Il 26 Settembre 1877 venne rinvenuto da un contadino durante i lavori di aratura, in località Ciavernasco presso Gossolengo (PC), un modellino di fegato bronzeo di piccole dimensioni, assimilabile a quello di una pecora (Fig.1).
Il piccolo oggetto, risalente al II-I sec. a.C. e tuttora conservato al Museo Civico di Piacenza, misura cm 12,60×7,60×6,0 e porta incise sulla superficie superiore piana ben 40 iscrizioni etrusche ascrivibili in gran parte a nomi di divinità delle quali, 24 distribuite nelle regioni interne, suddivise in settori con delle linee e 16 all’interno di altrettante caselle lungo il bordo esterno che definivano il numero delle parti in cui gli Etruschi dividevano il cielo. La parte inferiore è di forma convessa e divisa in due parti separate da una linea di incisione, dove appaiono i nomi etruschi Usil e Tivs riconducibili rispettivamente al sole e alla luna (Fig.2).
Il modellino di bronzo, noto meglio con il nome di Fegato di Picenza è un reperto archeologico molto importante sia per quanto riguarda la religione degli Etruschi, che per la loro lingua. Infatti, con i nomi di alcune decine di divinità in esso incise, doveva avere, rispetto alla “disciplina etrusca” e, più in particolare nei riguardi della aruspicina od epatoscopia, la finalità di sussidio mnemonico ad uso dell’aruspice e di sussidio didattico a vantaggio dei discepoli-apprendisti. Questo modellino bronzeo di fegato trova riscontro in altri esempi trovati in Etruria ma realizzati in terracotta, molto simili a quelli trovati in Asia minore presso Babilonia, prova evidente dell’influenza medio-orientale sugli usi e costumi del popolo etrusco.
Ma tornando all’analisi della superficie piana superiore del fegato di Piacenza, possiamo individuare nella parte esterna i nomi delle seguenti divinità (Fig.3):
1. tin/cil/en (Giove) 9. fufluns (Bacco)
2. tin/thvf 10. Selva (Silvano)
3. tins/thne 11. lethns
4. uni/mae (Giunone) 12. tluscv
5. tec/vm 13. cels
6. lvsl/ (Vulcano?) 14. cvlalp
7. neth (Nettuno) 15. vetisl (Veiove)
8. cath (Sole) 16.cilensl (Notturno?)
I seguenti restanti nomi si trovano nella parte interna:
17. pul 29. herc
18. lethn 30. Mari
19. lasl 31. Selva
20. tins/thvf 32. letha
21. thuflthas 33. tlusc
22. tinsth/neth 34. lvsl/velx
23. catha 35. satres
24. fuflus 36. cilen
25. tvnth 37. lethm
26. marisl/la 38. metlumth
27. leta 39. mar
28. neth 40. tlusc
Su questa superficie si alzano tre protuberanze sporgenti: la più piccola, di forma semi mammellare, rappresenta il processus papillaris, la seconda, molto simile ad una piramide, il processus pyramidalis, la terza, di forma molto allungata, la cistifellea.
Modellini di bronzo come questo erano utilizzati per insegnare ai sacerdoti etruschi la pratica divinatoria della lettura delle viscere degli animali. Nell’arte etrusca troviamo infatti immagini di sacerdoti che usano questi modellini. Il loro utilizzo serviva a rendere più agevole la lettura di particolari segni presenti sul fegato dell’animale sacrificato, attraverso i quali il sacerdote poteva leggere il futuro o interpretarlo in base alla sua volontà.
Gli etruschi erano particolarmente esperti in questa scienza della lettura di presagi, nota anche con il nome di haruspicina, assunta successivamente dai romani che hanno poi imitato. Le sezioni del Fegato corrispondono alle sezioni del cielo, ciascuna sotto la protezione di determinate divinità. C’era infatti una correlazione mistica tra le parti dell’area sacra, come il cielo e la superficie del fegato dell’animale sacrificato. Questa basilare dottrina dell’orientamento permette il trasferimento sulla terra, dove vivono gli uomini, dell’immagine del cielo inteso come dimora degli dèi. La parola templum è originariamente il termine tratto dal dizionario dell’arte divinatoria etrusca che indica una particolare area del cielo, definita dal sacerdote aruspice, nella quale questi raccoglie ed interpreta i presagi.
Nel corso di questa operazione, il sacerdote guarda sempre verso sud, volgendo le spalle al nord. Estendendo questo concetto, il tempio viene a designare il luogo sulla terra dedicato agli dèi, ovvero il santuario che in Etruria guarda normalmente verso sud e rappresenta in un certo senso, la proiezione sul suolo terrestre di una generica regione sacra del cielo. L’orientamento è individuato dai 4 punti cardinali collegati tra loro da due linee ortogonali, di cui quella est-ovest era rappresentata dal decumanus, secondo la terminologia urbanistica romana, mentre quella nord-sud era detta cardo (Fig.4).
L’arùspice che esaminava le viscere dell’animale appena sacrificato, disposto secondo l’orientamento suddetto, aveva alla sua sinistra la parte orientale, di buon auspicio perché qui erano collocate le divinità superiori, e alla destra la parte occidentale, di cattivo auspicio perché sede delle divinità infernali. Occorreva quindi osservare quali segni particolari avesse il fegato, come linee, macchie di colore, imperfezioni, protuberanze, ecc., associarli alle divinità corrispondenti alla parte dell’organo in cui si trovavano e dedurne infine il presagio favorevole o sfavorevole.
Un procedimento analogo veniva usato per l’interpretazione dei fulmini e del volo degli uccelli: importante innanzitutto era individuare in quale settore, in questo caso del cielo, si manifestasse il “messaggio” divino e quindi la sua natura propizia o nefasta.
Tecniche divinatorie si esercitavano anche rispetto a fenomeni naturali come stelle cadenti, terremoti, comete, ma gli Etruschi elaborarono sui fulmini la casistica più minuziosa.
I fulmini venivano distinti in dodici specie diverse e diverso era il potere degli dèi di scagliarli. Contavano l’intensità del fulmine, il colore, l’oggetto colpito e le circostanze del momento. Dopo la caduta del fulmine, dovevano essere accuratamente sepolti tutti i resti delle cose che il fulmine stesso aveva colpito, compresi gli eventuali cadaveri di persone o animali colpite dalla scarica. Il luogo di sepoltura era considerato sacro e inviolabile e veniva recintato perché ritenuto di cattivo auspicio calpestarlo.
Ebbene, partendo dal concetto che il fegato rappresentasse un macrocosmo, suddiviso in tanti settori entro i quali trovano collocazione i nomi delle diverse divinità in veste di divini abitatori di quelle parti della sfera celeste, ad esso corrisponderebbe sulla terra un microcosmo inteso come proiezione sul suolo terrestre di una data regione sacra del cielo.
Dando un’interpretazione alle linee che dividono il fegato di Piacenza in vari settori, con una soprapposizione in scala opportuna, emergono delle strane coincidenze con la geografia del territorio della Tuscia (Fig.5). Se si analizzano infatti le linee radiali della parte piana del fegato, si ha una perfetta coincidenza con le congiungenti di molte città dell’Etruria meridinale e delle regioni limitrofe. Nel particolare abbiamo un sorprendente allineamento tra i centri etruschi di Tarquinia-Tuscania-Orvieto-Perugia che individuano una linea del fegato che si interseca con un’altra materializzata sul territorio dalla congiungente le città, sempre di origine etrusca, di Populonia-Vetulonia-Roselle. Dal punto di incontro così generato, si dipartono, rispettando gli angoli di ampiezza tra le dividenti, altre linee abbastanza coincidenti con le congiungenti tale punto con i centri di Chiusi, Spoleto e Civita Castellana. Se poi si collegano le città di Roselle, Chiusi, Perugia, Spoleto, Civita Castellana e Cerveteri, otteniamo una linea curva che, assieme alla congiungente Roselle-Vulci-Tarquinia-Cerveteri, anch’esse perfettamente allineate, delimitano fedelmente uno dei due lobi del fegato di Piacenza. Altra sorprendente coincidenza l’abbiamo nella disposizione tra le tre protuberanze del fegato e la corrispondente corografia del territorio. Con lo stesso orientamento e forma, abbiamo il monte Argentario corrispondente al processus pyramidalis; la collina di Cosa-Ansedonia al processus papillaris, e la catena dei monti dell’Uccellina alla cistifellea. Tuttavia la coincidenza più interessante, ovviamente considerando sempre un certo margine di errore, è quella tra il lago di Bolsena e il cerchio inciso al centro in cui convergono le linee radiali che individuano i sei settori della parte piana del fegato!
A questo punto una domanda sorge spontanea: il cerchio potrebbe rappresentare la localizzazione del centro religioso della Federazione Etrusca con il celebre Fanum Voltumnae posto nelle vicinanze dell’antica Volsinii?
Per concludere questa serie di strane coincidenze, abbiamo anche delle affinità tra alcuni nomi di divinità del fegato con altrettante realtà sul territorio, come nel caso del monte Cimino, ex vulcano ricadente nel settore dedicato a Velx(34), nome legato appunto al dio Vulcano; il piccolo centro di Saturnia appartenente al settore della divinità Satres(35) (Saturno); Selvans(31) (Silvano) venerato soprattutto a Cortona e nell’area Volsiniese tra le città di Orvieto e Bolsena, come anche Cilen(36) (divinità della notte), paragonabile alla statuetta di una donna vestita in terracotta da Bolsena con la scritta cilens e poi ancora il termine Metlumth(38) al quale, secondo il Colonna, si può associare il significato di città, intesa come metropoli, corrispondente esattamente sul territorio tramite sovrapposizione delle linee del fegato, alla potente lumonia di Tarquinia.
Restano da individuare le altre affinità tra i nomi delle ancora misteriose divinità etrusche letha, tlusc sui due restanti settori della parte piana del fegato e le porzioni di territorio in cui essi ricadono.
Data comunque la complessità dell’argomento, rimangono tuttavia molti altri interrogativi da sciogliere, ma che possono aiutare ad interpretare pienamente le correlazioni tra i segni e le iscrizioni incise sul Fegato di Piacenza con la geografia del territorio dove vissero gli Etruschi, popolo per certi aspetti ancora avvolto da un alone di mistero.
Fonte: facebook, 7 lug 2022