Parla Silvia Chiodi, la studiosa che in Iraq aveva lavorato con il team del militare ucciso. «Ha partecipato a due grandi ritrovamenti: la pietra di dolerite e i tavoloni provenienti dalla città di Eridu».
Del maresciallo Lattanzio si sa poco. Soprattutto non si sapeva del suo eccezionale apporto alla “ricostruzione” dell’Iraq attraverso la tutela dei beni culturali. Perciò rompe il silenzio l’archeologa Silvia Chiodi, che a Nasiriyah ha lavorato con il team di Lattanzio.
Da poco rientrata in Italia su un aereo militare dopo aver subito un banale incidente dice: «Non capisco il silenzio su Lattanzio. Ha partecipato ad opere umanitarie importantissime. Non voglio entrare in discorsi che pregiudicano la sicurezza, ho lavorato con lui per un mese, passando insieme anche ore di svago. Lui era a capo del “teamViper2” che si occupa della Tutela del Patrimonio Culturale ed io a capo della Missione “Progetto Iraq: Museo virtuale di Baghdad”.
Il comandante del Msu, il colonnello Ortolani ci aveva affidato a lui e con il suo gruppo, che allegramente chiamavamo il trio, abbiamo passato un mese indimenticabile. Anche se parlavano della nostra possibile morte a Nasiriyah: e quella che lo ha falciato era proprio quella di cui ci parlava terrorizzato».
Ma lì in Iraq non si parlava solo dei pericoli. «Lui parlava della morte non solo perché l’avvertiva come rischio -racconta l’archeologa-, ricordava la perdita tragica dei genitori, o il suo lavoro alla scientifica circondato dal sangue. E tuttavia a Nasiriyan pensava al suo viaggio in America per incontrare i nipoti, alla sua stanza nella casa in Australia della sorella, che desiderava la raggiungesse e cambiasse vita. Ma lui era troppo legato alla sua professione e all’Italia.
Piuttosto la missione gli aveva provocato la speranza di poter passare dalla scientifica alla tutela dei beni culturali». Un interesse questo che Lattanzio aveva coltivato fin dagli anni precedenti alla missione in Iraq. «Dirigeva, prima che arrivassi, il censimento dei siti archeologici del Dhi Qar, ne aveva fatto inserire ben 168 nuovi, aveva aggiornato la cartina».
Il militare si era specializzato nei rilievi tecnici dei reperti, «aveva partecipato alla ristrutturazione e al parziale allestimento del Museo archeologico di Nasiriyah. Lì ci eravamo recati per la consegna dei diplomi alle nuove guardie archeologiche». Anche di questo si era occupato il team di Lattanzio: un giorno felicissimo, per lui e i suoi uomini.
«Con il nostro arrivo il loro lavoro – ricorda Silvia Chiodi – subì un cambiamento. Ci supportavano nel lavoro e si occupavano della nostra sicurezza, siamo diventati una squadra affiatata. Lattanzio amava discutere, voleva comprendere, era assetato di sapere. Io, ma specialmente il professor Pettinato, lo ragguagliavamo sui luoghi in cui ci trovavamo, e sulla cultura sumerica. Nei giorni passati insieme, Lattanzio ha vissuto anche due grandi scoperte: la pietra di dolerite che ricorda la costruzione, ad Ur, del tempio del dio luna da parte del re Urmamma e i tavoloni di argilla inscritti provenienti dalla città di Eridu, considerata fino a poco fa sito preistorico».
Due grandi scoperte, una di Giovanni Pettinato e l’altra della Chiodi. Lavori finiti sulla stampa internazionale. «Sì, ma anche Lattanzio, insieme al Maresciallo Simone e all’Appuntato Cava collaborando con noi, hanno fatto parte del team che le ha trovate», precisa la studiosa. Ecco, Franco Lattanzio è stato anche questo. «Vorrei tanto che il suo nome fosse legato a questo aspetto. E in proposito, anche se non è mio compito dare suggerimenti, desidererei che il Presidente della Repubblica insignisse della medaglia alla cultura, seppur alla memoria, il maresciallo Lattanzio».
La sera prima del rimpatrio della professoressa Chiodi il sottufficiale «aveva chiesto di continuare a lavorare con gli archeologi». Solo una bomba poteva fermare l’archeologo con le mostrine.
Fonte: Avvenire 03/05/2006
Autore: Marco Roncalli
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide