In Friuli la Grotta del Rio Secco ha restituito l’eccezionale documentazione dell’uso di pelli e carne del grande carnivoro da parte delle popolazioni del Paleolitico medio delle quali finora poco si conoscono le reali capacità per una pratica venatoria così impegnativa e rischiosa
Ci troviamo nell’altopiano di Pradis, sulle Prealpi Carniche, provincia di Pordenone. Fra le molte cavità di natura carsica presenti nella zona c’è la Grotta del Rio Secco, uno dei rari siti del Paleolitico medio italiano (l’epoca che, fra circa 300 mila e 40 mila anni fa, vide il popolamento del continente europeo da parte dell’uomo di Neandertal) ad aver restituito tracce certe della caccia e del consumo dell’orso nella preistoria. Si tratta di un vasto riparo sulla riva sinistra del Rio Secco, a una ventina di metri d’altezza rispetto al corso attuale del torrente. Al centro del riparo si apre un’ampia cavità che al momento della scoperta era quasi totalmente ostruita da sedimenti e detriti.
Il potenziale archeologico di questo sito venne svelato nel 2001 da un sondaggio dell’Università di Ferrara, grazie al quale vennero alla luce reperti indicativi di ripetute frequentazioni della cavità tra Paleolitico medio e superiore. Le datazioni al C14 effettuate su ossa e carboni dei livelli di Paleolitico medio danno un’età compresa fra 48 e 41 mila anni fa e fanno della Grotta del Rio Secco uno dei contesti con le testimonianze più recenti dell’uomo di Neandertal nell’Italia nord-orientale. La forma della cavità, la perfetta conservazione della volta, la presenza di un riparo esterno e l’ampiezza dello spazio utilizzabile, lasciano ipotizzare che i cacciatori neandertaliani svolgessero le loro attività (scheggiatura, macellazione, cottura delle carni, trattamento delle pelli…) sia all’esterno che all’interno della grotta. Un’ampia camera-galleria sul fondo dell’antro aumentava la disponibilità di possibili “ambienti” per usi diversificati.
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Fonte:
ArcheologiaViva, rivista: n. 163-2014 mese: Gennaio-Febbraio.
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