L’hanno presentata al mondo chiusa in una bacheca di vetro. Un lenzuolo di cotone ne avvolgeva il corpo, vecchio di 3500 anni, restituendogli un po’ di pudore, dopo che per mesi era stato manipolato per scoprirne l’identità. Oggi quelle spoglie hanno nuovamente un nome, il suo, Hatshepsut, il faraone donna che ha regnato sull’Egitto nell’età d’oro, durante la XVIII dinastia.
«È la scoperta piú importante dopo il ritrovamento della mummia di Tutankhamon nel 1922, da parte di Howard Carter», ha annunciato Zahi Hawass, il segretario generale del Consiglio Supremo alle Antichità. Come un vero detective, per mesi ha condotto la sua indagine per riuscire a scoprire se la mummia di Hatshepsut si fosse salvata dal processo di damnatio memoriae infertole dal figliastro Thutmosi III, e dalla brutalità con cui erano state depredate le tombe dei faraoni nella Valle dei Re a Luxor durante la XXII dinastia.
Non ha sbagliato Hawass. I sacerdoti, negli anni bui del Terzo Periodo Intermedio (1069-715 a.C.), avevano spostato il corpo del faraone donna piú famoso dell’antico Egitto dalla sua tomba, la KV20, a quella vicina della sua nutrice, la KV60. E lí, senza una traccia che potesse far risalire alla sua identità, era rimasto fino a pochi mesi fa. Come nei migliori gialli, una prova schiacciante, trovata in modo accidentale, ha risolto il caso. Un dente, il molare destro di Hatshepsut, ha permesso di ritrovare la mummia di cui si era persa ogni traccia. Era conservato in un vaso canopo nel quale erano stati sigillati una parte degli organi interni della regina.
La ricerca è stata lunga e complicata. Il team di scienziati, tutti egiziani, ha iniziato a cercare il corpo di Hatshepsut tra le mummie di regine della XVIII dinastia rimaste senza nome. I sospetti si sono concentrati su quattro corpi diversi. I primi due erano stati ritrovati nella cachette della tomba DB320 di Deir el-Bahari, insieme al vaso canopo e alle mummie di Thutmosi I e Thutmosi II, rispettivamente il padre e il marito della regina d’Egitto. Gli altri due arrivavano dalla tomba KV60, scoperta da Carter nel 1903. L’archeologo inglese trasportò subito al Museo del Cairo Siter In, la nutrice di Hatshepsut, dimenticando in un cunicolo la mummia piú importante.
Avvalendosi della stessa macchina CT Scan usata nel 2005 per scoprire la causa della morte di Tutankhamon, Hawass e il suo team hanno sottoposto alla TAC i quattro corpi femminili. Infine, grazie a Discovery Channel, che ha donato al Museo del Cairo un laboratorio per l’analisi del DNA, hanno effettuato l’esame scientifico sulle uniche due mummie corrispondenti alle caratteristiche del faraone donna, quelle trovate nella tomba KV60. A questo punto l’indagine subisce una battuta d’arresto. Per avere i risultati del DNA, infatti, servono alcuni mesi. Intanto, in un anno e mezzo di lavoro, Brando Quilici ha filmato tutte le sequenze della storia, per realizzare il documentario Secret of Egypt’s lost Queen, che Discovery Channel presenterà prima negli USA, poi in Italia (andrà in onda il 17 ottobre).
Hawass, alla ricerca di una traccia decisiva, decide allora di sottoporre a TAC anche il vaso canopo di Hatshepsut. Cosí gli scienziati hanno trovato la prova risolutiva, il dente che poteva appartenere solo alla vera mummia del faraone donna.
Dopo lo show mediatico del Cairo, ora Hatshepsut può riprendere forse il suo sonno eterno, chiusa in una teca di vetro nel museo di Tahir Square. C’è da chiedersi, però, se era questa l’immortalità a cui aveva pensato la regina dell’Egitto, immaginando il suo corpo cosparso di resine profumate, mummificato perché avesse vita eterna.
Autore: Francesca Malandrucco
Fonte: http://www.archeo.it, agosto 2007