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MANTOVA. Uno studio per trasferire la «zolla archeologica» al museo.

«Per favore lasciateli ancora abbracciati».
L’ appello è universale. Lettere di sindaci e di anime sensibili, reportage su radio commerciali, pronte a cogliere la ghiotta occasione per la festa di San Valentino (a sdoganare il macabro ci ha pensato Halloween).
Nelle nebbie della Bassa arrancano le troupe delle televisioni internazionali: Cnn, persino Al Jazeera. La straordinaria scoperta archeologica degli «Amanti di Mantova» la coppia di scheletri teneramente avvinghiati, dissepolta alle porte della città e iscritta all’ «anagrafe paleolitica» seimila anni fa, intriga gli stessi studiosi, tentati per un momento di abbandonare l’ abituale rigore scientifico sull’ onda emotiva del ritrovamento.
Elena Maria Menotti, responsabile del nucleo operativo di Mantova della Soprintendenza archeologica della Lombardia è sopraffatta dall’eccezionalità della scoperta. Nel suo ufficio-mansarda di piazza Santa Barbara, nel cuore dei palazzi ducali, dove sbarca settimanalmente da Milano è indaffaratissima.
La studiosa abituata ai silenzi ovattati della ricerca, in questi giorni è assediata dalla richieste. Il telefono squilla in continuazione, fioccano domande di permessi per sopralluoghi, di appuntamenti. Chiamano dal Brasile, dagli Usa, dall’Inghilterra, dalla Cina.
Approfittiamo di un momento di tregua. Dottoressa Menotti, si guarda all’archeologia come a un’avventura romantica, è anche il caso del ritrovamento di questa sepoltura paleolitica straordinaria?
«Tengo a sottolineare che gli scheletri sono venuti alla luce nel corso della normale e costante attività che svolgiamo sul territorio. Non è stata una sorpresa il rinvenimento di reperti paleolitici nell’ area in questione, anche se gli scavi erano mirati alla bonifica archeologica sul sito di Valdaro, dove si trovano i resti di un’ imponente villa rustica romana del I secolo dopo Cristo.
Il Mantovano è uno dei territori più ricchi dal punto di vista archeologico della Lombardia, un palinsesto che copre millenni. E testimonianze della preistoria si hanno fin dall’Ottocento.
Studiosi come Pigorini, Parazzi, Strobel e Chierici facevano già ricerche e si scambiavano manufatti». Si parla sempre di Mantova etrusca, di Mantova romana, ma sulle fasi più antiche cosa sappiamo ? «Il periodo neolitico è attestato da una serie di ritrovamenti che risalgono a oltre seimila anni, con la costituzione dei primi villaggi in seguito al passaggio dal nomadismo all’ agricoltura. Uno stile di vita stanziale basato sulla coltivazione con il bastone da scavo e l’ allevamento. I defunti (tombe di Casalmoro) erano collocati in posizione rannicchiata in semplici fosse con accanto alcuni strumenti di selce».
Ma poi che fine faranno gli «amanti»? Dove verranno collocati dopo le analisi di laboratorio? E a breve come si intende procedere per il trasloco? Infine si riuscirà a risolvere l’ enigma della loro morte? «Stiamo studiando il modo di trasferire i due scheletri senza separarli, ritagliando con un cassone la zolla di terra sottostante in modo di trasferirli senza danni nel Museo Archeologico Nazionale di Mantova. Sarà compito degli esperti arrivare a scoprire le cause della morte. Sappiamo che nell’ eta del Rame le vedove venivano immolate con il marito».
In attesa di risposte meglio credere a un atto di amore e morte in omaggio ai sentimenti di chi forse ha voluto seppellirli abbracciati, a quella comunità di nostri antenati della pietra che adesso ci sembrano più vicini.

Quattro gli oggetti del loro «corredo funebre»: una punta di freccia trovata sul collo dell’ uomo e tre lame di selce su una coscia e sul bacino della donna. Molto probabilmente appartenevano a una delle tribù che popolavano la valle del Po circa 6 mila anni fa. Si trattava di genti che stavano dismettendo la loro tradizione di nomadi dediti alla caccia e che si approcciavano all’agricoltura.


Mail: ppacchioni@corriere.it
Fonte: Corriere della Sera 11/02/2007
Autore: Pietro Pacchioni
Cronologia: Preistoria

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