Il rinvenimento di grandi quantità di oggetti in avorio a seguito degli scavi condotti nella seconda metà del XIX secolo sul sito di Nimrud, l’antica Kalkhu, una delle tre capitali dell’impero assiro, rivelò una delle più pregevoli produzioni artigianali antico-orientali dell’inizio del I millennio.
Le prime collezioni ad essere scoperte furono: quella rinvenuta da Henry Austen Layard nel 1848-1849 in parte nel Palazzo Sud-Ovest, fatto costruire dal re Asarhaddon (680-669 a.C.), in parte nel Palazzo Nord-Ovest di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), e quella scoperta da William Kenneth Loftus tra il 1854 e il 1855 all’interno di un edificio situato nell’area sud-orientale della cittadella, ad ovest del tempio di Nabu, che fu chiamato Palazzo Sud-Est, ma che dopo la ripresa degli scavi condotti da Max Mallowan negli anni ’50 del secolo scorso prese il nome di Palazzo Bruciato.
Tale concentrazione di manufatti eburnei all’interno dei palazzi reali assiri ben si accordava da una parte con i numerosi riferimenti visivi e testuali presenti rispettivamente nelle raffigurazioni dei rilievi che ornavano i palazzi stessi e nei resoconti annalistici dei sovrani, in cui l’avorio, lavorato e non, figurava come tributo o bottino delle campagne militari, dall’altra con le altrettanto frequenti menzioni di arredi reali in avorio, prodotti da artigiani fenici, presenti nell’Antico Testamento. Data la frequente menzione dei Fenici quali artigiani esperti nella lavorazione dell’avorio, si giunse alla conclusione che quei pregevoli manufatti dovessero essere appunto di produzione fenicia.
Tuttavia, negli anni successivi, si notò una fondamentale diversità di stile fra le due collezioni che, nel 1912, portò lo studioso Frederick Poulsen, sulla base di elementi stilistici, a riconoscere e proporre un’origine nord-siriana per gli avori del gruppo Loftus, accanto alla già comprovata provenienza fenicia di quelli del gruppo Layard. Il gruppo nord-siriano si distingueva per l’assenza di motivi egittizzanti, nonché per numerose particolarità stilistiche osservabili sui rilievi rinvenuti in alcuni siti della Siria settentrionale, quali ad esempio Karkemish, Maraş, Zincirli e Tell Halaf.
Le proposte formulate da Poulsen furono universalmente accettate e negli anni successivi furono sviluppate da Richard Barnett, che nel frattempo aveva avuto modo di prendere in considerazione anche i manufatti eburnei che, con ritmo sempre più frequente, tornavano alla luce durante gli scavi di numerosi altri siti della Siria e della Palestina, quali ad esempio Khorsabad, l’antica Dur Sharrukin, un’altra delle tre capitali dell’impero assiro, Arslan Tash, Ziwiyè e Samaria. Egli proseguì sulla linea tracciata da Poulsen nel delineare i caratteri stilistici distintivi sia degli avori di origine fenicia, sia di quelli di fattura nord-siriana: i primi si caratterizzavano per la forte impronta egittizzante dei soggetti rappresentati, mentre i secondi manifestavano la loro originalità e indipendenza sia nei motivi figurativi, come la caccia sul carro o i combattimenti tra animali, sia nella maniera, anch’essa peculiare, di rendere il viso delle figure femminili, di forma ovale, con fronte ampia, naso prominente, bocca piccola e grandi occhi a mandorla.
Gli studi successivi hanno contribuito ad ampliare i criteri di distinzione tra i due stili: tra di essi spiccano l’utilizzo della tecnica a rilievo abbastanza alto, tipica degli avori nord-siriani, contrapposta al frequente uso del cloisonné (che consiste nell’inserimento di paste vitree di vario colore all’interno di alloggiamenti appositamente predisposti) e dello champlevé (tecnica molto simile alla precedente con la differenza che le incrostazioni in pasta vitrea occupano più ampi settori delle figure, quali intere capigliature o parti estese di abiti), ampiamente utilizzati dalla tradizione fenicia; le composizioni narrative nelle quali le figure si muovono liberamente ed occupano completamente lo spazio a loro disposizione, tipiche degli intagli di tradizione nord-siriana, in contrasto con gli schemi antitetici e ripetitivi che caratterizzano gli avori fenici; il plasticismo e il volumetrismo delle figure nord-siriane contrapposte a quelle fenicie caratterizzate da un linearismo sinuoso ed elegante.
Il riconoscimento di uno stile propriamente siriano, che caratterizzava non solo la tradizione di intaglio in avorio sviluppatasi nei maggiori centri dei regni luvii e aramaici dell’inizio del I millennio, ma anche altre manifestazioni artistiche come la scultura e la metallurgia, fu un fatto di particolare importanza poiché contribuì a riconoscere alla Siria del I millennio un’autonomia culturale ed artistica che molto spesso le era stata negata in nome di una sua stretta dipendenza culturale dall’egemone Assiria.
Tra gli anni ’70 e ’90 del ‘900 prese poi avvio la corrente di studi che ha avuto, ed ha ancora oggi, l’intento di individuare i centri di produzione dei manufatti eburnei sulla base del confronto tra questi ultimi e gli ampi cicli scultorei che ornavano i principali edifici delle capitali dei regni neo-siriani. Tale raffronto trae la sua ragion d’essere dal fatto che i rilievi furono realizzati sul posto dalle botteghe di scultori locali, mentre gli avori, a causa della loro facile mobilità, ebbero un’ampia circolazione, sia in seguito ad attività commerciali, sia a causa di saccheggi, tributi o bottini. Inoltre la stretta dipendenza delle arti minori dalla scultura monumentale, dalla quale esse avrebbero desunto temi, modi compositivi e caratteri stilistici, sembrerebbe un fatto assodato.
Nell’ambito della tradizione nord-siriana questi studi hanno permesso di individuare varie scuole, i cui nomi fanno riferimento alle caratterizzazioni stilistiche che sono peculiari a ciascuna di esse e delle quali si è potuta in molti casi definire quantomeno l’area geografica di appartenenza.
La scuola della Fiamma e della Fronda avrebbe avuto il suo centro nell’area del regno aramaico di Bit Bakhiani, situato nella Mesopotamia settentrionale al centro del cosiddetto triangolo del fiume Khabur; questa scuola si distingue per le particolari stilizzazioni “a fiamma” dei muscoli degli animali e degli esseri mitici rappresentati (leoni, cervi, tori, sfingi e grifoni) e per l’altrettanto tipica resa del fogliame degli alberi stilizzati, tutte caratteristiche che si ritrovano sugli ortostati a rilievo della capitale del regno suddetto, Tell Halaf (antica Guzana). Questa scuola, inoltre, adotta delle particolari tecniche di lavorazione, come l’intaglio a giorno dei pannelli che recano la raffigurazione non solo sul davanti ma anche, in maniera semplificata, sul retro, e il fissaggio degli intarsi colorati in cavità sul cui fondo sono praticati uno o più fori; non è raro inoltre l’uso di rivestimenti in foglia d’oro. La sua produzione comprende sia elementi di arredo, sia oggetti suntuari, quali pissidi, specchi e ventagli. La scuola delle Guance tonde e dei riccioli è caratterizzata invece da volti umani pieni e tondi incorniciati da folti riccioli, i quali trovano riscontri nelle sculture di Sakçagözü, e da un horror vacui che determina un uso totale dello spazio, nel quale numerose figure si dispongono in complicati intrecci e sovrapposizioni.
La scuola cosiddetta Classica di SW 7, infine, che trae il suo nome dal vano del Forte Salmanassar di Nimrud/Kalkhu nel quale furono rinvenuti i pannelli costituenti gli schienali di un gran numero di sedie, presenta soggetti piuttosto ripetitivi, come personaggi barbati vestiti di una lunga tunica a scaglie che afferrano il tronco di una pianta sacra, geni maschili e femminili alati e figure femminili sedute in trono; questa scuola avrebbe avuto il suo centro di produzione nell’area del regno di Sam’al.
L’impossibilità di confrontare gli intagli in avorio di tradizione fenicia con l’arte monumentale degli antichi centri fenici, nella maggioranza dei casi non indagati per la sovrapposizione a questi ultimi delle città moderne, non ha reso possibile uno studio analogo a quello effettuato per la Siria-Palestina. È stato possibile tuttavia distinguere alcune scuole, tra le quali quella del Fiore Triplice, che trae il suo nome dalla presenza di un fiore a tre elementi che ricorre spesso al di sopra delle ali delle sfingi, appartiene propriamente alla tradizione fenicia.
Le altre tre scuole individuate si accostano maggiormente alla tradizione figurativa egiziana: quella del Gruppo Ornato, che produsse pannelli impreziositi dall’uso del cloisonné e di rivestimenti in foglia d’oro; quella che utilizza la particolare tecnica dello champlevé, in cui le figure presentano ampie parti scavate atte ad accogliere incrostazioni di paste vitree; infine quella Egittizzante, i cui temi, prevalentemente bellici, si accostano perfettamente a quelli egiziani e in cui il cloisonné, oltre ad essere impiegato su piccole superfici come negli intagli del Gruppo Ornato, occupa ampi settori delle figure, come le capigliature o gli elmi.
A seguito degli studi che hanno permesso l’identificazione delle varie scuole e botteghe, è stato inoltre possibile riconoscere una terza tradizione d’intaglio che è stata definita sud-siriana o intermedia proprio per la sua caratteristica principale, ovvero quella di presentare una commistione di tratti stilistici tipici della tradizione nord-siriana, quali la frontalità, il movimento e l’uso completo dello spazio, e di elementi e tematiche egittizzanti tipici dello stile fenicio, come la cura dei dettagli, l’eleganza formale e il sapiente uso della tecnica artigianale. I centri di produzione degli avori appartenenti a questa tradizione, che sono stati individuati nelle collezioni di Samaria, Arslan Tash, Khorsabad/Dur Sharrukin, Nimrud/Kalkhu, Zincirli/Sam’al e Karkemish, sarebbero stati ubicati in Siria meridionale, e precisamente nell’area di Damasco.
Anche all’interno di questa tradizione d’intaglio, inoltre, sono state individuate alcune scuole che prendono il loro nome dai rispettivi elementi tecnico-stilistici che le caratterizzano: la scuola denominata la Corona e la Scaglia, per la caratteristica deformazione della doppia corona faraonica dell’Alto e Basso Egitto, che assume la curiosa forma di una barchetta, e per il peculiare rendimento a tratteggio del piumaggio delle ali di sfingi e altri esseri mitici; la scuola detta la Parrucca e l’Ala, per la resa delle capigliature a fitti cubetti e l’ondulazione delle ali delle sfingi; e infine la scuola del Naso a Becco, i cui prodotti consistono in pannelli ad altorilievo con personaggi dal naso prominente e motivi egittizzanti ancora una volta fraintesi.
In merito alla cronologia degli avori di stile fenicio e nord-siriano, sembra essere parere unanime che la produzione di intagli in stile nord-siriano abbia avuto inizio nel IX secolo a.C. per poi esaurirsi e scomparire, insieme anche agli avori di tradizione intermedia, alla fine dell’VIII secolo a.C., mentre la produzione di avori fenici, che ebbe inizio parecchi decenni dopo quella nord-siriana, si protrasse per tutto il VII secolo a.C., colmando il vuoto lasciato dalla scomparsa dei manufatti nord-siriani. La cessazione della produzione di avori nord-siriani fu dovuta alla progressiva avanzata del sistema provinciale assiro, che portò al definitivo assoggettamento dei regni luvii e aramaici della Siria settentrionale e meridionale, condotto con metodi distruttivi che causarono la scomparsa delle botteghe artigiane e dei suoi prodotti. Il diverso trattamento riservato dall’impero assiro alle città fenicie della costa, che pur avendo subito saccheggi ed essere state assoggettate a tributo non furono mai ridotte a province dell’impero, permise la continuazione e l’incremento delle produzioni artigianali, tra le quali appunto quella degli avori, laddove esse erano chiamate a sostituire i pregevoli manufatti nord-siriani ormai scomparsi per sempre.
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Autore: Isabella Rosa
Cronologia: Protostoria