Quando si effettuano scavi e ricerche in siti archeologici, non sempre, ma più spesso di quanto si possa pensare, capita che fra i vari reperti ne possa emergere qualcuno approfondendo la conoscenza del quale ci si rende conto di avere fra le mani un qualcosa che erroneamente si trova lì, sia come luogo sia come epoca del contesto del rinvenimento.
Questi oggetti sono stati definiti OOPArt, cioè oggetti, a meno che non siano di produzione moderna e posti proprio lì, in quel sito, appositamente per prendere in giro il prossimo, che sono veramente tali da rendere ingiustificabile lo loro presenza, anche perché non corrispondono al tempo delle vestigia che li attorniano.
Qui si intende prendere a esempio un oggetto che, attentamente e profondamente studiato, con la sua funzionalità e con la sua modernità ha dimostrato che si trovava dove non avrebbe dovuto essere.
Andando con ordine, si riporta ciò che successe nel 1971. Il Rosicrucian Egyptian Museum di San José in California acquistò cinque bare egiziane dalla grande catena di distribuzione di lusso Neiman-Marcus, avente sede a Dallas in Texas. Quando queste furono aperte, per visionarne l’interno, si ebbe la sorpresa che una era ancora occupata dal suo ospite. L’esame delle bende fece intendere che si trattava di un uomo di alto lignaggio, vissuto probabilmente durante il Nuovo Regno, cioè fra il XVI e l’XI secolo a.C.
La mummia, denominata Usermontu, in verità apparteneva a uno sconosciuto, inserito nella bara solamente più tardi, attorno al 400 a.C., nella bara del vero Usermontu. La data, corrispondente alla 26.a Dinastia, fu convalidata dall’analisi al radiocarbonio, che ha confermato, pure, che in quella occasione l’avvolgimento della mummia fu cambiato con bende di prezioso lino. Altre ipotesi ritengono che la mummia fosse del vero Usermotu, un sacerdote, ma ciò non cambia nulla, anche perché il nome significa “potente è Motu”, per cui il dubbio sul nome rimane.
Comunque, di chi fosse la mummia interessa, sì, ma sicuramente meno di quanto è stato riscontrato quando la salma è stata esaminata ai raggi X.
Nell’agosto del 1995, le cinque mummie furono analizzate da una squadra di scienziati, con lo scopo di approfondire la conoscenza del loro DNA e, al colmo della sorpresa, essi videro che nel ginocchio sinistro era presente una protesi metallica di ferro puro, lunga poco meno di 23 centimetri.
Le radiografie, analizzate dal chirurgo ortopedico presso la Brigham Young University (BYU), Dottor Richard Jackson, lo hanno indotto a confermare che la protesi era di struttura moderna; cioè, di un tipo che oggi si inserisce nelle ginocchia per mezzo di un’operazione chirurgica molto complessa, allo scopo di rafforzare e stabilizzare le ossa.
Più tardi, nel mese di novembre, il capo della squadra Dottor Wilfred Griggs ritenne che si trattasse di una protesi moderna, inserita nella gamba della mummia non più di cento anni prima e che non ne aveva mai viste di simili in mummie. In ogni modo, egli era convinto che l’intervento chirurgico fosse avvenuto con l’egiziano in vita. Le analisi confermarono tale ipotesi; inoltre, attraverso l’uso di una sonda inserita nella parte posteriore del ginocchio, si riscontrò che tutt’attorno alla stessa era una resina cementificante con la funzione di fissare la protesi alle ossa.
Al principio, il Dottor Griggs, ottenuto il permesso di scoprire la gamba per approfondirne l’esame, ritenne che la protesi fosse stata inserita nel ginocchio in tempi recenti, appunto, con lo scopo di ricollegare la gamba alla coscia, ma i risultati degli esami lo indussero a ritenere che l’operazione non fosse stata eseguita recentemente e che ciò fosse avvenuto a persona morta, ma prima della sua sepoltura, anche se non mancarono coloro che erano convinti che l’operazione chirurgica fosse stata compiuta con l’uomo ancora vivo.
L’intervento fu importante per l’egiziano, perché, dandogli un corpo integro, aveva libero ingresso nell’aldilà, nel regno dei morti. Il Dottor Briggs disse convinto che non esisteva dubbio alcuno sul fatto che l’intervento fosse stato eseguito in tempi lontani, secondo tecniche moderne che si riteneva non potessero essere in possesso degli egiziani; non solo, perché aggiunse pure che si trattava di una tecnica talmente avanzata da consentire la rotazione del ginocchio, anche se molti si dimostrarono scettici su questa affermazione.
A questo punto, se non dovesse intervenire qualche novità che, al momento attuale, sembra improbabile, si ritiene di poter affermare che di un vero e proprio OOPArt si tratti.
Autore:
Mario Zaniboni – m.zaniboni@virgilio.it