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ISRAELE. Il respiro profondo dei Neanderthal.

Il torace di Neanderthal aveva dimensioni molto simili a quelle dell’uomo moderno, ma alcune differenze nella sua forma suggeriscono che il suo meccanismo di respirazione fosse leggermente diverso, facendo maggiore affidamento sul movimento del diaframma. L’ipotesi è avanzata da un gruppo internazionale di ricercatori diretti da Ella Been dell’Università di Tel Aviv, in Israele, che firmano un articolo su “Nature Communications”.
Fin dalla scoperta dei primi resti dell’uomo di Neanderthal, nel 1856, gli scienziati si sono interrogati sulla reale forma e dimensione della cassa toracica di questi nostri antichi cugini.
Le prime ricostruzioni del loro torace, basate per lo più solo sulle prime costole e sulle clavicole, avevano fatto ipotizzare che avessero una morfologia toracica molto diversa da quella degli uomini moderni, ma scoperte successive avevano messo in dubbio questa conclusione, tanto che alcuni paleontologi ritenevano che sotto questo aspetto le due specie fossero sostanzialmente identiche.
Been e colleghi hanno ora sottoposto a scansione tomografica tutte le ossa toraciche di “Kebara 2”, uno degli scheletri di Neanderthal scoperti nel 1983 nella grotta di Kebara, situata sul lato occidentale del Monte Carmelo, in Israele.
Risalente a circa 60.000 anni fa, Kebara 2 è lo scheletro neanderthaliano che presenta la colonna vertebrale e il torace più completi finora trovati.
Dopo aver ricostruito con un software 3D lo scheletro di Kebara 2, e identificato i punti di ancoraggio della muscolatura diaframmatica – particolarmente ampi e robusti – gli autori hanno scoperto che la sua dimensione toracica complessiva era sostanzialmente uguale alla nostra, ma più ampia nel suo segmento inferiore.
Alcune simulazioni al computer dei meccanismi respiratori hanno poi mostrato che i movimenti del diaframma avrebbero potuto aumentare la capacità polmonare dei Neanderthal ben più di quanto facciano nell’uomo moderno.
Questo, concludono Been e colleghi, potrebbe aver avuto anche riflessi sulla biochimica respiratoria ed ematologica, con meccanismi adattativi analoghi a quelli che si osservano anche oggi nelle popolazini andine e tibetane, nelle quali il numero o le dimensioni dei globuli rossi – e il loro contenuto in emoglobina – differisce, su base genetica, da quello degli altri esseri umani.
Per confermare questa ipotesi servono però ulteriori ricerche, anche di tipo genetico.

Fonte: www.lescienze.it, 31 ott 2018

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