Hatra, patrimonio dell’Unesco, a circa 80 km a sud di Mosul.
Si tratta di uno dei più importanti siti archeologici presenti nel Paese mediorientale, minacciato, e colpito allo stesso tempo, anch’esso, dalla follia e dalla barbarie della guerra. Solo tre anni fa venne usata dalle milizie dell’Isis come poligono di tiro o come sfondo per video di propaganda. Sul sito si temevano danni importantissimi, fortunatamente meno gravi di quanto inizialmente riportato dai media internazionali. Hatra fa parte di quei tessuti archeologici da preservare come Ninive, sempre in Iraq.
Una missione archeologica, finanziata da Aliph Foundation Ginevra e promossa dall’Ismeo di Roma ha raggiunto Hatra per catalogare, studiare e ricostruire i danni causati dai conflitti e comprendere come rimettere in sicurezza il sito. La missione è stato guidata dall’archeologo dell’università di Padova, Massimo Vidale, che abbiamo raggiunto ancora in Iraq.
Massimo Vidale, dopo Ninive ora una missione ad Hatra: a livello archeologico quanto è a rischio il patrimonio artistisco-culturale a causa del lungo periodo di conflitto che ha colpito l’Iraq?
Il livello di rischio oggi è altissimo, e giustifica gli ingenti sforzi che il MIBAC e il MAE del nostro paese stanno facendo da 20 anni in Iraq. Se cerchiamo le radici della drammatica situazione attuale, dobbiamo risalire indietro nel tempo: fino ai grandi cantieri di restauro e ricostruzione dei maggiori siti iracheni, monumentalizzati da Saddam Hussein a fini nazionalisti, senza comprendere l’effetto distruttivo del clima sui materiali usati, e senza pianificare una manutenzione appropriata; poi ai veramente disastrosi tempi dell’embargo (dal 1990 in poi), nel corso dei quali le Istituzioni locali, private di qualsiasi mezzo, cessarono l’opera di vigilanza e protezione dei monumenti. Le guerre del Golfo e i criminali atti dell’Isis, tra il 2014 e il 2017, sono solo l’ultimo colpo inferto al patrimonio di questa grande nazione. Oggi, l’attuale crisi economica sembra prevenire le grandi svolte positive che si vorrebbero. La crisi è anche quella – materiale e ideologica al tempo stesso – delle grandi Istituzioni internazionali che si occupano della protezione della cultura e del patrimonio interculturale a livello planetario.
Nello specifico, qual è il ruolo di un archeologo nella salvaguardia di questo patrimonio?
Alla nostra Missione partecipano archeologi esperti del Medio Oriente e del restauro, ed altri di topografia e archeologia del paesaggio. Grazie alla stretta collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage Iracheno, e a un forte senso di amicizia con questi colleghi, abbiamo visitato il complesso monumentale di Hatra stanza per stanza, schedando ogni dimensione di criticità per la conservazione del complesso. Nello stesso tempo, i colleghi dell’Università di Siena hanno sorvolato con droni l’intera città murata (300 ettari di superficie urbana), realizzandone una mappatura totale 3D ad alta definizione. Gli archeologi, in questo caso, sono i dottori che descrivono in dettaglio il paziente, e diagnosticano nel modo più accurato la malattia – il primo indispensabile passo verso la guarigione e, in prospettiva, la riqualificazione turistica di questo eccezionale sito.
Che cosa ha significato lavorare ad Hatra?
Hatra è una grande città fortificata fiorita tra il II e il III secolo d.C., inutilmente assediata prima da Traiano, poi, due volte, da Settimio Severo nel corso delle lunghe guerre combattute da Roma contro i Parti. Hatra allora si salvò grazie alle sue poderose difese, ancora molto ben conservate; ma cedette nel 241 d.C. all’assedio dei re Sassanidi (Iranici) Ardeshir e Shapur I, per poi essere rapidamente abbandonata, quasi nel nulla. Abbiamo tutti vissuto la forte emozione – che i colleghi torinesi che da tempo operano ad Hatra conoscono benissimo -di operare all’ombra di immensi archi, templi ed edifici turriti che ancora celano gran parte dei loro misteri. Anche se sui muri e sulle pietre di Hatra scorrono più di 500 iscrizioni in aramaico (la lingua semitica che parlava Gesù Cristo, ma in un dialetto tipicamente Hatreno) che divinità vi si adorassero, e con che caratteristiche, è ancora molto controverso. Poi, emozione altrettanto forte è stata quella di recuperare le sculture devastate dalle bande dell’ISIS, che solo tre anni fa ancora usavano Hatra come poligono e campo militare. Oggi abbiamo rinvenuto e ricongiunto diversi frammenti delle grandi maschere che figuravano a lati degli ingressi dei templi. Quando abbiamo visto che i pezzi tornavano insieme sono scoppiati degli applausi. Sono le stesse opere che nei video propagandistici venivano infrante a martellate e gettate al suolo: ora siamo certi che, una volta restaurate, risorgeranno al loro posto.
Quali altri siti archeologici in Iraq o nelle regioni del Medio Oriente meriterebbero attenzione?
Tutti i grandi siti che una volta facevano dell’Iraq la prima meta turistica del Medio Oriente versano in condizioni drammatiche: Babilonia, Ninive e le altre sedi regali Assire, Ur ed molti altri ancora; vanno ricordati anche i gravi danni inferti ai Musei. Non posso che rinnovare l’appello alle grandi Istituzioni internazionali, e a donors di ogni genere, a sostenere l’Iraq in un momento così critico. Senza dimenticare che molte altre distruzioni, al contrario di quelle mediatiche dell’ISIS, sono passate sotto silenzio, come la scomparsa di migliaia di siti archeologici, nell’intera regione medio-orientale, sommersi con frequenza crescente sotto le acque esiziali di centinaia di dighe. Stiamo già combattendo la guerra dell’acqua, mentre l’attenzione del mondo è ancora mediaticamente ipnotizzata dai conflitti per il petrolio.
La Missione Archeologica ad Hatra (governatorato di Ninive, Iraq) è stata finanziata da Aliph Foundation, e promossa dall’ISMEO di Roma. Il Project manager è Alessandro Bianchi; la Missione è stata diretta da Massimo Vidale (dBC, Università di Padova). Vi hanno partecipato Adib Fateh Alì (aspetti logistici e organizzazione in loco), Stefano Campana (Dipartimento Scienze storiche e dei beni culturali, Università di Siena, docente di topografia antica e archeologia del paesaggio), Stefania Berlioz (archeologa esperta del patrimonio Iracheno), Giovanni Fontana (architetto) e Matteo Sordini (topografia e droni, Archeo Tech&Survey). I colleghi Iracheni sono Mossab M. Jasim, Rouaid al-Lyla e Omar Khalil, rispettivamente Direttore e Funzionari dello SBAH locale.
Autore: Mattia Sopelsa
Fonte: www.ilbolive.unipd.it, 25 feb 2020