Nell’antichità era abbastanza frequente la costruzione di tombe usando enormi blocchi di pietra, sistemati in modo da formare una camera singola: queste strutture erano denominate dolmen.
Questo tipo di costruzione era sicuramente difficoltoso da realizzare, considerando le difficoltà oggettive per l’escavazione dei blocchi, la necessaria squadratura, il trasporto nel sito desiderato e la sistemazione finale. Invero, stando a quanto si è riusciti a carpire grattando nei racconti e nelle leggende relativi a quei tempi, non ci si riesce a raccapezzare, conoscendo i mezzi tecnici che erano indispensabili a fare quanto si doveva e che, risulta, non fossero disponibili.
Tutto ciò decadrebbe, naturalmente, se in tempi di cui non rimane nulla, fossero esistite civiltà almeno pari a quella attuale o, addirittura, ci fosse stato l’intervento di progrediti alieni. Il discorso vale pure per i menhir (in Italia, qualcuno li chiama “pietrafitte”), formati da pietre sistemate a formare portali (piedritti e traverse), talora disposti in modo da costituire dei cromlech, cioè sistemati a cerchio, come è Stonehenge in Gran Bretagna.
Sono strutture del Neolitico, tra il V e il III millennio a.C. E sembra di poter riconoscere che fra le svariate popolazioni di quell’epoca ci fossero contatti, giacché strutture analoghe sono stare erette in diverse parti d’Europa, vale a dire in Francia, Irlanda, Germania, Spagna, Portogallo; e anche l’Italia ebbe i suoi monumenti megalitici, eretti in Calabria, Liguria, Puglia e Sardegna.
Ma qui si intende parlare della struttura funeraria megalitica denominata “Dolmen di Menga”, situata non lontano dalla città di Antequera, a non più di 50 chilometri da Malaga, nel sud della Spagna, che iniziò ad essere oggetto di studio da parte di storici, archeologi e studiosi in generale, alla metà del XIX secolo.
Diversi istituti di Siviglia, Salamanca e Alcalà approfondirono la conoscenza dei materiali costitutivi del sepolcro ricorrendo fra l’altro ad analisi petrografiche e stratigrafiche. Nelle vicinanze, a una settantina di metri, è il Dolmen di Viera ed a 4 chilometri è una costruzione sotterranea nota con il nome di Tholos de El Romeral. Quando la tomba fu aperta, all’interno i cercatori trovarono centinaia di scheletri umani e fu questa la ragione per la quale si intese che il Dolmen fosse una tomba.
La lastre sono soprattutto di calcarenite, una specie di roccia sedimentaria clastica, costituita da particelle (clasti) di natura calcarea. Questa roccia è al numero 3 nella scala di Mohs, perciò è tenera e ben lavorabile, però deve essere maneggiata con attenzione perché non si spezzi. E anche questo è un elemento a favore della perizia dimostrata dai costruttori.
Lo scopo della sua costruzione non è noto, ma sembra che la sua funzione, come detto più sopra, fosse funeraria; in altre parole, servisse come sepolcro. E la sua importanza è legata al fatto che la sua età la porta a migliaia di anni prima di Stonehenge: secondo alcuni la costruzione risale al periodo fra il 3800 e il 3600 a.C., mentre per altri è ancora più antico, cioè al 6000 e 5800 a.C. (mettetevi d’accordo! …). In ogni modo, si tratta di uno dei più importanti e grandi monumenti che provengono dall’Europa antica.
Il Dolmen di Menga, oltre ad essere, forse, il più antico dei manufatti di quel tipo, è caratterizzato dalle dimensioni dei blocchi lapidei utilizzati nella sua realizzazione, dei quali il più grosso, che fa parte della copertura, è del peso di 150 tonnellate; … ma anche qui, qualcuno ha fornito un dato diverso, cioè 180 tonnellate … In ogni modo, è una pietra che pesa, a occhio e croce, almeno cinque volte di più di quella più pesante di Stonehenge.
La tomba, costruita sulle pendici di una collina, è lunga 27,5 metri, larga 6,00 e alta 3,5. Per la sua costruzione sono servite 32 grandi lastre di pietra per un peso complessivo di 1.140 tonnellate.
Certo è che, per erigere un tale fabbricato, era necessario trovare il materiale necessario. Stando a ricerche fatte a tal proposito, le lastre necessarie furono estratte da una cava situata a circa un chilometro dal Dolmen, ad una quota più elevata, per cui il trasporto avvenuto in discesa o su slitte o con pali (alla maniera usata per far scendere i blocchi di marmo dalle cave di Carrara nel secolo scorso; si usava una slitta di legno, la Lizza, trattenuta a monte da un complesso sistema di funi) o, ancora, con un tavolato disteso sul percorso, fu agevolato dalla gravità. Potrebbe essere corretta l’interpretazione delle modalità di spostamento, ma restano sempre incognite quelle relative all’estrazione dalla cava, alla riquadratura, al trasporto ed alla sistemazione nella costruenda camera funeraria.
Per la costruzione, si sono preparate le pareti, conficcando verticalmente le lastre grezze (ortostati) per un terzo della loro lunghezza nel suolo. Questa soluzione, che era per dare loro una maggiore stabilità, favorì la sistemazione delle lastre di copertura, dovendo essere sollevate di meno; per eseguire tale operazione, forse si è ricorso a rampe e contrappesi.
Alla fine, il terreno all’interno fu escavato, abbassando il livello del pavimento. All’esterno, tutto il monumento è stato ricoperto da un tumulo di terra di 50 m di diametro, sia per isolare l’interno, sia per migliorare la staticità di tutto il complesso.
Per la stabilità del manufatto, le pietre nei contatti furono sagomate in modo da potersi perfettamente incastrare fra di loro. Le pareti furono disposte con un’inclinazione verso il centro della struttura, formando un angolo di circa 85° sulla verticale, sicché la sezione diventò trapezoidale, mentre la più grande pietra servita per la copertura fu sagomata in modo tale che la parte centrale fosse più alta.
A costruzione ultimata, erano stati lasciati spazi interni, cioè un atrio, un corridoio ed una camera sepolcrale ovale.
Forse, il Dolmen di Menga è il primo esempio di edificio ad arco della storia umana.
Fra le tante considerazioni espresse in merito a quel sepolcro, interessante è la riflessione di Garcia Sanjuan, docente di preistoria presso l’Università di Siviglia, in Spagna, che, durante un’intervista alla CNN, ha espresso il parere secondo il quale il mondo moderno ha apprezzato tantissimo l’opera e ha aggiunto che, se un ingegnere al giorno di oggi avesse il compito di realizzare una costruzione come il Dolmen in argomento e con i mezzi a disposizione 5.600 o 6.000 anni fa, non solo si sarebbe trovato in grandi difficoltà, ma forse non ce l’avrebbe proprio fatta. Più tranchant di così non poteva essere.
E pure il geologo del Centro Oceanografico delle Isole Canarie, Josè Antonio Lozano Rodriguez, che fu colui che maggiormente si interessò della struttura e la studiò, commentò che il Dolmen fu l’esempio più grande e significativo dell’intero periodo neolitico.
A questo punto, per chi ama il mondo antico, rimane solamente da fare un piccolo pensiero sull’eventualità di inserire la visita di quella struttura nel programma di un viaggio istruttivo e gratificante. Non è di tutti i giorni il poter ammirare un manufatto risalente ai 5 o ai 6.000 anni fa.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it