Quando si effettuano scavi e ricerche nei ruderi e nelle rovine del passato, di solito tutto ciò che viene recuperato appartiene alla stessa epoca, cioé è contestuale con il periodo. Ma di quando in quando, non troppo spesso, ci si trova a valutare qualche reperto che appare del tutto di diversa età e di diversa origine, mettendo in seria difficoltà chi desidera o è tenuto a valutarlo. In questi casi, solamente il buon senso ha la disponibilità di carpirne il segreto e di stabilire se di una realtà veramente ingiustificabile si tratti, oppure di una fandonia preparata ad arte da qualcuno come una fanfaronata per mettere in difficoltà il prossimo o di un caso che, con la dovuta interpretazione, può risultare spiegabile.
Facendo riferimento al cosiddetto “Vaso di Dorchester”, di primo acchito c’è da restar sconcertati. E sì, perché il reperire un vasetto costituito da una lega metallica, tutta lavorata, in mezzo al pietrame di una roccia basaltica risalente al periodo fra il Devoniano superiore e il Permiano, cioé attorno ai 320 milioni (sì, ho scritto bene, 320 milioni) di anni fa, be’, c’è da restare assolutamente sbigottiti. Se fosse vero, sarebbe un OOPArt di eccezionale rarità e soprattutto con un carico di anni incredibile.
Questo reperto è stato raccolto nel 1851 da un gruppo di operai (i fochini attuali), i quali, dopo aver fatto brillare delle mine entro uno strato di roccia in località Dorchester nello stato Massachusets degli USA, che produssero un grande volume di pietrame di varia pezzatura, dalle tonnellate a pochi grammi, scagliato un po’ dappertutto, lo trovarono là in mezzo, spezzato in due parti dall’esplosione, alla profondità di più di 4 metri e mezzo. Rimessi i due pezzi insieme, questi formarono un vasetto (o candeliere?) che rassomigliava a un simpatico campanello, alto 11,4 cm, con la base del diametro di 16,5 cm e con il diametro dell’apertura di 6,3 cm.; lo spessore era di 3 mm.
Era un oggetto metallico, costituito da una lega di composizione ignota, ma sicuramente con la presenza di argento e zinco fra i suoi componenti, che, fra l’altro, era pure finemente lavorato a intarsio con rami e foglie d’argento, prodotto dalle mani di un artigiano che sapeva il fatto suo. Non c’è che da convenire che si trattava di un oggetto veramente molto bello e, soprattutto, molto interessante per il contesto in cui era stato rinvenuto.
Fra i primi a interessarsi del reperto è stata la rivista Scientific American che, facendo riferimento a quanto scritto dal Transcript di Boston, ne parlò nel giugno 1852 in un articolo, in cui si raccontava del ritrovamento del vasetto in mezzo a materiale formatosi, secondo i geologi, in quell’era dell’antichità; e a infittire il mistero, fu la loro constatazione che le piante incise sulla sua superficie (estinte e di cui allora non si conoscevano fossili), erano coetanee della roccia. Per alcuni, gli elementi vegetali sono stati riconosciuti come appartenenti alla pianta Sphenophyllum laurae del Carbonifero superiore.
Che la datazione faccia restare perplessi non deve meravigliare, perché si andrebbe a sbattere la testa contro ogni ricerca fatta nel passato per trovare elementi probanti dell’esistenza di artigiani all’epoca di formazione della roccia; e ciò non solo per quanto si riferisce all’era ricordata, ma nemmeno a quella successiva che, avvicinandosi moltissimo a noi, supposta corrispondente a 100 mila anni fa, è sempre troppo antica per vedervi la presenza dell’essere umano.
Pertanto, ci si trova di fronte a una bubbola bella e buona?
Ma a dar maggior forza all’interpretazione che di una fandonia si tratti, basta fare un ragionamento scientifico che non lascia scampo alle illazioni. Tornando alla genesi del basalto, è noto che questa roccia di origine magmatica, trae la sua origine nelle viscere della Terra nel mantello, in un ambiente di fusione dove la temperatura ha un valore medio sui 3750°C. Ora, non esiste nessun metallo o nessuna lega che, a quella temperatura, possa mantenere la sua caratteristica di duttilità; immaginarsi se lo potrebbe affrontare una lega, forse prevalentemente di zinco e argento: alle temperatura attorno ai 1030°C sarebbe fusa e sopra i 960°C non sarebbe più lavorabile.
Biagio Catalano, che è considerato uno che mette in dubbio affermazioni e notizie false, fa notare che il vaso, per quanto riguarda forma e decorazioni, sia molto simile a un poggia pipa indiano, conservato in un museo di Mumbai e descritto da K. Bharatha Iyer nella sua opera “Arte indiana”. Pertanto, niente OOPArt.
D’altra parte, il tutto è avvenuto senza che qualcuno abbia messo nero su bianco, senza lasciare ai giornali e alla gente documenti che chiariscano come veramente sia stato scoperto e trovato il vaso: insomma, ciò che è stato detto corrisponde alla verità? o si tratta, piuttosto, di un’invenzione bella e buona da regalare ai creduloni? Certo, sarebbe bello sapere da chi è stata architettata e perché. Si dice che se hai dei dubbi non ti devi esporre, ma in questo caso sembra proprio che non ci siano alternative e, a meno che non salti fuori qualcosa di inaspettato (a questo punto, improbabile), di bufala si è trattato e bufala resta!
Autore: Mario Zaniboni – zamar.1970@libero.it