“L’esperienza acquisita nell’ambito delle metodologie di restauro a fronte di eventi catastrofici che hanno colpito regioni come l’Umbria, insieme all’antica collaborazione con l’Iraq nel campo archeologico, hanno reso l’Italia un Paese in grado di offrire un rilevante contributo al recupero del patrimonio culturale iracheno”.
Così Giuseppe Proietti, direttore generale per l’archeologia del Ministero per i Beni culturali, ha commentato l’assegnazione all’Italia della direzione del Dipartimento degli Affari culturali dell’Office of Reconstruction and Humanitarian Assistance (Orha), l’amministrazione provvisoria in Iraq sotto l’egida degli Stati Uniti: al diplomatico Pietro Cordone è stata affidata la responsabilità politica, al Ministero per i Beni culturali il supporto tecnico, nel delicato compito di ricostruzione del patrimonio iracheno che si avvarrà così delle competenze di Giuseppe Proietti in qualità di capo consigliere, dell’esperienza di Giuseppe Marseglia dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio artistico e di Paolo Battino coordinatore logistico del Centro Scavi di Torino a Bagdhad.
“La missione partita a fine maggio, continua Proietti, ha il compito di restituire operatività alla struttura irachena supportandola con la nostra esperienza e con équipe specializzate di cui fanno parte esperti e archeologi come Antonio Invernizzi e Roberta Venco Ricciardi dell’Università di Torino, una sessantina di tecnici delle varie Soprintendenze, due bibliotecari, due archivisti, e poi restauratori, architetti, ingegneri e fotografi”.
“Il sopralluogo subito dopo la fine della guerra, continua Proietti, è stato possibile all’Iraq Museum ma non sui siti archeologici, per i quali mancano ancora notizie sicure”.
Da un primo bilancio provvisorio, la situazione al Museo Nazionale di Bagdhad appare meno grave di quanto ipotizzato nei mesi scorsi: in seguito agli appelli delle autorità religiose, la restituzione degli oggetti da parte della comunità locale ha contribuito a far diminuire il numero dei reperti trafugati dal Museo che, stando alle dichiarazioni del colonnello americano Matthew Bogdanos, si aggirerebbe intorno ad alcune decine di migliaia; 951 le opere recuperate dall’arrivo delle forze della coalizione. Una quarantina di oggetti di grande valore sarebbe invece stata trafugata su commissione (il vaso di Warka, realizzato in alabastro alla fine del IV millennio a.C., secondo alcune voci sarebbe già stato restituito).
“Nel convegno dell’Interpol tenutosi a Lione il 5 e 6 maggio, osserva Proietti, è emerso un forte impegno di tutti i Paesi a stroncare ogni tentativo di immissione sul mercato di materiale in particolare proveniente dall’Iraq.”
Nel frattempo, mentre a Bagdhad il 17 maggio è giunta la missione dell’Unesco composta da Mounir Bouchemako (Unesco), Neil MacGregor (British Museum), Roberto Paparetti (Centro italo-iracheno per il Restauro dei Monumenti), Ken Matsumoto (Kokushikan archaeological expedition to Kish) e John Russel (Massachussets College of Art) per preparare un piano di intervento, a Washington, si svolge il 3 giugno la conferenza dell’Unesco sul Patrimonio Mondiale per illustrare l’impegno americano in materia di tutela dei beni culturali e naturali. Gli Stati Uniti infatti, da poco rientrati nell’Unesco dopo 18 anni di assenza, non si sono mai ritirati dalla Convenzione che definisce i principi e le regole sulla salvaguardia dei patrimonio di interesse universale approvata nel 1972.
Fonte: Il Giornale dell’Arte 01/06/03
Autore: Laura Giuliani
Cronologia: Arch. Orientale