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GRADO (Go). Recuperata nel golfo un’anfora della “Grado 2” affondata 2.400 anni fa.

Il mare parla, il mare racconta. Immaginiamola per un momento questa nave, immaginiamola mentre solca le acque a largo dell’odierna Grado. Siamo a metà del III secolo a. C., 2400 anni fa: periodo pre-romano, ben prima della fondazione di Aquileia, sorta nel 181 a.C. Immaginiamo la nave. Trasporta un prezioso carico di anfore che contengono vino. L’imbarcazione è a circa 7 miglia dalla costa.
All’improvviso una tempesta. O, chissà, l’attacco dei pirati. Possibile: l’Adriatico, fanno notare gli storici, in quel periodo era infestato. L’imbarcazione affonda. I marinai probabilmente fanno una brutta fine: non esisteva modo per dare l’SOS. E chissà se c’erano le scialuppe di salvataggio.
La nave si adagia sul fondale, a 19 metri di profondità, il carico si disperde attorno. La sabbia e i sedimenti seppelliscono tutto. Qualcosa affiora.
Trascorrono secoli, millenni. È il 1999 quando un pescatore, issando le reti, si accorge di alcuni cocci qua e là, tra i pesci, e avvisa le autorità. Incominciano le ricerche, spuntano i resti di circa un centinaio di anfore. Alcune sono quasi integre. È un relitto, che verrà denominato “Grado 2”, peraltro non lontano dalla “Iulia Felix”, la nave romana rinvenuta nel 1986 a sei miglia a largo.
La scoperta è importante: è la più antica testimonianza di archeologia subacquea dell’alto Adriatico: le anfore, alcune in frammenti altre intere, appartengono al gruppo “Greco-Italico antico”. Gli studi permetteranno di aggiungere nuovi elementi sulle rotte commerciali e gli approdi in età ellenistica. Da dove proveniva il vino? A chi era destinato? A quali delle popolazioni insediate oltre le coste del “Caput Adriae”? Gli esperti sono concordi nel sostenere che sotto quei cocci che affiorano in superficie, sommersi da strati di sabbia e sedimenti, potrebbe nascondersi anche la chiglia della nave, le suppellettili e gli oggetti dei marinai. Un tesoro.
L’ultima anfora recuperata nel golfo, a riconferma di quali altri reperti cela il nostro mare, è stata portata alla luce proprio ieri grazie a un’escursione dei Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Udine (comandante maggiore Lorenzo Pella, vice comandate luogotenente Saverio Rossi) con i Carabinieri subacquei di Genova e il supporto della motovedetta di Grado.
All’ispezione hanno preso parte la soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Fvg Simonetta Bonomi, il professore di Archeologia subacquea e Navale dell’Università di Udine Massimo Capulli e il sommozzatore Francesco Dossola, assistente tecnico del Polo museale del Veneto.
Il sopralluogo è servito a verificare lo stato della rete metallica installata sott’acqua, proprio sopra i frammenti di anfora, tra il 2012 e il 2015, con la direzione scientifica dell’allora soprintendente Luigi Fozzati e un contributo ministeriale di 150 mila euro. La griglia serve a conservare il sito, come un vero e proprio “museo sommerso”, dal moto ondoso e dai danneggiamenti della pesca a strascico. Ma anche dai trafficanti clandestini di reperti archeologici. Il business milionario dei tesori nascosti negli abissi.

Autore: Giampaolo Sarti

Fonte: www.messaggeroveneto.it, 30 ago 2019

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