“Le notizie… non sono ancora confermate e si può sperare che i capolavori più celebri… siano stati precedentemente collocati in luoghi di massima sicurezza, ci auguravamo due settimane fa, aggiungendo che ci sembrava impossibile anche lo spostamento di lastre parietali e bassorilievi in pietra pesanti tonnellate.
Alla luce delle ultime notizie sembra che la speranza non sia stata tradita del tutto. Mai come in questi casi il condizionale è d’obbligo, e tuttavia le notizie che rimbalzano da Baghdad e dagli Usa sembrano ridimensionare i danni al museo delle Antichità nella capitale irachena, ora sotto chiave e presidiato da tanks, senza comunque smentire la grave devastazione. Hanno cominciato le agenzie mercoledì scorso lanciando i numeri meno allarmanti accertati dalla commissione militare incaricata d’inventariare gli scempi (17 bacheche aperte, 28 pezzi mancanti dalle sale principali, 22 reperti danneggiati). Poi è stata la volta delle dichiarazioni stupefacenti del colonnello Bogdanos, che non sapeva tuttavia spiegare dove fossero finite le migliaia di opere ritenute in salvo da funzionari del museo. Quindi ecco giovedì le notizie confortanti del “New York Times” sull’identificazione – da parte di detective inviati da Washington – dei caveau dove erano stati nascosti i tesori dati per dispersi.
Salvo il particolare stupefacente che anche qui alcune casse sono state forzate e mancano all’appello pezzi preziosi. La notizia si poteva leggere ieri sulla “Repubblica”, però sotto un titolo però indulgente “Così gli iracheni hanno salvato i tesori del museo di Baghdad”. Nello stesso pezzo poi le informazioni sempre indulgenti all’ottimismo rilasciate non – come sarebbe normale attendersi – a Baghdad, dal direttore generale delle antichità irachene, Jaber Kaled Ibrahim, ma dal responsabile per le antichità mediorientali del British Museum, John E. Curtis. Dove? Alla presentazione della mostra newyorchese “Art of the First Cities” aperta giovedì scorso al Metropolitan Museum dopo anni di preparazione.
Quando si dice l’ironia della sorte… Allora: tutte buone notizie? No. Perché non sono ancora chiare e non indicano quali i pezzi ritrovati. Perché fanno vedere – dietro finti saccheggi a furor di popolo – i registi del mercato clandestino dell’arte. Oltre a complicità probabili di funzionari e vigilanti e militari, di varie casacche. E anche perché ancora nessuno ha spiegato la sorte di tanti archivi, registri, dischetti dove si conserva la memoria del Paese.
Spostando poi i riflettori attendiamo notizie dai musei di Mossul o di Ctesifonte, dalle biblioteche dei monasteri cristiani del Nord , da siti in attesa di scavi, e perché no? dai tempietti degli yazidi, dalle paludi dei mandei sopra Bassora… Perché in Iraq non vivono solo sciiti, sunniti, e curdi. Almeno per ora. Infine, chissà poi se gli Alleati capiranno il ruolo dei nostri archeologi che da anni hanno lavorato con i colleghi iracheni stabilendo relazioni paritetiche praticamente uniche. Riferiva giorni fa “Il Messaggero” che un ambasciatore americano s’è assai stupito quando Jaber Kaled Ibraim ha abbracciato Giuseppe Proietti, direttore generale per l’archeologia del ministero dei Beni culturali. Ancora stupore. Solo stupore?
Fonte: Redazione
Autore: Marco Roncalli (Presstoday – L’Avvenire)
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide