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Mario Zaniboni. Mano di Giove Dolicheno. Esempio di perfezione anatomica.

giove dolicheno

Durante una serie di scavi effettuati nei resti del forte (castrum) che appartenne ai Romani nell’Inghilterra settentrionale, dall’85 d.C. al 370 d.C., nella località Vindolanda non molto lontana dal Vallo Adriano, alla profondità di circa un metro e mezzo, è stato rinvenuto un oggetto: era una mano di bronzo, lunga una decina di centimetri, che ha stupito i ricercatori, non tanto per se stesso, ma per la sua perfezione anatomica e per il suo impressionante realismo.
Secondo gli studiosi, apparteneva ad una statua di Giove Dolicheno, essendo stato trovato nei pressi del tempio dedicato a quel dio. Giove Dolicheno (Juppiter Dolichenus) o brevemente solo Dolicheno, era una divinità anatolica della regione del fiume Dolico, che era pure accettata dai Romani, principalmente dai soldati, dal II secolo a.C. al III secolo d.C. Giove Dolicheno normamente era raffigurato con una mano aperta, come gesto di protezione e prosperità, mentre il braccio opposto era alzato con la mano che stringeva un fulmine, a significare un potere che poteva essere di minaccia.
Si ritiene che la mano sia stata costruita nel periodo in cui l’imperatore era Settimio Severo, impegnato nelle campagne in Britannia, quindi nel quinquennio che va dal 208 al 212 d.C.; quello era un brutto momento per l’impero romano, quando era in atto la guerra civile, i disordini interni rompevano il quieto vivere, uccisioni ingiustificate inficiavano la vita di tutti i giorni, l’amministrazione statale era piena di pecche e in difficoltà.
La mano, che quando fu fusa forse era attaccata a qualcosa, non si sa come, finì in una fossa. Secondo il parere del dottor Andrew Birley, che dirigeva gli scavi, l’inaspettato ritrovamento del manufatto, così ben rifinito e perfetto, non lontano dal tempio che era l’oggetto dei lavori, stava significare che ciò che esso conteneva di prezioso, era stato asportato dai Romani.
In ogni modo, del culto di Giove Dolicheno si conosce ben poco, per cui resta un mistero, anche perché sono rimaste poche testimonianze di ciò che era in merito a riti, liturgie o altro; quel poco che si conosce lo si deve alle poche iscrizioni, sculture o altre forme di carattere decorativo che si trovano disperse in quello che fu l’impero romano.
Quella mano non fu l’unica trovata in diversi templi e ritenuta appartenente a quella divinità, anche se erano più grandi e se riportavano qualche scritta facente a lei riferimento.

Autore:
Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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