Dopo aver scoperto i primi resti di antiche fornaci sotto la chiesa di Santa Restituta, a Lacco Ameno, nel 1968 il parroco don Pietro Monti scriveva: “Appare evidente che i Pitecusani si arricchirono non per le inesistenti miniere d’oro di cui parla Strabone, ma per la presenza di depositi di argilla adatta all’industria della ceramica”.
Quella che prima era una lontana ipotesi prendeva così corpo, e iniziarono tentativi di distinguere i prodotti ceramici di importazione, dalla Grecia soprattutto, dalle possibili imitazioni, a Ischia, con l’argilla locale. A tutt’oggi, però, i tentativi, da parte degli archeologi di riconoscere la provenienza in base alla materia prima utilizzata non hanno dato risultati certi, e la distinzione continua a basarsi, soggettivamente, su caratteristiche tipologiche e decorative. D’altra parte, nell’isola sono presenti differenti tipi di argilla, non tutti idonei alle manifatture ceramiche, che pure per lungo tempo sono state confuse tra di loro e che continuano ad esserlo, da parte di “esperti” archeologi.
La distinzione tra i diversi prodotti può desumersi da una attenta analisi delle fonti, troppo spesso riportate de “relato” senza controllarle e ricopiandone eventuali errori, quando non distorcendole volontariamente per sostenere tesi preconcette, ed è stata materialmente possibile grazie a recenti approfondimenti geologici e giacimentologici, trascurati nel recente passato, mentre specifiche analisi chimiche e mineralogiche eseguite in tempi recentissimi consentono già una suffiente caratterizzazione del prodotto specifico che sarebbe stato utilizzato nell’antichità.
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Autore:
Giuseppe Pipino – Museo Storico dell’Oro Italiano – info@oromuseo.com