Appena fuori dal paese di Carnac, un comune francese con meno di 5.000 anime, sito nel dipartimento di Morbihan nella regione francese Bretagna, direttamente sull’Oceano Atlantico, sulla strada per Trinité-sur-Mer, si trova davanti agli occhi uno spettacolo che, per quanto sia stato descritto e raccontato con tantissime nitide fotografie in pubblicazioni di varie estrazioni, lascia sempre il visitatore a bocca aperta. Ciò che stupisce sono le dimensioni dell’insieme e della quantità di pietre che, opportunamente sistemate, fanno bella mostra di sé davanti al perplesso visitatore.
Questo paese è strettamente legato a ciò che conserva da migliaia di anni, tanto che il suo nome Carnac, appunto, è una variante del termine “cairn”, cioè del nome del rivestimento litico dei dolmen. Già, perché di “dolmen” e “menhir” si tratta. Infatti, le pietre di Carnac formano uno dei complessi megalitici (opere preistoriche formate da blocchi di pietra di grandi dimensioni, pressoché grezzi e grossolanamente tagliati), che si distinguono in menhir e dolmen.
I menhir, monumenti preistorici, sono costituiti da pietre singole, molto grandi e allungate e di solito di forma irregolare, piantate profondamente e verticalmente nel suolo, ma facenti parti di un complesso ordinato di allineamenti, mentre i dolmen, tombe preistoriche per una o più persone, sono alla stessa maniera infisse nel suolo e servono da sostegno a una roccia lastriforme posta orizzontalmente. Del resto, il termine dolmen significa “tavola di pietra”.
Il complesso di Carnac è una parte di un insieme particolarmente grande da farlo definire come uno dei più imponenti del mondo. Infatti, ne fanno parte le successioni di oltre 1.050 menhir allineati in undici file, che si concludono con altri 70 che formano un cerchio. Sulla stessa strada si incontra l’altro allineamento, quello di Kermario, dove 1099 menhir sono allineati a formare dieci file, cui segue quello di Kerlescan, dove le pietre sono 555, che termina con un semicerchio di 39 menhir.
L’epoca della realizzazione del complesso resta del tutto nebulosa, anche se si ritiene che appartenga al periodo neolitico, che si estende dal 4500 a.C. al 2000 a.C., perché gli archeologi non sono riusciti a trovare al di sotto delle pietre materiale utile sufficiente per sottoporlo alla prova del radiocarbonio.
Inoltre, non può sfuggire all’attenzione stupita del visitatore il Tumulo di Kercado, datato con sicurezza attorno al 6500 a.C., che è da ritenere la prima costruzione europea nata quando le piramidi egiziane non erano ancora state erette.
Ma il mistero più intrigante riguarda la ragione per la quale un complesso tanto imponente e importante sia stato realizzato, anche pensando ai mezzi di cui i costruttori avevano a disposizione.
Le ipotesi sono state tante, si potrebbe dire infinite e si può ricordarne qualcuna.
Qualcuno ha ritenuto che fosse un complesso destinato al rilevamento dei terremoti, qualcun altro ha pensato che si trattasse di un modo per onorare gli antenati. Un’interpretazione puntava sulla funzione astronomica delle pietre, ritenendo, per esempio, che fossero dei calendari, sicché i contadini potessero muoversi con sicurezza al momento di gettare le sementi nei solchi e di raccoglierne i frutti. Però, non sono mancati coloro che, sempre restando nel campo dell’astronomia, ritennero che fossero in grado di predire la comparsa delle eclissi solari o lunari.
Lo studioso Alexander Thom, che ha a lungo studiato molti megaliti sia in Gran Bretagna sia in Francia, ha concluso che, secondo lui, il complesso di Carnac era un enorme osservatorio lunare.
Comunque, sono ipotesi tutte con una loro validità, ma nessuna certezza in merito al loro contenuto.
Chissà se, come può capitare quando si sono perse tutte le speranze, non ci sia uno di quei ricercatori che non mollano mai e che abbia la fortuna di trovare quello che manca per dare la certezza a un’ipotesi. Spes ultima dea, era un detto dei nostri antichi antenati.
In ogni modo, gli studiosi non hanno abbandonato tutte le speranze, anche se, a onor del vero, sono rimaste molto poche, perché fra l’altro nel tempo i tre siti sono stati danneggiati dagli elementi atmosferici e dalla depredazione da parte di ladri.
Un tempo, tuttavia, non si dava il giusto peso a ciò che era, per dimensioni e interesse, un unicum, al mondo, tanto che i contadini spostavano le pietre per poter coltivare i campi.
Ora, il tutto è stato ripristinato, rifacendo i giusti allineamenti, e gli si è dato il suo giusto valore.
Il sito si può visitare, ma con l’accompagnamento di una guida, seguendo percorsi stabiliti, per evitare che ci possa essere un danneggiamento di quell’erba che circonda le pietre e che aiuta a preservarle dall’erosione che a lungo le potrebbe fare ribaltare.
Insomma, si tratta di un qualcosa di eccezionale, che può sorprendere anche il turista più navigato, anche quello che, secondo lui, ha già visto tutto al mondo.
Autore: Mario Zaniboni – m.zaniboni@virgilio.it