“Da oltre un anno – si legge in una nota – è operativo uno stretto rapporto di collaborazione tra il Parco Nazionale del Circeo, la Soprintendenza Archeologica del Lazio e la facoltà di Archeologia dell’Università di Roma (Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Sezione di Topografia Antica). Proprio grazie a questa collaborazione si stanno sviluppando nuovi studi sulle aree archeologiche del Parco, si stanno effettuando saggi di scavo (attualmente nell’area nord della Villa di Domiziano su un’estensione di 15.000 mq), si stanno predisponendo progetti di restauro e valorizzazione su cui cercare i necessari fondi per la realizzazione degli scavi e degli interventi necessari per promuovere una corretta fruizione dei beni”.
Il lavoro fin’ora svolto sarà fondamentale anche per meglio determinare e supportare le scelte del Piano del Parco che dovrà definire i termini di gestione territoriale (sia di tutela che di valorizzazione) anche di queste aree. Quelli prodotti sono studi originali alcuni dei quali sono in fase di pubblicazione su riviste specializzate di livello internazionale tra cui la prestigiosissima British Archaeological Review e il periodico scientifico Atlante Tematico di Topografia Antica.
Quello che emerge è che le aree archeologiche del Parco Nazionale del Circeo sono ancora “vive”, cioè ricche di scoperte ancora da fare ed assolutamente a portata di mano. Si tratta di potenzialità straordinarie ancora da cogliere, potenzialità che vanno intese non solo sotto il profilo scientifico e culturale, ma anche certamente sotto il profilo turistico e didattico e quindi economico.
Negli studi prodotti c’è anche quello specifico sul canale romano che evidenzia elementi di assoluto interesse e di novità rispetto a quanto sino ad oggi asserito. Non si tratta di un opera neroniana, ma di epoca augustea, quindi antecedente. Le analisi hanno documentato tutte le fasi degli interventi che si sono susseguiti nei secoli, tra cui anche una parziale rettifica del canale avvenuta nel diciottesimo secolo. Da un’accurata indagine fatta anche attraverso le tecniche della fotointerpretazione è emerso che intorno al canale non c’erano solo le terme (ancora oggi visibili), ma insisteva un articolato complesso di strutture che è stato localizzato ma che dovrebbe essere messo in luce ed interpretato attraverso appositi scavi.
Gli studi prodotti hanno poi documentato come il degrado maggiore del canale si è determinato a seguito dell’abbattimento della cosiddetta “chiusa innocenziana” che svolgeva una duplice funzione, quella di spezzare la forza del mare e quella di sostenere le sponde laterali del canale. L’abbattimento della “chiusa innocenziana” e avvenuto, per ammissione ufficiale del Comune di Sabaudia, in termini abusivi, quindi di illegalità (vedi scheda qui di seguito).
Essendo il Ponte Rosso sul Canale Romano, lo studio prodotto ha ovviamente considerato anche questo. Le analisi hanno documentato che i basamenti del Ponte non sono stati solo “foderati” con l’intervento di risistemazione avvenuto negli anni cinquanta. Non solo le analisi fatte, ma anche l’evidenza visiva del manufatto, fa vedere la palese differenza tra i mattoni utilizzati per il rivestimento delle arcate e per la parte superiore, e quelli invece originari che costituiscono la parte portante del Ponte stesso. Questi secondi sono certamente di epoca preindustriale. Lo studio conferma dunque quanto più ampliamente documentato dalla Soprintendenza che ha sostenuto l’origine settecentesca del Ponte e che gli interventi degli anni cinquanta non sono stati di totale rifacimento dello stesso.
Fonte: Latina24ore.it, 09/10/2010