“Salvaguardiamo il patrimonio culturale libanese”.
L’appello parte da Napoli e a lanciarlo è il professore Fabio Maniscalco, direttore dell’Osservatorio per la protezione dei beni culturali dell’I.S.Fo.R.M e docente di Tutela dei Beni Culturali presso l’Università di Napoli L’Orientale. Maniscalco dirige anche la rivista scientifica “Web Journal on cultural Patrimony”.
Domanda. Professore, lei è tra i massimi esperti al mondo di tutela dei beni culturali nelle aree a rischio bellico. Che cosa può accadere in Libano?
Risposta. Quello che accade nelle nazioni ricche di storia e tradizioni, colpite da crisi politiche economiche o da conflitti. Si materializza il fenomeno delle “archeomafie”.
D. Mi scusi, perché l’appello è partito da Napoli?
R. Da qui è partita la rivista scientifica multidisciplinare “Web Journal on cultural Patrimony” (www.webjournal.unior.it), nata in collaborazione con Università e Istituzioni scientifiche di tutto il mondo, di cui fa parte anche il professor Marwan Abu Khalaf, direttore del museo archeologico della “Al-Quds” University di Gerusalemme. A Napoli è stato anche creato l’Osservatorio che ha altre 2 sedi: a Ramallah in Palestina e a Durazzo in Albania. Progetto no-profit.
D. Si può quantificare il giro d’affari del traffico delle “archeomafie”?
R. Ufficialmente è secondo soltanto a quello delle armi. Ma non si può dire con certezza.
D. Qual è stato l’ultimo più eclatante business illegittimo di cui lei è a conoscenza?
R. Mi sono occupato personalmente del saccheggio archeologico del patrimonio culturale della Nigeria. Prima ancora della distruzione da parte dei talebani dei Buddha giganti di Bamiyan. I frammenti di queste statue sono stati rubati e venduti dagli stessi fondamentalisti nel mercato clandestino per armare il terrorismo.
D. Perché si appella alla Convenzione de L’Aja per tutelare i beni culturali del Libano?
R. E’ stata ratificata sia da Israele (1957) sia dal Libano (1960), ed è il solo strumento giuridico in grado di salvaguardare il patrimonio culturale libanese.
Fonte: Il Denaro 18/07/2006