Il Cubo di Salisburgo o Cubo di Gurlt è un piccolo ammasso ferroso a forma di tutto fuorché a quella di cubo. Ciò che ci si può chiedere è come sia venuto in mente a chi ha propagandato il reperto di chiamarlo “cubo” e che sia stato accettato da tutti in tale modo, quando degli otto vertici non ne ha nemmeno uno, perché sono arrotondati; per me, piuttosto, ha la forma di una pagnottella di pane chiamata, ai miei tempi, “francese”, con le due facce opposte leggermente sferiche; in più, un grosso solco è praticato intorno allo stesso. Tutta la superficie, solco compreso, è costellato di piccoli alveoli. La lavorazione del materiale è forgiata, e secondo approfondimenti recenti è avvenuta rigorosamente a mano. Comunque, quel che conta è che è passato alla storia dei ritrovamenti di reperti archeologici come un cubo e, perciò, “cubo” sia. Il suo peso è di 785 grammi e le sue dimensioni sono di 67 millimetri di diametro e di 47 millimetri di spessore.
La sua storia è semplice, come hanno raccontato la rivista scientifica inglese Nature nel mese di novembre 1886, e quella francese di astronomia L’Astronomie l’anno successivo.
Nel XIX secolo, a Wolfsegg am Hausruck, nella regione di Schondorf-Vöcklabruck nell’Alta Austria, era in attività una miniera di lignite, un carbone fossile che si è formato dalla trasformazione delle piante morte delle foreste del Mesozoico e del Terziario, raggiungendo uno stadio nel quale non è più torba, ma non è ancora litantrace, essendo ancora in fase di fossilizzazione; pertanto, come tale, non è troppo pregiato.
Il prodotto, in grossi pezzi, veniva poi ridotto a dimensioni adatte alla lavorazione da operai addetti alla loro fratturazione nella annessa fonderia. E, nel 1885, capitò al lavoratore di nome Reidl di aprire un blocco di lignite e di reperirvi all’interno un qualcosa che assolutamente non ci doveva essere, cioè ciò che si è appena descritto, che è stato pure definito Wolfsegg Iron (Ferro di Wolfsegg) per ricordare la località di ritrovamento. E, qualora il cubo fosse nato insieme con il carbone, oggi avrebbe la veneranda età di 60 milioni di anni o giù di lì, quando le terre emerse erano dominate dai dinosauri,
Inizialmente, era stato esposto nel Museo di Salisburgo (da cui derivò questo nome) per ricomparire, dopo essere sparito dalla circolazione senza lasciare tracce nel 1910, nel Museo Haimathaus.
Questo ritrovamento, una volta reso noto, ha messo in subbuglio tutta una serie di studiosi e archeologi, che si sono impegnati nel cercare di capire se si tratti di un oggetto che ha l’età che vorrebbe dimostrare e che è stato reperito dove non doveva essere, e pertanto di un’OOPArt, oppure di una “bufala” bella e buona.
Fra i tanti, ci fu lo studio del 1886 dell’ingegnere minerario Adolf Gurt, professore all’Università di Bonn in Germania, riferito alla Società di Storia Naturale sempre di Bonn, dal quale risultò che, secondo il suo parere, quella pietra, con un piccolo strato di ruggine, era di ferro come lo dimostrava il suo peso specifico di 7,75 kg/dm3 (in effetti il peso specifico del ferro è di 7,87 kg/dm3) e che era di origine meteorica.
La pietra si trovava a disposizione del pubblico presso l’Oberösterreichisches Landesmuseum (Museo Statale dell’Alta Austria) di Linz, da dove, nel 1958, fu trasportato presso il Museo di Storia Naturale di Vienna; qui fu sottoposto dagli studiosi ad un’attenta analisi, ricorrendo al metodo Electron Beam Melting (EBM) (fusione a fascio di elettroni), che chiarì il fatto che, mancando tracce di elementi chimici che sono caratteristici delle pietre meteoriche, quali il cobalto, il nichel e il cromo, il cubo non poteva avere tale origine; inoltre, fu aggiunto anche che, mancando la presenza di zolfo, sicuramente non si trattava di pirite. Il Dr. Gero Kurat del Rudolf Grill dell’Ufficio geologico federale di Vienna, fu del parere che il cubo fosse di ghisa e, nel 1973, Hubert Mattlianer ritenne che la lavorazione per ottenere il cubo fosse stata quella della fusione a cera persa (cire perdue).
Sull’origine del manufatto si sono fatte molte ipotesi, dalle più fantasiose a quelle terra a terra.
Secondo il parere di molti studiosi, l’oggetto è il prodotto di antiche civiltà preistoriche, nelle quali la tecnologia aveva raggiunti livelli superiori a quella attuale; non mancano coloro che ritengono che l’artefatto possa provenire addirittura da altri mondi.
Ci sono poi coloro che, senza tentare di formulare ipotesi sull’origine dell’oggetto, sono dell’avviso che il cubo di Salisburgo sia stato reperito in un contesto che non gli compete sia per luogo sia per epoca, e che, pertanto, si tratti di uno di quei misteriosi reperti definiti OOPArt.
Ma non mancarono quelli che, senza fare voli pindarici, si sono fermati ad un’ipotesi forse più attendibile. Questi si sono chiesti se il lavoratore Reidl fosse sicuro che il Cubo fosse all’interno di un blocco di lignite, oppure che abbia preso un abbaglio, essendo questo semplicemente in mezzo ai blocchi, caduto là in mezzo non si sa né come né quando. Del resto, il già citato Rudolf Grill disse che quell’oggetto metallico potrebbe fare parte della zavorra che serve in certi macchinari utilizzati nella coltivazione mineraria.
Per concludere, come si è visto, le ipotesi sono diverse, contrastanti fra di loro, ma tali da poter affermare che potrebbero essere tutte veritiere. Di solito, ci si augura che emerga qualcosa, a un certo momento, che possa porre fine alle discussioni in merito. Ma questa volta, malauguratamente, niente da fare: il manufatto è quello che è, e il dubbio sulla sua origine non ha nessuna possibilità di essere mai dissipato.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it