Non finisce di stupire lo scavo archeologico relativo a una delle industrie vinicole più grandi del mondo antico. Una vera e propria industria, capace di produrre — come rivelano le ampie strutture e la presenza di grandi forni per produrre, in loco, le anfore vinarie – due milioni di litri di vino all’anno. Gli archeologi, in quell’area, tra il terreno di riporto, dopo aver scoperto e scavato la struttura, hanno portato alla luce anche uno splendido anello d’oro con una pietra di ametista che, secondo la tradizione, fungeva proprio da antidoto agli eccessi di alcool.
L’anello pesa 5,11 grammi ed ha un forma graziosa e possente. Ancora aperto è il dibattito sulla datazione. Il terreno di riporto dello scavo sembrerebbe più recente rispetto al tempo in cui la struttura produttiva girava a pieno ritmo.
“La persona che possedeva l’anello era benestante e l’uso del gioiello indicava il suo status e la sua ricchezza”, ha detto Amir Golani, un esperto IAA di gioielli antichi. “Tali anelli potrebbero essere stati indossati da uomini e donne”.
Il centro di produzione bizantino aveva sede nel territorio dell’attuale Yavne, in Israele, ed esportava – evidentemente, in direzione di Costantinopoli e del Mediterraneo cristiano. Non era, naturalmente musulmano – Maometto sarebbe nato qualche decennio dopo, nel 570 – ma cristiano e faceva riferimento all’impero romano d’Oriente.
La grandezza del sito produttivo era probabilmente anche da collegare al successo che il vino prodotto nella terra di Cristo poteva suscitare nei consumatori cristiani del Mediterraneo. Gli archeologi, coordinati dall’Autorità israeliana hanno portato alla luce 5 vasche per la pigiatura dell’uva – ognuna delle quali larga 225 metri quadrati – quattro forni per la cottura dell’argilla, anfore e contenitori di varie dimensioni, nonchè due grandi tini ottogonali nei quali veniva inserito il mosto. Quindi torchi da vino e ogni tipo di utensile, nonchè cantine di stoccaggio dei prodotti.
Fonte: www.stilearte.it, 11 nov 2021