Ci si sarebbe aspettati che, dopo la prima fase di tutela sul campo, altrettanto appropriata fosse la successiva fase di salvaguardia, che consisteva nel dare correttamente la priorità alla sicurezza (consolidamento e quant’altro) dei reperti ad alta deperibilità.
MICHELANGELO ZECCHINI, archeologo, Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti: “Perché si è privilegiato il restauro dei ‘cocci’ escludendo quei fragilissimi scheletrini?”
“Erano i primi giorni del novembre 2006 quando finimmo di scavare al Frizzone di Capannori quegli scheletrini tanto delicati che sembravano soccombere perfino ai morbidi tocchi di spazzolino. Ci accorgemmo subito del loro elevato valore scientifico: allineati lungo il lato occidentale di un edificio di pietra (sacello?), quei piccoli esseri lunghi appena 45-50 cm (neonati o non ancora nati?), accoccolati come se stessero ancora nel grembo materno, ci facevano entrare nell’intimo della sfera religiosa e cultuale di circa 2150 anni fa. Riti di fondazione? Orrendi sacrifici umani? Bambini immolati a una divinità crudele? O piuttosto creaturine che, decedute per cause naturali, furono offerte a un dio per una vita migliore nell’al di là? Comunque stessero le cose, i ‘neonati’ del Frizzone avrebbero potuto dare un contributo fondamentale alla conoscenza di un affascinante aspetto del nostro passato. Chi scrive sperava che, stante la loro importanza, dopo lo scavo venissero affidati senza indugio alle cure dei paleoantropologi. Ma così non fu.
Sono passati quattro anni dal momento in cui gli scheletrini furono ricoverati nel deposito “Cavanis” di Porcari, gestito da Giulio Ciampoltrini, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
Adottando una terminologia da pronto soccorso, non c’è dubbio che i ‘morticini’, essendo ad alto rischio di deperibilità, si classificano di per sé come reperti da codice rosso. Per quale motivo, pur possedendo gli strumenti necessari (soldi ed esperti più che disponibili), chi ne aveva il dovere non è intervenuto d’urgenza? Sarebbe opportuno, a questo punto, che i resti ossei infantili fossero esaminati da professori di paleoantropologia al fine di accertare le loro attuali condizioni. Con la flebile aspettativa che risultino esenti da deterioramenti irreversibili e, se così fosse, con la pia speranza che gli ulteriori 45.000 euro (già finanziati) non vengano anch’essi totalmente adibiti ad abluzioni di cocci et similia”.
FRANCESCO MALLEGNI, professore ordinario di Antropologia presso l’ Università di Pisa: “Sono sconcertato, quei ‘morticini’ rappresentano un archivio biologico”
“Come docente di paleoantropologia da una vita (1968-2010) sono rimasto sconcertato nell’apprendere ciò che sta succedendo ai “morticini” di epoca romana rinvenuti al Frizzone (Capannori) presso le fondazioni di un edificio forse dedicato a Diòniso. Mi sarei aspettato che, subito dopo lo scavo, fossero affidati a uno o più specialisti del settore. Invece, a quanto pare, sono stati abbandonati per anni in un deposito di materiali archeologici, in attesa di un restauro e conseguente studio, e rischiano di disfarsi e quindi di scomparire per sempre.
Per questo mi candido allo studio degli infanti del Frizzone, possedendo immodestamente l’esperienza in materia, ma anche gli strumenti per realizzarlo presso i laboratori che dirigo nell’Ateneo pisano o anche al Museo di Archeologia e dell’Uomo di Viareggio, di cui da qualche tempo sono stato nominato direttore. La mia équipe sarebbe pronta e la spesa modestissima, dato il numero limitato dei reperti”.
Autore: Michelangelo Zecchini, michelangelo.zecchini@fastwebnet.it