Nel 1973, al Metropolitan Museum di New York fu esposto uno stupendo cratere attico dalle figure rosse. Ci si chiese da dove provenisse e come fosse finito lì. Ed a questo proposito si cominciarono a formulare ipotesi, partendo dal presupposto che in Italia, a Cerveteri, c’era ancora l’eco del grande rumore dovuto ad una scoperta, che aveva fatto il giro del mondo.
A quel punto, ci fu l’intervento del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico di Roma, che volle vederci chiaro e iniziò a fare tutta una serie di indagini; e, alla fine, fra soffiate e altro, si venne a sapere che nel 1971, durante l’estate, tre agricoltori-tombaroli, individuata una tomba etrusca nelle Greppe Sant’Angelo vicino a Cerveteri, si adoperarono per aprirla e saccheggiarla, asportandone il contenuto formato in buona parte da oggetti in ceramica, bronzo, oro e da un meraviglioso cratere.
Per fare il lavoro celermente, si fecero aiutare da quattro colleghi tombaroli. Tutto il bottino fu venduto a due grossi commercianti di reperti antichi, l’antiquario nordamericano Robert Hecht Jr., residente a Roma, e l’italiano Giacomo Medici, per la considerevole somma di 126 milioni di lire (di cui 53 milioni erano la valutazione del cratere), che riuscirono a farlo pervenire al Metropolitan Museum of Art di New York, che l’aveva acquistato per un milione e duecentomila di dollari, facendolo transitare attraverso la Svizzera.
C’è da sottolineare il fatto che, per superare i controlli della dogana, risulta che il cratere sia stato fatto a pezzi e poi magistralmente ricomposto dopo passato il pericolo, tanto che, e meno male, ben pochi segni del restauro sono visibili.
Tutto bene? No, purtroppo per i colpevoli del maltolto, perché ci fu un inghippo: uno dei tombaroli ritenne che la suddivisione dell’incasso di denaro non fosse stata equamente rispettata e che fosse stato turlupinato; e ciò secondo lui divenne chiaro quando venne a sapere che il cratere era finito a New York, nel Metropolitan Museum, per la rilevante somma di un milione di dollari.
Gli investigatori lo sollecitarono a raccontare come si fosse svolta la faccenda, facendo intervenire pure studiosi universitari che, esaminando frammenti di ceramica provenienti da scavi effettuati a Cerveteri, giunsero alla conclusione che era possibile che il cratere provenisse proprio da lì, costruito da un ceramista, oltreché ceramografo, etrusco.
Furono fatte anche prove materiali, ma la mancanza della possibilità di esaminare direttamente il reperto, queste furono ritenute insufficienti, facendo finire il tutto in una bolla di sapone.
Però, tutto il rumore che la faccenda sollevava nel mondo dell’antiquariato aveva abbastanza seccata la direzione del museo, e così, nel 2006, si giunse ad un accordo fra il Ministero di Roma e il Metropolitan Museum con il quale si riconosceva la proprietà del reperto all’Italia e finalmente, nel 2009, il cratere ritornò a casa e fu sistemato nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, dove restò fino all’ottobre 2015; ed in occasione del Decimo Anniversario dell’iscrizione della Necropoli della Banditaccia nella World Heritage List, che raccoglie l’elenco di tutti i Beni Mondiali dell’Umanità controllati dall’UNESCO, il prezioso cratere vi è stato inserito e quindi esposto nel Museo Archeologico Cerite.
E così, dopo tanti anni, una volta tanto la autorità statali ebbero la meglio sui tombaroli, e il 18 dicembre 2014, mercé la stretta collaborazione fra il Comune di Cerveteri, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, la Sovrintendenza per l’Etruria Meridionale e la Regione Lazio.
Naturalmente, dopo questo lungo discorso in merito alle vicende della preziosa ceramica, è giunto il momento di presentarla come si deve.
Il vaso di Eufronio, o cratere di Serpedonte, nato per contenere vino temperato, alto 45,7 centimetri, con il diametro di 55,1 ed una capacità di 45 litri, è un contenitore a forma di calice, che è stato modellato in terracotta dal ceramista Euxitheos e decorato con figure rosse dal ceramografo Eufronio, attorno all’anno 515 a.C. I vasi di questo tipo reperiti nel corso di ricerche e scavi archeologici, dipinti da Eufronio, sono 27, ma quello di cui si sta dicendo è l’unico ritenuto completo.
La conoscenza del ceramista e del ceramografo è certa, perché i loro nomi sono incisi nella ceramica, e ciò sta a significare che i due artisti erano consapevoli del loro talento e non temevamo critiche. Del resto, i due sono ritenuti fra i più prestigiosi ceramisti e ceramografi dell’antichità greca tardo arcaica, con una predilzione, per Eufronio, per le figure rosse, realizzate con finezza di tocco e grande qualità.
Nello stesso tempo, un altro scritto, che recita “Leagro è bello”, fissa con esattezza il periodo di costruzione del manufatto, giacché si conosce l’epoca in cui è vissuto quel tale Leagro, ritenuto, allora, l’uomo più bello della Grecia intera.
La scena principale, tratta dall’Iliade, mostra il corpo esanime di Sarpedonte, figlio del dio Zeus e dell’umana Laodamia, liberato dall’armatura, è faticosamente sollevato dai gemelli alati, vestiti da guerrieri, Hypnos (Sonno) e Thanatos (Morte); essi, per ordine di Zeus, devono portarlo nel sepolcro nel suo regno di Licia, sotto l’occhio vigile di Hermes, nelle veci di accompagnatore delle anime dei defunti. Sarpedonte, quando venne a sapere dell’assedio di Troia da parte degli Achei, corse in loro aiuto, ma, purtroppo per lui, si trovò di fronte a Patroclo, il più caro e fedele amico di Achille, che lo uccise.
Lateralmente, le figure di due guerrieri bene armati e dall’atteggiamento pensieroso, chiudono la scena: sono Leodamante a sinistra e Ippolito a destra.
Sul lato opposto, alcuni giovani guerrieri stanno indossando le armi, forse per prepararsi ad una battaglia.
Due ornamentazioni floreali stilizzate, l’una sopra e l’altra sotto, incorniciano magistralmente le figure che riempiono il corpo centrale del cratere.
Oggi, il prezioso manufatto è a disposizione dei visitatori, sia studiosi sia amanti delle meravigliose opere che provengono dal passato, finalmente a casa sua.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it