Marsala, la citta’ che per gli arabi era il porto di Dio, si sporge verso il Mediterraneo abbracciando Capo Boeo, l’estrema punta occidentale della Sicilia.
Di fronte, in mezzo al mare come isole dell’isola, ci sono, vicinissima, Mozia, antica colonia fenicia e gioiello dell’archeologia e, dalla parte opposta, piu’ distante, la terra figlia del vento, Pantelleria.
Poche miglia marine di distanza per tre localita’ accomunate dalla ricchezza del patrimonio storico ma anche da una tradizione vitivinicola dalle origini che si perdono nella leggenda e che da’ vita a tre vini pregiati e ad altrettante spettacolari vendemmie.
Probabilmente il vino di Mozia, l’odierna San Pantaleo, e’ quello piu’ antico dei tre. Pare, infatti, che lo producessero gia’ i Fenici, il popolo che otto secoli prima di Cristo aveva colonizzato questa terra piatta posta al centro della Laguna salmastra dello Stagnone.
Ai primi del Novecento, quando fu acquistata dall’archeologo e ornitologo inglese Joseph Whitaker, l’isola era ricoperta di vigneti.
La vendemmia avviene all’alba, quando i grappoli d’uva sono ancora freschi per la notte appena trascorsa, e barche a fondo piatto attraversano la laguna e fanno la spola tra una sponda e l’altra.
Di fronte, in mezzo al mare come isole dell’isola, ci sono, vicinissima, Mozia, antica colonia fenicia e gioiello dell’archeologia e, dalla parte opposta, piu’ distante, la terra figlia del vento, Pantelleria.
Poche miglia marine di distanza per tre localita’ accomunate dalla ricchezza del patrimonio storico ma anche da una tradizione vitivinicola dalle origini che si perdono nella leggenda e che da’ vita a tre vini pregiati e ad altrettante spettacolari vendemmie.
Probabilmente il vino di Mozia, l’odierna San Pantaleo, e’ quello piu’ antico dei tre. Pare, infatti, che lo producessero gia’ i Fenici, il popolo che otto secoli prima di Cristo aveva colonizzato questa terra piatta posta al centro della Laguna salmastra dello Stagnone.
Ai primi del Novecento, quando fu acquistata dall’archeologo e ornitologo inglese Joseph Whitaker, l’isola era ricoperta di vigneti.
La vendemmia avviene all’alba, quando i grappoli d’uva sono ancora freschi per la notte appena trascorsa, e barche a fondo piatto attraversano la laguna e fanno la spola tra una sponda e l’altra.
I filari di piante ad alberello visti da lontano sembrano grandi strisce di verde che interrompono una liquida pianura. Le uve di questo vitigno autoctono, detto grillo, sono bianche e molto zuccherine. Il vino che se ne produce in purezza, il Grillo di Mozia, e’ di un brillante giallo paglierino, profumato da aromi mediterranei e fruttati.
La produzione non e’ quella di una volta ma e’ destinata a crescere e i nove ettari di territorio recuperati finora alla coltivazione dopo alcuni decenni di oblio, iniziati a seguito di una grave siccita’, rappresentano gia’ una vittoria per la Fondazione Whitaker, patrocinata dall’Accademia Nazionale dei Lincei e proprietaria dell’isola, che da alcuni anni ha avviato il progetto del reimpianto dei vigneti e ha affidato la vinificazione ad una storica firma del vino siciliano, quella della famiglia Tasca d’Almerita.
E’ la stessa fondazione che cura la gestione del museo e dei suggestivi resti archeologici di Mozia, dei quali per primo Joseph Whitaker aveva intuito l’importanza.
La storia di quest’isola e quella del suo vino sono legate strettamente a quella della citta’ dirimpettaia. Fin dalle origini di quest’ultima: nel 397 a. C., quando la colonia fenicio-punica di Mozia fu distrutta da Dionisio I, tiranno di Siracusa, i superstiti si rifugiarono sulla costa e fondarono un nuovo insediamento, Lylibeo, la citta’ che guarda verso la Libia, divenuta poi la nostra Marsala.
Anche la nascita dell’omonimo vino affonda le radici in tempi lontani ma le cronache dicono che la consacrazione avvenne a partire dal 1770 ad opera di un lungimirante mercante di Liverpool, tale John Woodhouse, che ne decreto’ la fortuna migliorandone la preparazione.
Nasceva cosi’ il nuovo marsala, apprezzato e ricercato in mezzo mondo. Horatio Nelson lo imbarco’ sulle navi della sua flotta e dopo la vittoria di Trafalgar, il marsala divenne per tutti «the victory wine».
Nel 1806 arrivava un altro inglese a modernizzare la produzione. Si chiamava Benjamin Ingham ed era lo zio di Joseph Whitaker, proprio lui, il capostipite della dinastia predestinata a realizzare la rinascita dell’isola di Mozia.
Nel 1833, poi, entra in scena Vincenzo Florio, illuminato imprenditore siciliano e fondatore delle omonime cantine. Ancora oggi la zona di produzione del marsala (tra poco riprende la vendemmia «tardiva») e’ disseminata di antichi bagli, le splendide costruzioni rurali con cortile centrale in cui si spremevano e si facevano fermentare le uve, molte delle quali sono state trasformate in residenze turistiche. Stesso destino dei dammusi di Pantelleria, con le loro tipiche cupole bianche, ideali per i turisti che vogliono vivere piu’ intensamente lo spirito dell’isola.
La produzione non e’ quella di una volta ma e’ destinata a crescere e i nove ettari di territorio recuperati finora alla coltivazione dopo alcuni decenni di oblio, iniziati a seguito di una grave siccita’, rappresentano gia’ una vittoria per la Fondazione Whitaker, patrocinata dall’Accademia Nazionale dei Lincei e proprietaria dell’isola, che da alcuni anni ha avviato il progetto del reimpianto dei vigneti e ha affidato la vinificazione ad una storica firma del vino siciliano, quella della famiglia Tasca d’Almerita.
E’ la stessa fondazione che cura la gestione del museo e dei suggestivi resti archeologici di Mozia, dei quali per primo Joseph Whitaker aveva intuito l’importanza.
La storia di quest’isola e quella del suo vino sono legate strettamente a quella della citta’ dirimpettaia. Fin dalle origini di quest’ultima: nel 397 a. C., quando la colonia fenicio-punica di Mozia fu distrutta da Dionisio I, tiranno di Siracusa, i superstiti si rifugiarono sulla costa e fondarono un nuovo insediamento, Lylibeo, la citta’ che guarda verso la Libia, divenuta poi la nostra Marsala.
Anche la nascita dell’omonimo vino affonda le radici in tempi lontani ma le cronache dicono che la consacrazione avvenne a partire dal 1770 ad opera di un lungimirante mercante di Liverpool, tale John Woodhouse, che ne decreto’ la fortuna migliorandone la preparazione.
Nasceva cosi’ il nuovo marsala, apprezzato e ricercato in mezzo mondo. Horatio Nelson lo imbarco’ sulle navi della sua flotta e dopo la vittoria di Trafalgar, il marsala divenne per tutti «the victory wine».
Nel 1806 arrivava un altro inglese a modernizzare la produzione. Si chiamava Benjamin Ingham ed era lo zio di Joseph Whitaker, proprio lui, il capostipite della dinastia predestinata a realizzare la rinascita dell’isola di Mozia.
Nel 1833, poi, entra in scena Vincenzo Florio, illuminato imprenditore siciliano e fondatore delle omonime cantine. Ancora oggi la zona di produzione del marsala (tra poco riprende la vendemmia «tardiva») e’ disseminata di antichi bagli, le splendide costruzioni rurali con cortile centrale in cui si spremevano e si facevano fermentare le uve, molte delle quali sono state trasformate in residenze turistiche. Stesso destino dei dammusi di Pantelleria, con le loro tipiche cupole bianche, ideali per i turisti che vogliono vivere piu’ intensamente lo spirito dell’isola.
I dammusi piu’ grandi custodiscono anche cantine dove nascono il moscato e il passito. Qui la vendemmia e’ definita addirittura eroica: la raccolta delle uve di zibibbo e’ manuale e bisogna starsene piegati per molte ore perche’ le piantine sono cosi’ basse da sfiorare il terreno. Si vendemmia di notte, per evitare almeno il sole cocente.
La bonta’ del vino, che ha saputo trasformare in vignaioli anche vip, come gli attori francesi Ge’rard Depardieu e Carole Bouquet.
La bonta’ del vino, che ha saputo trasformare in vignaioli anche vip, come gli attori francesi Ge’rard Depardieu e Carole Bouquet.
Info:
http://www.stradavinomarsala.it – http://www.pantelleriaisland.com
Autore: Nicoletta Speltra.
Fonte La Stampa, 15/10/2009