È uscito da pochi giorni un interessantissimo volume di Giulio Mastrangelo, avente come titolo La condizione giuridica della donna nelle leggi longobarde e negli usi matrimoniali in Terra d’Otranto, edito dal giovane e coraggioso editore massafrese Dellisanti.
Anche se il lavoro è pubblicizzato come opera prima, è tale solo se si considerano opere in volume, perché è bene ricordare la ormai vasta bibliografia di articoli di storia generale e storia del diritto riferibili al severo autore.
Anche a volerci limitare solo a qualcuna delle opere più notevoli, dobbiamo citare quelle sulla storia di Massafra, come Contributo sull’origine dei pozzi di uso pubblico: vicende e primo censimento dei pozzi e delle cisterne “universali”del territorio di Massafra, “Archeogruppo” 4, Massafra 1997. Brevi note storiche sul Castello, il fossato, le mura medievali, i molini baronali e la chiesa di S. Toma a Massafra, in “Archeogruppo” 5, Massafra 2002, pp. 59-82 e il volumetto La cartografia di Pietro De Marino e la questione confinaria fra Taranto e Massafra.
I suoi interessi di studio sugli usi civici occupano un ampio arco di tempo, e vanno dal contributo Su un’antica servitù di pascere, di legnare ed adacquare esercitata dai massafresi sulla Difesa di San Marco dei Lupini in tenimento di Palagiano, “Archeogruppo” 2, Massafra 1995, pp. 43-64 all’intervento Gli usi civici a Massafra e Martina Franca, in La testa di Medusa. Storia e attualità degli usi civici in Terra d’Otranto, Atti del convegno, Martina Franca, 5 ottobre 2009, in stampa. Va notato che tutti questi contributi sono dotati di appendici di documenti attestanti la puntualità dell’informazione. D’altra parte, l’attenzione al documento è rivelata anche da una recentissima pubblicazione sull’Archivio Capitolare di Massafra.
La sua attività di storico del diritto, con particolare attenzione a quello longobardo, è attestata da diversi contributi minori, fra i quali è almeno da ricordare l’intervento Tracce di istituti longobardi in Terra d’Otranto, in La presenza dei Longobardi nelle regioni d’Italia, Atti del Convegno, Paestum, 21.11.2009, in stampa.
Il volume che recensiamo, non è dunque il volume di esordio di uno sprovveduto pivello, ma un serio contributo di uno storico pienamente maturo.
Il primo capitolo parla della donna nelle leggi dei longobardi, e l’Autore inizia col presentarci un quadro della società longobarda quale ci appare nella lunga marcia di conquista dell’Italia, dal Friuli alla Puglia, nella quale la donna era considerata marginale, perché elemento debole nella famiglia di guerrieri.
La famiglia longobarda è una famiglia allargata: la parentela è sentita come stretta sino alla settima generazione e vive nella stessa abitazione o in abitazioni contigue, come – annota Mastrangelo – nelle casegrotte scavate in un unico contesto, all’interno di una ‘vicinanza’, come a Massafra, o all’interno di uno dei tanti villaggi rupestri di Terra Jonica. Situazione determinata anche dal fatto che, per una norma introdotta dal re Grimoaldo, il patrimonio familiare doveva rimanere indiviso fino alla morte del capofamiglia.
Le donne, all’interno di questa famiglia, sono divise in tre classi: le libere, le semilibere (aldie), le schiave (ancillae), ovviamente con diversi livelli di diritti. Anche fra sorelle, le figlie legittime avevano diritti maggiori di quelli concessi alle figlie naturali, procreate dallo stesso padre con le serve di casa. Come si vede, la monogamia, dai Patriarchi biblici ai Longobardi, all’Islam, ai Mormoni, è un peso imposto soltanto alla donna, raramente all’uomo.
In ogni caso, anche la donna libera, sia figlia legittima che naturale, secondo l’Editto di Rotari è totalmente soggetta all’uomo che ne detiene il mundio, padre, fratello, marito e non possiede capacità giuridica, in quanto incapace di difesa armata.
Ma proprio perché incapace di difesa, la donna longobarda gode di fortissime protezioni da atti di violenza o di disonore, e non è mai imputabile o punibile. In cambio, ha una serie di obblighi di comportamento sociale da osservare.
La donna nubile era indicata come filia in capillo o in capillis, termine che la designò fino all’Ottocento, perché le ragazze longobarde portavano i capelli sciolti, mentre le maritate li portavano raccolti in una specie di tuppo.
Non entreremo nel merito dei diritti di successione spettanti alla donna, per non privare il lettore del piacere della scoperta, ed accenneremo appena alle fasi che andavano dagli sponsali (il fidanzamento) alle nozze.
Gli sponsali consistevano in un accordo scritto e sottoscritto tra la famiglia del promesso sposo e quello della ragazza libera, e l’adempimento dei patti ivi esposti era garantito dalla prestazione della wadia, una fideiussione prestata da uno dei parenti.
Le nozze non seguivano subito, ma entro un periodo di due anni.
Nel giorno stabilito per le nozze, avviene la traditio, la ‘consegna’. La donna è una specie di cosa, che viene consegnata, alla presenza di amici e parenti, dal mundualdo (padre, fratello, zio) allo sposo, che compra il mundio pagando al precedente mundualdo il meffio o meta. Al mattino del giorno seguente, lo sposo, sempre alla presenza di amici e parenti, consegna alla moglie il morgengabe, il ‘dono del mattino’.
Le trasformazioni che il diritto longobardo subisce per influsso della Chiesa di Roma sono descritte dall’Autore, che continua con l’approfondimento degli usi in Terra d’Otranto e dedica puntuali paragrafi a Taranto, Massafra e Mottola longobarde, facendo luce su un medioevo che, fino a qualche anno fa, era un indistinto e astorico ‘periodo bizantino’.
Quanto al diritto matrimoniale longobardo, rimase in uso in Terra d’Otranto fino al 1809, vale a dire fino alla promulgazione del Codice Napoleonico.
Il volume è arricchito da una puntuale presentazione del prof. Francesco Mastroberti, dell’Università di Bari, direttore del Dipartimento Jonico in Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo, da una doviziosa Appendice di documenti, ben 21, 15 dei quali inediti, da un glossario dei termini giuridici e da un’opportuna serie di illustrazioni.
Siamo grati all’Autore, per aver così ampiamente arricchito le nostre conoscenze sul Medioevo meridionale in genere e la nostra terra in particolare.
Anche se il lavoro è pubblicizzato come opera prima, è tale solo se si considerano opere in volume, perché è bene ricordare la ormai vasta bibliografia di articoli di storia generale e storia del diritto riferibili al severo autore.
Anche a volerci limitare solo a qualcuna delle opere più notevoli, dobbiamo citare quelle sulla storia di Massafra, come Contributo sull’origine dei pozzi di uso pubblico: vicende e primo censimento dei pozzi e delle cisterne “universali”del territorio di Massafra, “Archeogruppo” 4, Massafra 1997. Brevi note storiche sul Castello, il fossato, le mura medievali, i molini baronali e la chiesa di S. Toma a Massafra, in “Archeogruppo” 5, Massafra 2002, pp. 59-82 e il volumetto La cartografia di Pietro De Marino e la questione confinaria fra Taranto e Massafra.
I suoi interessi di studio sugli usi civici occupano un ampio arco di tempo, e vanno dal contributo Su un’antica servitù di pascere, di legnare ed adacquare esercitata dai massafresi sulla Difesa di San Marco dei Lupini in tenimento di Palagiano, “Archeogruppo” 2, Massafra 1995, pp. 43-64 all’intervento Gli usi civici a Massafra e Martina Franca, in La testa di Medusa. Storia e attualità degli usi civici in Terra d’Otranto, Atti del convegno, Martina Franca, 5 ottobre 2009, in stampa. Va notato che tutti questi contributi sono dotati di appendici di documenti attestanti la puntualità dell’informazione. D’altra parte, l’attenzione al documento è rivelata anche da una recentissima pubblicazione sull’Archivio Capitolare di Massafra.
La sua attività di storico del diritto, con particolare attenzione a quello longobardo, è attestata da diversi contributi minori, fra i quali è almeno da ricordare l’intervento Tracce di istituti longobardi in Terra d’Otranto, in La presenza dei Longobardi nelle regioni d’Italia, Atti del Convegno, Paestum, 21.11.2009, in stampa.
Il volume che recensiamo, non è dunque il volume di esordio di uno sprovveduto pivello, ma un serio contributo di uno storico pienamente maturo.
Il primo capitolo parla della donna nelle leggi dei longobardi, e l’Autore inizia col presentarci un quadro della società longobarda quale ci appare nella lunga marcia di conquista dell’Italia, dal Friuli alla Puglia, nella quale la donna era considerata marginale, perché elemento debole nella famiglia di guerrieri.
La famiglia longobarda è una famiglia allargata: la parentela è sentita come stretta sino alla settima generazione e vive nella stessa abitazione o in abitazioni contigue, come – annota Mastrangelo – nelle casegrotte scavate in un unico contesto, all’interno di una ‘vicinanza’, come a Massafra, o all’interno di uno dei tanti villaggi rupestri di Terra Jonica. Situazione determinata anche dal fatto che, per una norma introdotta dal re Grimoaldo, il patrimonio familiare doveva rimanere indiviso fino alla morte del capofamiglia.
Le donne, all’interno di questa famiglia, sono divise in tre classi: le libere, le semilibere (aldie), le schiave (ancillae), ovviamente con diversi livelli di diritti. Anche fra sorelle, le figlie legittime avevano diritti maggiori di quelli concessi alle figlie naturali, procreate dallo stesso padre con le serve di casa. Come si vede, la monogamia, dai Patriarchi biblici ai Longobardi, all’Islam, ai Mormoni, è un peso imposto soltanto alla donna, raramente all’uomo.
In ogni caso, anche la donna libera, sia figlia legittima che naturale, secondo l’Editto di Rotari è totalmente soggetta all’uomo che ne detiene il mundio, padre, fratello, marito e non possiede capacità giuridica, in quanto incapace di difesa armata.
Ma proprio perché incapace di difesa, la donna longobarda gode di fortissime protezioni da atti di violenza o di disonore, e non è mai imputabile o punibile. In cambio, ha una serie di obblighi di comportamento sociale da osservare.
La donna nubile era indicata come filia in capillo o in capillis, termine che la designò fino all’Ottocento, perché le ragazze longobarde portavano i capelli sciolti, mentre le maritate li portavano raccolti in una specie di tuppo.
Non entreremo nel merito dei diritti di successione spettanti alla donna, per non privare il lettore del piacere della scoperta, ed accenneremo appena alle fasi che andavano dagli sponsali (il fidanzamento) alle nozze.
Gli sponsali consistevano in un accordo scritto e sottoscritto tra la famiglia del promesso sposo e quello della ragazza libera, e l’adempimento dei patti ivi esposti era garantito dalla prestazione della wadia, una fideiussione prestata da uno dei parenti.
Le nozze non seguivano subito, ma entro un periodo di due anni.
Nel giorno stabilito per le nozze, avviene la traditio, la ‘consegna’. La donna è una specie di cosa, che viene consegnata, alla presenza di amici e parenti, dal mundualdo (padre, fratello, zio) allo sposo, che compra il mundio pagando al precedente mundualdo il meffio o meta. Al mattino del giorno seguente, lo sposo, sempre alla presenza di amici e parenti, consegna alla moglie il morgengabe, il ‘dono del mattino’.
Le trasformazioni che il diritto longobardo subisce per influsso della Chiesa di Roma sono descritte dall’Autore, che continua con l’approfondimento degli usi in Terra d’Otranto e dedica puntuali paragrafi a Taranto, Massafra e Mottola longobarde, facendo luce su un medioevo che, fino a qualche anno fa, era un indistinto e astorico ‘periodo bizantino’.
Quanto al diritto matrimoniale longobardo, rimase in uso in Terra d’Otranto fino al 1809, vale a dire fino alla promulgazione del Codice Napoleonico.
Il volume è arricchito da una puntuale presentazione del prof. Francesco Mastroberti, dell’Università di Bari, direttore del Dipartimento Jonico in Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo, da una doviziosa Appendice di documenti, ben 21, 15 dei quali inediti, da un glossario dei termini giuridici e da un’opportuna serie di illustrazioni.
Siamo grati all’Autore, per aver così ampiamente arricchito le nostre conoscenze sul Medioevo meridionale in genere e la nostra terra in particolare.
Autore: Roberto Caprara