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Mario Zaniboni, La falera di Vindolanda. Simbolo di eroismo.

vindolanda

All’inizio, le falere erano dischi laterali degli elmi, ai quali erano fissate con lacci, poi divennero decorazioni molto importanti e prestigiose che i soldati, che avevano compiuti particolari atti di eroismo durante le battaglie, potevano orgogliosamente sfoggiare nelle parate militari e non certo da utilizzare durante i combattimenti.
Ma non era una consuetudine solamente romana: anche i militari di altre popolazioni, quali quelle celtiche ed etrusche, usavano adornarsi con le falere.
A Roma, questi oggetti decorativi originari dell’Etruria, erano stati introdotti da Tarquinio Prisco, il quinto re dell’Urbe. Nell’epoca repubblicana, secondo Polibio, le falere erano un compenso per i soldati che avevano portate le spoglie di un nemico ucciso in battaglia, mentre più tardi, in epoca imperiale, erano date ai soldati (legionari e ausiliari) che si erano comportati onorevolmente in battaglia. I monumenti romani di solito ne mostrano nove o dieci, mentre i soldati le avevano disposte su tre linee, in maniera tale da formare un pettorale.
Non mancavano falere fissate sulle insegne dei reparti militari; si trattava delle cosiddette vexilla e signa.
Il materiale era quasi sempre prezioso e questa sembra essere la ragione per la quale non se ne trovano molte in giro, nei vari siti archeologici oggetti di ricerche e scavi; e non ci si mette molto a pensare che la loro assenza, quasi con certezza, sia dovuta al recupero del metallo prezioso per mezzo della semplice e rapida fusione.
Erano a forma di disco ed erano legate con cinghie alle corazze dei militari o anche alle bardature dei loro destrieri.
Alla morte, seguivano la salma del loro possessore quale arredo nella camera funeraria, ma quella della quale qui si intende parlare fu trovata altrove, forse andata perduta; infatti, fu rinvenuta sul pavimento in una caserma dei tempi dell’imperatore Adriano, cioè fra il 117 e il 138.
Questa, che è d’argento, è stata trovata da uno scavatore volontario del gruppo degli archeologi della The Vindolanda Trust durante i loro scavi nel forte romano (castrum) Vindolanda, appunto, nel regno di Nortumbria (Northumberland) in Britannia, nell’Inghilterra settentrionale.
Il forte era stato costruito, nel 79, per le truppe ausiliarie romane, per ordine di Gneo Giulio Agricola, non lontano dal Vallo Adriano, con lo scopo di proteggere, con la loro presenza, la via detta Stanegate contro i Pitti. Il ritrovamento ha riguardato altri oggetti che stanno a dimostrare la presenza di militari.
Le falere solitamente erano dischi lisci o decorati con figure in rilievo, che potevano essere di divinità, imperatori, animali, esseri mitologici. Ma un motivo ricorrente e popolare era la testa della Gorgone Medusa, perché era parere diffuso che la sua effigie fosse in grado di tenere lontani il male e la sfortuna: che fosse apotropaica, insomma, come ebbe a commentare il professore di storia dell’arte e di archeologia greca e romana all’Università della California Meridionale, John Pollini, il quale disse che Medusa era una figura ritenuta tale fin dai tempi dei Greci antichi.
La faretra di cui si tratta raffigura la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni che al posto dei capelli aveva serpenti (qui sono state sostituite da capelli lisci e da due ragazzi sotto il mento a formare una cravatta bolo) e il cui sguardo pietrificava coloro che la guardavano direttamente negli occhi. Due piccole ali decorano il capo. La testa decorava la parte del disco che era rialzato a formare l’umbone. Stando alla mitologia, Medusa fu decapitata dall’eroe greco Perseo che, per non essere pietrificato guardandola direttamente negli occhi, per vederla si servì dello scudo di Atena, lucido come uno specchio.
Era un’immagine molto diffusa e spesso si trovava su lapidi tombali, in mosaici, su armature più da cerimonia che da battaglia, come quella di Alessandro Magno riprodotta in un mosaico pompeiano oppure quella incisa su una lapide del centurione romano Marco Celio conservata nel Rheinisches Landesmuseum di Bonn.
Le falere erano simboli di grande importanza e di prestigio per coloro che erano degni di portarle ed esibire, soprattutto in grandi occasioni.
Erano soprattutto decorazioni al valore militare che si riscontrava presso varie popolazioni, quali quelle celtiche ed etrusche, oltreché quelle romane, come ricordato più sopra.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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