Un saggio sulla scienza, sui suoi fondamenti, sul suo posto nella storia dell’umanità. Un libro radicato nella razionalità occidentale, e una ricostruzione storica che individua l’aspetto essenziale del pensiero scientifico nella funzione di guida svolta per secoli, e non ancora esaurita, della civiltà classica.
In questo volume l’autore presenta una sua visione della scienza greca, molto diversa da quella comunemente accettata. La sua tesi è che i greci nel III secolo a. C. erano pervenuti ad una rivoluzione scientifica della stessa portata di quella effettuata ai tempi di Galileo; l’invasione romana ed altri fattori hanno bloccato questo processo e pian piano i risultati ottenuti sono stati dimenticati. Inoltre, la piccola parte delle conoscenze dell’epoca che è sopravvissuta fino a noi ha avuto un ruolo nello sviluppo della scienza moderna molto più grande di quello comunemente sospettato.
Tutta la storia dello sviluppo del pensiero scientifico occidentale nell’arco di duemila anni viene rimessa in discussione. L’autore ripercorre la storia della scienza nella Grecia ellenistica negli ultimi secoli prima di Cristo ed esamina con cura le scarse fonti rimasteci. Ogni ricostruzione di questo periodo deve affrontare una difficoltà molto seria: i trattati che ci sono pervenuti sono quasi tutti scritti secoli dopo, in epoca imperiale, e contengono solo una piccola parte delle conoscenze accumulate allora. Bisogna quindi ricostruirle parzialmente attraverso indizi sparsi qua e là. Molto spesso questi indizi sono stati trascurati o interpretati in maniera restrittiva. Al contrario, Lucio Russo leggendo le stesse pagine con la sensibilità di un fisico-matematico moderno ci fa vedere che esse ci suggeriscono una visione completamente differente della scienza greca, a patto di non porre dei limiti a priori al suo sviluppo.
Certo i problemi di interpretazione non sono facili: quando Strabone ci dice che la Terra è uno sferoide, termine che nella geometria antica (da Archimede in poi) indica un ellissoide di rotazione, possiamo seguire la lettura tradizionale, secondo cui “i greci non conoscevano lo schiacciamento della terra ai poli e quindi sferoide è usato come sinonimo di sfera”, oppure, come fa l’autore, supporre che Strabone volesse dire veramente sferoide e non sfera. La correttezza di questa seconda ipotesi viene rafforzata dalla lettura di un passo di Diodoro in cui è scritto che la terra, ancora fluida, acquistò la forma attuale comprimendosi per l’azione della gravità e ruotando incessantemente.
Molto spesso, per far quadrare i conti, gli studiosi tradizionali della scienza antica devono forzare notevolmente i testi. Per esempio quando Erone parla di una ruota a vento (“anemourion*) uno storico della tecnologia spiega che “non bisogna tener conto di questa affermazione perché non è confermata da altre citazioni e i disegni dei mulini a vento che illustrano questo passo nel manoscritto sono irrilevanti: devono essere aggiunte posteriori perché i mulini a vento erano sconosciuti dai greci”.
Se seguiamo la convinzione diffusa che i greci erano vissuti in un’epoca prescientifica, non possiamo non stupirci della modernità di alcune loro realizzazioni, per esempio le operazioni chirurgiche per rimuovere la cataratta o il faro di Rodi che poteva essere visto a 50 chilometri di distanza. Se al contrario accettiamo le tesi di Lucio Russo sullo sviluppo di una scienza e di una tecnologia avanzate in periodo ellenistico, i conti tornano: eventi che sembravano anomali, incomprensibili, con scienziati stranamente in anticipo di quasi duemila anni sui loro tempi, si collocano perfettamente nel nuovo quadro.
Il libro è anche la storia della caduta nell’oblio di questa rivoluzione scientifica, avvenuta dopo l’invasione romana, del suo lentissimo recupero medievale e rinascimentale per finire poi con una vera e propria rimozione a partire dal Settecento. Pensare che una rivoluzione scientifica di tale portata possa essere stata dimenticata ci sembra talmente inconcepibile che stentiamo a crederlo.
Studiare in dettaglio come ciò possa essere avvenuto sarebbe molto interessante. Non ci sono dubbi che il II e il I secolo a.C. siano stati un periodo terribile per la scienza. L’ampiezza della catastrofe salta agli occhi se analizziamo l’opera di Tolomeo scritta nel II secolo d.C. Tolomeo infatti riporta un centinaio di osservazioni astronomiche (per esempio di eclissi) fatte in Grecia a partire dal VI secolo a.C. La serie delle osservazioni si interrompe bruscamente all’inizio del II secolo a. C e riprende gradualmente alla fine del I secolo a.C. Ci sono quasi due secoli di intervallo in cui non vengono più fatte (o se effettuate non vengono tramandate) osservazioni astronomiche. Le cause di quest’interruzione dell’attività scientifica sono molto probabilmente connesse con l’invasione romana (un popolo all’epoca molto più primitivo dei greci). Probabilmente, ma si tratta di un’ipotesi tutta da esplorare, l’arrivo dei romani sconvolse il fragile equilibrio delle città ellenistiche, che aveva permesso la fioritura della scienza. C’è la necessità di un’analisi molto accurata delle testimonianze storiche a questo riguardo, fatta da uno storico esperto della società ellenistica.
Le modalità della trasmissione del sapere hanno contribuito ad aggravare la situazione. Molta letteratura scientifica greca ci è arrivata tramite manuali o trattati posteriori e col passare del tempo le argomentazioni più avanzate diventavano incomprensibili. In Plinio i nervi ottici e oculomotori descritti da Erofilo diventano vene che legano gli occhi al cervello, la rimozione chirurgica del cristallino diventa un’emissione di fluido dall’occhio.
Il lentissimo recupero della scienza greca continuò, secondo Russo, per tutto il Rinascimento fino al Seicento (incluso). Molte delle invenzioni “originali” di questo periodo (l’idraulica, la costruzione dei fari, l’ottica…) non sono altro che l’effetto di una ritrovata capacità di comprendere i testi greci. Lo stesso Galileo, spesso presentato come colui che rompe con la tradizione aristotelica, riprende temi e argomenti ellenistici. La sua formulazione del principio d’inerzia ricalca quella di Erone, vecchia di quasi duemila anni: “Dimostreremo che i pesi che hanno una tale posizione [cioè su un piano orizzontale privo di attrito] possono essere mossi da una forza minore di qualsiasi forza data”.
All’epoca i protagonisti della rivoluzione scientifica rinascimentale avevano ben presente questo loro debito di gratitudine verso la scienza greca. Nel Settecento, invece, “la scienza europea, convinta di poter finalmente camminare con le proprie gambe, visse, attraverso l’ideologia illuministica, un violento fenomeno di rigetto dall’antica cultura da cui era nata e di rimozione del suo ricordo. Fu allora che ci si convinse che la pneumatica fosse nata con Torricelli, seppellendo le opere pneumatiche di Erone e di Filone di Bisanzio nell’oblio in cui sono sostanzialmente rimaste fino ad ora; l’idea eliocentrica, che da sempre era stata legata al nome del suo ideatore, Aristarco, divenne l’idea ‘copernicana’ e Aristarco fu relegato nel ruolo di prematuro ‘precursore’. Tutti i ritrovati tecnologici ellenistici furono considerati ‘precursori’ delle loro imitazioni moderne. La storia millenaria di riflessioni sulla gravitazione fu cancellata anch’essa dalla conoscenza collettiva, che accettò che si fosse trattato di un parto improvviso del genio di Newton”.
Ma l’aspetto forse inquietante è un altro. La scomparsa della scienza greca ci avverte che non possiamo dare per certo che anche le nostre conquiste scientifiche non subiranno lo stesso fato. E come sottolineato dall’autore nell’epilogo non ci mancano segni preoccupanti. Da un lato l’insegnamento della scienza si basa sempre di più sul principio d’autorità: uno studente liceale può facilmente ritenere che il metodo scientifico consista nell’ “accettazione passiva del mistero e delle contraddizioni”; la parola “teorema” è diventata sui giornali italiani sinonimo di fandonia calunniosa dedotta con sofismi; dall’altro si diffondono sempre di più tendenze irrazionalistiche. Ci sono alcune analogie tra la situazione attuale e la fine della scienza antica che ci dovrebbero far riflettere.
Autore: G. Parisi