Quando si fanno ricerche e scavi in siti archeologici, non di rado si incappa in oggetti che travalicano ogni immaginazione umana, perché sono costruiti con una perizia che, spesso, non trova corrispondenza con le conoscenze tecniche del tempo in cui hanno visto la luce e, per di più, perché non si riesce, malgrado si faccia funzionare la fantasia, ad inquadrare a quale scopo fossero stati inventati e realizzati.
È quanto è capitato agli archeologi dilettanti appartenenti alla Norton Disney History e all’Archaeology Group, quando, nel 1935, stavano lavorando nella campagna del Linconshire, nei dintorni della piccola città di Norton Disney, nella parte centro orientale dell’Inghilterra, presso i ruderi di una villa romana facente parte di un insediamento dell’Urbe.
In quel sito furono rinvenuti oggetti di uso comune, sicuramente provenienti dall’età del ferro o anche da prima, e fra il terriccio, ad un certo momento, comparve un piccolo oggetto di bronzo che, ripulito, si è mostrato per quello che era, cioè un poliedro a forma dodecaedrica, probabilmente perduto o chissà cosa, comunque sicuramente di origine romana.
Il manufatto presenta 12 facce portanti al centro altrettanti fori, mentre in corrispondenza dei suoi 30 spigoli sono in altorilievo altrettante sferette. Che sia piccolo lo dicono la lunghezza di circa 8 centimetri ed il peso 245 grammi, mentre che sia antico lo conferma l’epoca di costruzione che, secondo stime degli studiosi, risale tra il IV e il II secolo d.C.
Gli studiosi l’hanno analizzato, rigirato fra le mani, ammirando la sua forma, la tecnica della sua costruzione, la sua vetustà, ma soprattutto chiedendosi a che servisse. E, in effetti, è un mistero che turba gli archeologi, giacché il dodecaedro non è il solo, ma gli fanno compagnia circa 130 fratelli trovati in giro nei territori dell’Impero Romano (il primo dodecaedro romano fu rinvenuto in Inghilterra nel 1739, mentre il dodecaedro di Norton Disney è il 33° nella sequenza dei ritrovamenti) e ciò che fa ancora più rabbia è il fatto che non si trovi traccia e non se ne parli da nessuna parte nei documenti dell’epoca giunti integri fino a noi e che potrebbero aiutare nella sua spiegazione.
C’è da ritenere che il suo uso, ai suoi tempi, fosse tanto comune da far parte della normalità, senza la necessità di ulteriori chiarimenti. Insomma, conclusione amara: questo è tutto quanto si sa del misterioso dodecaedro, cioè nulla.
A proposito, si può ricordare, per inciso, che dodecaedri aventi le stesse peculiarità, però questa volta realizzati in oro e di dimensioni inferiori, sono stati rinvenuti nell’Asia orientale e meridionale. Considerato, poi, che qualche ritrovamento è avvenuto insieme a monete veramente preziose, c’è da ritenere che i dodecaedri appartenessero a famiglie ricche e che fossero tenuti in grande considerazione.
I dodecaedri bronzei sino ad oggi rinvenuti, tuttavia, pur presentando le caratteristiche principali dello stesso tipo, sono diversi fra di loro. Qualche esempio? Le dimensioni non sono mai le stesse (i reperti vanno dai 4 agli 11 centimetri); le facce portano un foro, che può avere diametro diverso, oppure sono decorate con figure che ricordano il cerchio; gli spuntoni che emergono dagli spigoli sono diversi.
Poichè il sito di Nortn Sidney non è stato del tutto esaminato fino in fondo, si spera che, magari nel futuro, qualcosa possa emergere, fornendo i chiarimenti ritenuti necessari, quali i metodi costruttivi seguiti per ottenere il prodotto finito e, naturalmente, la sua funzione.
In merito all’uso che si faceva dei dodecaedri resta il buio che più pesto di così non potrebbe essere e pertanto solamente procedendo per ipotesi qualche idea si può avere, anche se, com’è del resto naturale, raramente le ipotesi coincidono fra di loro.
Un’ipotesi molto interessante la si deve alla Professoressa Amelia Carolina Sparavigna del Dipartimento della Scienza Applicata e della Tecnologia del Politecnico di Torino. Secondo il suo parere, l’oggetto serviva come una sorta di telemetro ante litteram, partendo dal presupposto che, guardando attraverso i fori di diverso diametro, sui campi di battaglia si potesse misurare la distanza di un obiettivo sul quale puntare il lancio di dardi o di altre armi di offesa, tipo le fionde. Non è mancata una sua ipotesi ingegneristica, secondo la quale, il dodecaedro servisse per la suddivisione dei terreni in appezzamenti.
Non manca chi abbia pensato che potesse servire per il lavoro a maglia o la tessitura.
Ci fu anche qualcuno che ritenne servisse per la calibratura dei tubi per il trasporto dell’acqua, facendoli passare attraverso i fori, oppure come giunture degli stessi, tenendo presente che non tutte le facce sono forate.
Nel 2010, fu resa pubblica l’ipotesi formulata da Sjra Wagenmans della DSM Reseach. Secondo il suo parere, quegli oggetti hanno una relazione con l’astronomia e servono per determinare gli equinozi di privavera e d’autunno, fondamentali per le colture; infatti, secondo lui, guardando e studiando i raggi del sole attraverso i fori, si poteva fissare quale fosse il periodo migliore per seminare il grano.
Ma le ipotesi non finiscono qui; alcune hanno un fondo di realtà, altre forse si potrebbe definirle cervellotiche, tanto sono lontane da una possibile applicazione.
C’è stato, poi, qualcuno che è andato ancora molto più lontano nel tempo, ipotizzando che l’oggetto in questione sia appartenuto ad una cultura della quale nulla è rimasto; però, con una dichiarazione del genere non è certamente riuscito risolvere il problema, per cui, per una volta in più, il mistero resta irrisolto.
Certo è che l’assenza di iscrizioni di nessun tipo fanno pensare – come richiama il ricercatore storico Tibor Grüll dell’Università ungherese di Pécs – che l’oggetto non abbia nessun uso pratico, ma che fosse utilizzato in certi riti religiosi o che servisse come amuleto oppure ancora che fosse legato all’osservazione del cielo, cioè delle stelle e dei pianeti, giustificandone l’idea con il fatto che le 12 facce corrispondono ai 12 segni zodiacali.
Concludendo – senza riuscire a concludere nulla – si potrebbe pensare che si tratti di oggetti da definire OOPArt, come ha ritenuto qualcuno? Considerando il significato dato a quel termine, che fa riferimento a oggetti la cui esistenza nell’epoca riconosciuta del sito di ritrovamento sarebbe stata impossibile, non sembra che i dodecaedri possano essere definiti in tal modo, giacché, se si sapesse a cosa servivano, il problema sarebbe definitivamente risolto.
Intanto, godiamoceli, sperando che un giorno qualche ritrovamento chiarisca finalmente questa sorta di mistero.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it