le informazioni che la riguardano vengono sottratte alle intemperie e alla sua intrinseca caducità.
Le tecniche laser hanno anche il vantaggio di restituire tridimensionalmente orme e successioni di orme persino in luoghi difficilmente accessibili e di consentirne, quasi in automatico, la comparazione e la sovrapposizione agli scheletri ritrovati, così da fornire preziose informazioni sui loro autori”. Un appoggio decisivo quindi alle tecniche di rilevamento tradizionali.
“La collaborazione con la FBK – continua Avanzini – è nata quasi sei anni fa in occasione della scoperta, presso Caserta, delle orme fossili umane più antiche d’Europa risalenti a circa 360mila anni fa. Le potenzialità dei metodi di documentazione che al tempo il gruppo 3DOM stava mettendo a punto sembravano perfette per evidenziare una serie di caratteristiche morfologiche delle tracce sulle quali basare la ricostruzione degli autori e delle loro modalità di deambulazione. La collaborazione è proseguita nel rilievo di orme di dinosauro e più in generale di rettili preistorici in molti altri luoghi della nostra penisola”.
In conclusione, dott. Avanzini, il 3D può rappresentare il futuro degli studi nel campo della paleontologia?
“É difficile dirlo – spiega lo specialista. Indubbiamente le riprese con strumenti laser scanner hanno rappresentato un grande passo avanti nella documentazione, nel loro potere di archiviazione e scambio di dati quasi in tempo reale. É però vero che i costi ancora molto elevati di questa strumentazione rappresentano un limite non trascurabile. La fotogrammetria digitale invece, unita a tecniche di correlazione automatica di immagini, sembra in questo senso molto più promettente”.
Quel che è certo è che la collaborazione tra l’Unità di ricerca 3DOM di FBK e il MTSN ha finora portato al rilievo 3D di numerose orme: in Trentino, dal sito delle Coste dell’Anglone (Dro), sul Monte Finonchio (Rovereto), il Castello di S. Gottardo (Mezzocorona), fino a Zone (Brescia) e sul Monte Pelmetto (Belluno), nonché a diversi calchi di impronte presenti presso il MTSN.
In futuro i ricercatori della FBK saranno impegnati ai Lavini di Marco (Rovereto – Tn) per la documentazione 3D dell’intera area, un sito importantissimo, dove si possono contare oltre 1500 impronte.
La ricerca paleontologica trova dunque grande utilità nella realizzazione di modelli tridimensionali basati sui dati archeologici, specie nel Trentino che rappresenta un case study di notevole interesse. Del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese fanno parte dunque anche i reperti lasciati dai “grandi” del passato, che, grazie alle nuove metodologie sviluppate dalla FBK, possono essere salvaguardati e valorizzati anche dal punto di vista didattico e turistico.
Maggiori informazioni:
– Unità di ricerca FBK-3DOM: http://3dom.fbk.eu
– Fondazione Bruno Kessler: www.fbk.eu
– Museo Tridentino di Scienze Naturali (MTSN): http://www.mtsn.tn.it/
– News FBK “I ricercatori FBK scansionano in digitale le impronte dei dinosauri”: http://www.fbk.eu/it/node/497
– News MTSN “I dinosauri ridisegnano la geografia giurassica dell’Italia”: http://www.mtsn.tn.it/comunicazione/2010/dinosauri_pasubio/dinosauri_pas…
– Altre foto sul canale Facebook del MTSN: http://www.facebook.com/album.php?aid=326414&id=209565943573
Autore: Marzia Lucianer, lucianer@fbk.eu