Le scoperte di Mozia, dal Tempio del Kothon, con il Temenos circolare di 118 m di diametro, al Tofet, alle mura, al Sacello di Astarte, alla Casa del sacello domestico, hanno arricchito le conoscenze sul Mediterraneo antico mettendo in risalto la fitta rete di relazioni, scambi, prestiti, diversità e contaminazioni tra le culture fiorite in epoca protostorica.
Mozia è anche una chiave per risalire alle più profonde radici levantine della cultura punica: l’isola, che corrisponde all’attuale San Pantaleo nell’arcipelago delle Egadi in Sicilia, rappresentò inizialmente un punto d’approdo fenicio e fu spesso paragonata alla città di Tiro per le fortificazioni lungo tutta la costa e la strada di collegamento alla terraferma. Dopo l’ascesa di Cartagine nel VI secolo a.C., divenne capoluogo punico della Sicilia occidentale.
Le ricerche archeologiche, iniziate nel 1964 grazie a Sabatino Moscati e condotte fino al 1993 da Antonia Ciasca, sono dirette dal 2002 da Lorenzo Nigro, archeologo della Sapienza che ha curato campagne di scavo regolari ogni anno in estate (agosto-ottobre) e campagne di studio e restauro in primavera (aprile-maggio), portando un radicale cambiamento delle conoscenze sulla antica colonia fenicia.
La scoperta del Tempio del Kothon all’interno di un grande Temenos circolare, ha rivelato il primo stanziamento fenicio sull’isola. Nelle altre aree oggetto di scavo altri importanti monumenti consentono di seguire la storia della città dal primo sviluppo come fondamentale approdo sulla rotta verso Occidente, all’assoggettamento a Cartagine per finire con la drammatica distruzione finale a opera del tiranno di Siracusa, Dionigi, nel 396 a.C. L’approccio multidisciplinare comprende attività di ricerca che spaziano dall’archeologia all’informatica, alla medicina (DNA antico), alla paleobotanica, alla zooarcheologia, condotte in proficua collaborazione con la Fondazione G. Whitaker, proprietaria dell’Isola e l’assessorato regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana.
Nella campagna 2011 è stato individuato un nuovo edificio di culto associato ad un’area industriale a ovest del Kothon, anch’esso caratterizzato dalla presenza delle acque e con numerosissime offerte, in particolare resti di animali sacrificati. Tra i ritrovamenti più significativi in questo santuario sono un cratere a figure rosse di produzione attica con una scena di commiato e un simposio e uno scarabeo egizio in feldspato verde. Nel grande Temenos circolare sono stati rinvenuti anche quest’anno resti umani associati a segnacoli e altre offerte, tra i quali ancora mandibole che potranno essere utilizzate nell’analisi del Dna degli antichi abitanti di Mozia, una ricerca portata avanti in collaborazione con il dipartimento di Medicina sperimentale e lo staff della docente Laura Ottini.
Mozia è anche un laboratorio di sperimentazione scientifica di eccellenza della Sapienza: nella campagna 2011 sono state avviate le prime prospezioni con il DRONE “GG AFE (Archaeological Flying Eye) 01” e sono iniziati gli esperimenti con i nodi sensori condotti in collaborazione con il dipartimento di Ingegneria informatica e il dipartimento di Informatica con lo staff della docente Chiara Petrioli.
Mozia è anche una chiave per risalire alle più profonde radici levantine della cultura punica: l’isola, che corrisponde all’attuale San Pantaleo nell’arcipelago delle Egadi in Sicilia, rappresentò inizialmente un punto d’approdo fenicio e fu spesso paragonata alla città di Tiro per le fortificazioni lungo tutta la costa e la strada di collegamento alla terraferma. Dopo l’ascesa di Cartagine nel VI secolo a.C., divenne capoluogo punico della Sicilia occidentale.
Le ricerche archeologiche, iniziate nel 1964 grazie a Sabatino Moscati e condotte fino al 1993 da Antonia Ciasca, sono dirette dal 2002 da Lorenzo Nigro, archeologo della Sapienza che ha curato campagne di scavo regolari ogni anno in estate (agosto-ottobre) e campagne di studio e restauro in primavera (aprile-maggio), portando un radicale cambiamento delle conoscenze sulla antica colonia fenicia.
La scoperta del Tempio del Kothon all’interno di un grande Temenos circolare, ha rivelato il primo stanziamento fenicio sull’isola. Nelle altre aree oggetto di scavo altri importanti monumenti consentono di seguire la storia della città dal primo sviluppo come fondamentale approdo sulla rotta verso Occidente, all’assoggettamento a Cartagine per finire con la drammatica distruzione finale a opera del tiranno di Siracusa, Dionigi, nel 396 a.C. L’approccio multidisciplinare comprende attività di ricerca che spaziano dall’archeologia all’informatica, alla medicina (DNA antico), alla paleobotanica, alla zooarcheologia, condotte in proficua collaborazione con la Fondazione G. Whitaker, proprietaria dell’Isola e l’assessorato regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana.
Nella campagna 2011 è stato individuato un nuovo edificio di culto associato ad un’area industriale a ovest del Kothon, anch’esso caratterizzato dalla presenza delle acque e con numerosissime offerte, in particolare resti di animali sacrificati. Tra i ritrovamenti più significativi in questo santuario sono un cratere a figure rosse di produzione attica con una scena di commiato e un simposio e uno scarabeo egizio in feldspato verde. Nel grande Temenos circolare sono stati rinvenuti anche quest’anno resti umani associati a segnacoli e altre offerte, tra i quali ancora mandibole che potranno essere utilizzate nell’analisi del Dna degli antichi abitanti di Mozia, una ricerca portata avanti in collaborazione con il dipartimento di Medicina sperimentale e lo staff della docente Laura Ottini.
Mozia è anche un laboratorio di sperimentazione scientifica di eccellenza della Sapienza: nella campagna 2011 sono state avviate le prime prospezioni con il DRONE “GG AFE (Archaeological Flying Eye) 01” e sono iniziati gli esperimenti con i nodi sensori condotti in collaborazione con il dipartimento di Ingegneria informatica e il dipartimento di Informatica con lo staff della docente Chiara Petrioli.
Info:
Lorenzo Nigro
M (+39) 320 0146232 T (+39) 06 4940582
e-mail: lorenzo.nigro@uniroma1.it