La storia moderna delle statue stele della Lunigiana, i particolari monumenti preistorici tipici delle terre che stanno a cavallo tra Liguria e Toscana, ha inizio in una data precisa, il 29 dicembre 1827, e in un luogo preciso, la località Novà di Zignago, una collina dell’alta Val di Vara: veniva trovata qui la prima statua stele nota, passata poi alla storia come la “stele di Zignago”, oggi conservata al Museo di Archeologia Ligure a Genova. A oggi, si contano 85 statue stele, la maggior parte delle quali conservate presso il Museo delle Statue Stele di Pontremoli, al Castello del Piagnaro: il ritrovamento più recente è la testa di monte Galletto, rinvenuta nel marzo del 2021 da una persona che stava passeggiando tra le campagne attorno a Pontremoli. Trovare una statua stele, o anche semplicemente un suo frammento, è un evento raro: per dare un’idea, basti pensare che negli ultimi dieci anni si sono registrati soltanto quattro ritrovamenti. E sempre in maniera fortuita: solitamente da escursionisti che camminano tra i boschi oppure, come nel caso dell’ottantaduesima, trovata nei pressi di Licciana Nardi, da un contadino che stava estirpando una vigna.
La scoperta della stele di Zignago destò grande scalpore, perché nessuno aveva mai visto un oggetto simile. E il fatto che, successivamente, fosse stata aggiunta sulla scultura una scritta in caratteri etruschi (“MEZUNEMUNIUS”, parola dal significato ancora oggi non noto), aveva portato gli studiosi del tempo a ritenerlo un manufatto etrusco. Sappiamo, in realtà, che le statue stele sono molto più antiche. Non abbiamo documenti scritti che possano aiutarci nel compito di stabilire la datazione delle statue ritrovate, dunque occorre basarsi soltanto sui contesti archeologici e sulle stratigrafie, oppure sugli oggetti che sono talvolta raffigurati nelle statue stele: è così possibile stabilire che le statue stele sono state prodotte lungo un arco di tempo che va dall’inizio dell’Eneolitico, ovvero la fine del IV millennio avanti Cristo, fino al VII-VI secolo avanti Cristo, con la maggior parte delle statue che si collocano nel mezzo dell’Età del rame (tra il 2800 e il 2300 a.C.).
I ritrovamenti sono avvenuti in una zona ristretta: quasi tutti nel bacino del fiume Magra, nella Lunigiana storica, in zone per lo più collinari, anche se sono state rinvenute statue stele anche in montagna. Tra le poche statue stele fuori dalla Val di Magra, si contano quelle trovate a Lerici e La Spezia, la stessa stele di Zignago (l’unica trovata in Val di Vara), e un piccolo gruppo di statue trovate a Minucciano, ultimo borgo della Lunigiana prima della Garfagnana. Le statue stele sono state trovate per lo più distribuite in alcuni luoghi: nella Selva di Filetto, un meraviglioso bosco di castagni che in antico era luogo sacro dei liguri apuani, la popolazione che abitava questi luoghi (e che probabilmente utilizzava la Selva per riti e cerimonie religiose), sono state rinvenute ben undici statue stele. Nove statue provengono invece da Pontevecchio, mentre sei statue sono state trovate a Malgrate. Le statue di Pontevecchio rappresentano peraltro un caso particolare, perché sono state trovate tutte assieme, e nel luogo in cui erano state originariamente erette (in ordine d’altezza progressiva). E poiché, se rari sono i ritrovamenti di statue tout court, rarissimi ed eccezionali sono quelli di statue in situ (quelle che conosciamo sono state infatti quasi tutte rinvenute fuori dal loro contesto), da questi ultimi potrebbero giungere risposte interessanti sulla loro funzione. Se infatti è vero che la storia moderna delle statue stele comincia nel 1827, non si può certo dire che nessuno avesse visto le antiche statue della Lunigiana prima di questa data.
Per capire il motivo per il quale la più parte delle statue stele è stata trovata fuori dal proprio contesto originario, occorre partire da un altra data: il 658, anno in cui si tiene il concilio di Nantes, durante il quale viene emanato un ordine diretto contro le “lapides” venerate nei boschi. Si stabilisce, cioè, di interrare tutti i menhir e in generale le antiche statue devozionali in pietra, e che sopra queste fosse si erigessero templi cristiani. “Non può essere un caso”, ha scritto l’archeologa Roberta Iardella, “se molti luoghi di culto cristiani (chiese, santuari o cimiteri) sono sorti sopra o nei pressi di luoghi di ritrovamento di statue stele, o se queste sono state reimpiegate per la costruzione degli edifici stessi, anche con differenti intenti”. Il culto delle statue stele resistette, infatti, anche alla caduta dell’Impero romano: lo attesta bene un epitaffio dell’anno 752 che si trova nella chiesa di San Giorgio a Filattiera, in cui vengono tessute le lodi di un certo Leodgard (forse un vescovo di Luni chiamato Leodegario), che “gentilium varia hic idola fregit” e “delinquentium convertit carmina fide”, ovvero “distrusse gli idoli dei pagani e convertì i peccatori”. Questa lapide è stata letta come un elogio di un’azione fisica da parte di Leodegario: aver materialmente distrutto gli idoli dei pagani della Lunigiana, dunque le statue stele, e aver convertito i loro adoratori alla fede cristiana. “Ne deriva che le statue stele”, ha scritto Stefano Di Meo, “ancora nell’VIII secolo d.C. fossero viste dal mondo cristiano ufficiale come potenzialmente pericolose e dunque capaci di ostacolare il processo di cristianizzazione”.
Molti sono infatti i ritrovamenti di statue stele nei pressi di santuari cristiani (come le tre statue di Minucciano), e altre invece sono state riutilizzate: è il caso della statua stele di Talavorno, uno dei ritrovamenti più recenti (risale al 2007), che fu reimpiegata come gradino nell’altare del monastero di San Benedetto, edificio già diroccato nel Cinquecento, situato in località Talavorno, sulle rive del Magra. Oppure, della statua Sorano VII (le statue stele vengono identificate col nome del luogo di ritrovamento, e un numero progressivo), rinvenuta nel 2003 in località Quartareccia, e utilizzata come lastra in una tomba a cassetta ligure-romana del II-I secolo avanti Cristo. Ancora, la stele di Lerici è stata usata come parapetto per un pozzo. Un’altra, la stele di Gigliana, fu addirittura usata come lapide commemorativa nella chiesa del paese, per ricordare alcuni lavori seguiti nel 1779 (era stata murata nel campanile). E poi, ci sono le statue stele adoperate semplicemente come materiale da costruzione, e in questo senso i casi sono molti: si può citare per esempio quella di Codiponte, reimpiegata in un paramento murario.
Gli studiosi discutono da decenni su quale fosse la funzione delle statue stele. Molti sono i problemi: come detto, la gran parte di queste sculture è stata trovata fuori dal proprio contesto. Non ci sono vaste documentazioni archeologiche sulle necropoli del luogo, per quanto, dalle poche sepolture note, sia stato possibile ricavare utili informazioni. Non sappiamo praticamente niente degli insediamenti dell’area. E sugli antichi abitanti di queste terre, che si mantenevano soprattutto con l’allevamento, con la lavorazione dei metalli e con pochi commerci con i popoli confinanti, sappiamo molto poco. Il primo studioso a occuparsi in modo approfondito delle statue stele fu lo storico e giornalista spezzino Ubaldo Mazzini (La Spezia, 1868 – Pontremoli, 1923), primo direttore della Biblioteca Civica della Spezia (che oggi è a lui intitolata): nel 1908, studiando le sculture antiche della Lunigiana e ritenendole prodotto delle popolazioni di origine celtica che abitavano queste terre, arrivò a concludere che doveva trattarsi di monumenti funebri. Con gli studi successivi si è però meglio contestualizzato questo assunto, che si ritiene valido soprattutto per le statue più recenti, quelle del gruppo C (come si vedrà più sotto, sono tre i gruppi in cui vengono classificate le statue stele: A, B e C), sculture molto più realistiche rispetto alle stele più antiche, e probabilmente animate dalla volontà di realizzare un ritratto del defunto. Tre di queste statue, peraltro, sono accompagnate da iscrizioni, sempre in caratteri etruschi (una è la summenzionata stele di Zignago, le altre sono la stele di Bigliolo, una delle più famose in quanto tra le più appariscenti, e in quanto s’è conservata integra, e la stele di Filetto II): non è chiaro a cosa si riferissero le scritte, ma è probabile si trattasse di nomi di persona.
Quanto alle statue più antiche, occorre considerare il contesto storico in cui furono realizzate: è l’epoca durante la quale comincia ad affermarsi la lavorazione del rame, attività che rende necessaria la ricerca dei giacimenti e la messa in commercio dei prodotti. Si afferma così un modello di vita decisamente differente rispetto al precedente, e la società della Lunigiana, da agricola, stanziale e matriarcale, conosce un impulso verso uno stile di vita basato sull’allevamento, nomade e patriarcale. Questo nomadismo, peraltro, avrebbe trasformato i liguri apuani in popolazioni decisamente bellicose. E proprio questo stile di vita è probabilmente all’origine dell’utilizzo delle statue stele come metodo per segnalare gli itinerari, dal momento che tutti i ritrovamenti, anche quelli fuori dai contesti originari, si concentrano comunque in zone che hanno caratteristiche ambientali specifiche: solitamente, lungo importanti aree di collegamento e vie di comunicazione. Non è dunque da escludersi l’ipotesi secondo cui le statue stele servissero come punti di riferimento da collocare in prossimità di itinerari di viaggio, di centri abitati o di zone che avevano una notevole rilevanza commerciale, raffiguranti divinità o grandi antenati che venivano posti in questi luoghi a loro protezione.
Tutte le statue stele rinvenute sono realizzate in arenaria, pietra che si trova in abbondanza nella val di Magra, sottoforma di blocchi: le porzioni venivano staccate, sbozzate per far raggiungere alla parte di blocco la forma desiderata, e poi lavorate a bassorilievo per eseguire le parti del corpo, gli oggetti e i dettagli. Le parti più minute (come gli occhi, per esempio) venivano realizzate con rudimentali trapani, che venivano fatti ruotare su se stessi tenendoli tra le mani. Alla fine dell’operazione, gli scultori levigavano il tutto con sabbia. Si tratta sempre di statue antropomorfe, che quindi hanno sembianze umane, e in questo si differenziano da altre produzioni della scultura preistorica come i menhir, che invece non intendevano ricordare la figura dell’essere umano.
Sulla base della loro forma, le statue sono classificate, come ricordato sopra, in tre gruppi: il Gruppo A, quello che include le statue più antiche, il Gruppo B, che allo stato attuale delle conoscenze è il più folto, e il Gruppo C, quello delle statue più recenti e realistiche. Esiste inoltre un gruppo di statue sopravvissute in maniera troppo frammentaria per poter essere inserita in uno dei tre sottogruppi. Le statue del Gruppo A si distinguono per la testa a forma di semicerchio attaccata al corpo, nei confronti del quale non conosce soluzione di continuità (soltanto una linea all’altezza delle spalle vuole rappresentare in modo stilizzato la separazione). In queste statue, le braccia e le mani sono rappresentate in forma molto elementare, sul blocco centrale che forma il corpo, mentre il volto viene scavato a forma di U, lasciando gli occhi in rilievo. È interessante notare come già nelle statue più antiche sia possibile riconoscere quelle maschili e quelle femminili: queste ultime, come la stele Moncigoli I, rinvenuta nel 1910 e una tra quelle che si sono conservate meglio, presenta l’inequivocabile seno suggerito con due rilievi a forma di sfera sul petto. Le statue maschili ovviamente non si presentano con questo elemento ma sono talvolta accompagnate da oggetti, come la stele Sorano VII o come la stele di Casola, che presentano un pugnale. Le statue stele femminili sono state interpretate da Pia Laviosa Zambiotti come sculture dedicate al culto della fecondità, dove il seno può essere identificato come un attributo di maternità (nessuna delle statue, né quelle femminili, che rappresentano all’incirca un quarto del totale delle stele rinvenute, né quelle maschili, si presenta tuttavia con la raffigurazione degli organi sessuali).
Il secondo gruppo è probabilmente quello più noto, quello delle statue stele più comunemente associate all’immaginario collettivo: sono le statue con la testa a forma di mezza luna, divisa dal resto del corpo con un collo spesso robusto (si veda per esempio la stele di Minucciano III, una delle meglio conservate del gruppo, oppure quella di Taponecco). I dettagli anatomici, in queste statue, sono più definiti, e lo stesso vale per gli oggetti (nella stele di Canossa I, per esempio, notiamo un pugnale con il pomolo anch’esso a forma di mezza luna e la lama inserita in un fodero costolato). Anche nelle stele del gruppo B compare il seno nelle statue femminili (in quelle di Falcinello e di Treschietto possiamo vedere anche i capezzoli). Inoltre, le statue femminili spesso si presentano con monili, come nel caso della stele di Betolletto, priva di testa, ma nella quale ancora si riesce a distinguere una goliera ad anelli. In alcune statue (come la Filetto VIII o quella scoperta nel 2021 a Monte Galletto) si possono riscontrare dei fori ai lati degli occhi: non è ancora chiaro se si tratti di orecchie oppure di orecchini.
Infine, le statue del Gruppo C sono, come detto, quelle più recenti, dove la figura umana è realizzata con tratti più realistici. Si caratterizzano inoltre per una lavorazione che per alcuni dettagli (come la testa, appunto) avviene quasi a tutto tondo, come nel caso della stele Filetto II. Ancora, braccia e gambe sono scolpite a rilievo e assumono pose meno stereotipate, e lo stesso vale per i dettagli del volto. La testa è di forma tondeggiante e spesso è ben definita, come nel caso della stele di Bigliolo che è la più nota tra le statue di questo gruppo. Questa scultura presenta anche orecchie lavorate a rilievo, le clavicole disposte in obliquo, in modo più realistico rispetto alla linea clavicolare delle statue del gruppo A e B, e le braccia piegate verso il centro, a reggere un’ascia. La stele di Bigliolo peraltro presenta anche una cintura, subito sotto le braccia, e un perizoma triangolare. In rari casi alcune statue antiche venivano poi rielaborate in epoche successive: è il caso della stele di Lerici, dove si osserva la raffigurazione di un guerriero di profilo, scolpito nell’età del ferro avanzata (VI secolo avanti Cristo) su di un’antica stele del gruppo A.
Come anticipato in apertura, oggi la maggior parte di queste antiche sculture preistoriche è conservata presso il Museo delle Statue Stele al Castello del Piagnaro di Pontremoli, l’istituto da visitare se si vuole avere una buona conoscenza delle statue stele, dal momento che il campionario qui custodito offre una completa rappresentazione di tutto ciò che sappiamo su queste opere, e in più consente di vederle esposte affiancate a diversi oggetti rinvenuti nei contesti di ritrovamento, o comunque riconducibili agli usi dei liguri apuani. Si deve ad Augusto Cesare Ambrosi (Casola in Lunigiana, 1919 – Firenze, 2003), uno dei massimi esperti di statue stele e autore di numerose pubblicazioni sull’argomento, la creazione del museo che ha sede nel castello dal 1975 ed è l’erede della prima raccolta messa assieme da Ambrosi tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel municipio di Casola in Lunigiana. Il museo di Pontremoli è stato rinnovato con un nuovo allestimento nel 2015, che ha dotato il percorso di nuovi pannelli e di una nuova e suggestiva illuminazione che ha permesso di valorizzare al meglio queste antiche sculture, e in più il museo è stato anche dotato di ascensori che collegano il Castello al centro storico di Pontremoli.
Altre statue sono conservate in diversi musei: è il caso di alcune stele come quella di Zignago (che, come si è ricordato, è stata la prima a esser ritrovata e si trova al Museo di Archeologia Ligure di Genova), la Moncigoli I (conservata al Museo Archeologico Nazionale di Firenze), la stele di Fosdinovo (al Castello di Castiglione del Terziere nei pressi di Bagnone), diverse statue ritrovate nella Selva di Filetto (che si trovano al Museo Civico della Spezia), la stele di Reusa, una delle più importanti del gruppo C (custodita al Museo del Territorio dell’Alta Valle dell’Aulella di Casola in Lunigiana). Una statua, la Filetto II, ritrovata attorno al 1870, si trova invece murata nel cortile di Palazzo Bocconi a Pontremoli. Un caso particolare è quello della stele Canossa II, ritrovata nel 1976 nei boschi tra Lusuolo e Canossa, e lasciata in situ.
Occorre dunque recarsi in Lunigiana per scoprire il fascino di queste straordinarie sculture: come scriveva Augusto Cesare Ambrosi, “sono le sopravvissute tracce di una grande religione che, al superamento dell’età della pietra e al diffondersi di quella grande invenzione che furono i metalli, trasformò la pietra in oggetto di culto, in segno di memoria perenne capace di superare e di vincere il tempo”. Quanto alla identificazione, poco importa secondo Ambrosi: più importante è la loro funzione: “Che siano divinità vere e proprie o soltanto personaggi emergenti, guerrieri e grandi madri, che si volevano ricordare e commemorare, non ha molta importanza. Questa folla misteriosa e suggestiva, queste pietre, erano certamente monumenti nei quali si trasfondeva una carica di affetto e di amore che, in tutti i casi, doveva confluire in quell’acceso sentimento che oggi chiamiamo idolatria”. Testimoni di un passato lontanissimo, le statue stele oggi conservano la memoria degli antichi popoli che abitarono la Lunigiana e che con questi mezzi semplici, quasi primordiali, esprimevano il loro modo di vedere la vita.
Bibliografia essenziale:
– Angelo Ghiretti, Emanuela Paribeni, Paola Perazzi, Museo delle statue stele lunigianesi, Museo delle Statue Stele, 2016
– Michele Armanini, Ligures Apuani, libreriauniversitaria.it, 2014
– Stefano Di Meo, “Usi e riusi”. Il fenomeno delle statue stele della Lunigiana e la sua sopravvivenza attraverso i secoli in AGOGE – Atti della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Pisa, 2008
– Ivo Triscornia, Mulazzo, Groppoli, un sito con statue stele nella Media Valle della Magra, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, I (2005), pp. 20-24
– Augusto Cesare Ambrosi, Statue stele lunigianesi: il museo nel castello del Piagnaro, Sagep, 1992
– Emmanuel Anati, Le statue-stele della Lunigiana: i testimoni dell’ultima rivoluzione culturale della preistoria, Jaca Book, 1981
– Augusto Cesare Ambrosi, Corpus delle statue-stele lunigianesi, Ist. Studi Liguri, 1972
Autori: Federico Giannini, Ilaria Baratta
Fonte: www.finestresullarte.info, 28 giu 2022