Un collegamento tradizionale tra i paesi sono state le meridiane che, come le ore battute dai campanili, hanno permesso ai nostri antenati di scandire il tempo astronomico per uniformare le loro attività. Uno dei segni distintivi delle antiche tradizioni è in grado di farsi leggere anche dalla gente d’oggi con l’ombra dello ‘gnomone’ (l’estremità dello stilo). Impiegate fino al Seicento e successivamente usate per controllare gli orologi meccanici ancora imprecisi, hanno lasciato vistose tracce in molte regioni. La maggior parte dei quadranti sulle pareti di chiese o palazzi sono ormai deteriorati e quindi inutili anche come decorazione ma molti altri, preservati o restaurati, danno ancora al passante la sensazione del tempo lento, misurato sul movimento degli astri e non su quello nevrotico dei nostri tempi. Meridiane da restaurare: un interessante patrimonio da conservare per motivi culturali e turistici.
Solitamente le meridiane sono di tipo verticale, disegnate sulle pareti, e indicano l’ora astronomica del tempo locale; la loro impostazione richiede calcoli matematici e una grande abilità (gli Arabi raggiunsero un alto grado di precisione tecnica in questo campo) per i mutamenti stagionali in base alla posizione. Alcune sono esteticamente molto belle, con risultati cromatici e figurativi che ripercorrono la loro storia e quella degli uomini. I motti e le date riportate sui quadranti mostrano lo stretto rapporto della precarietà umana con il tempo infinito: “Fugit irreparabile tempus”, “Sorgendo il sole in sua carriera addita dell’ora la breve e passeggera vita”, “Senza parlar io sono inteso, senza rumor l’ora paleso”, “Mancherà il suon della campana o il ferro ma se si scopre il sol io non erro”, “Vuoi saper l’ora ch’è? Te’l dico presto: è l’ora d’operar da uomo onesto”.
Una tradizione assunta ad emblema dalla Vallée de la Clarée nelle Hautes-Alpes, nei pressi di Briançon: un itinerario del tempo costellato da centinaia di meridiane di valore storico inserite in un ambiente rurale di grande fascino: “Seul le temps est perdu dont l’Amour est absent”. Per secoli la campana è stata il punto di riferimento per la collettività, un mezzo di chiamata a raccolta per scopi di culto o d’allarme. Quando rintoccavano a vespro, a morto o a martello, la gente veniva informata proprio come con i moderni mass media: il momento della sosta e quello della preghiera, del pericolo e della pietà.
L’uso di strumenti sonori utili alle comunità risale a tempi antichi. Le campane furono impiegate come mezzo di adunata dal VI sec. e come sistema rituale dal IX sec. Sulle torri comunali avevano il compito di servizio civile: pericoli incombenti, pestilenze, inondazioni e chiamata alle armi: “e se voi sonerete le vostre trombe noi daremo nelle campane” (Pier Capponi), “il suon delle sciolte campane sonanti a la gloria” (Carducci).
Per misurare il tempo i cinesi usavano candele sulle quali venivano incise tacche ad intervalli orari che, consumandosi lo stoppino, liberavano una cordicella collegata ad una campana; sulle navi erano usate come strumento di segnalazione in situazioni di scarsa visibilità, di black-out totale dell’energia di bordo o di avaria degli altri mezzi di richiamo. Inizialmente battute in ferro, già dal VII secolo le campane furono fuse in bronzo, una lega composta da quattro parti di rame ed una di stagno. In Italia le fonderie, in particolare quelle pisane, lucchesi e fiorentine, tramandavano i segreti di bottega da padre in figlio riuscendo a realizzare piccoli capolavori con sonorità eccezionali e con fregi di particolare valore artistico: immagini, sigilli e stemmi.
Alcune credenze popolari riportano che per ottenere un suono più cristallino occorresse aggiungere alla fusione il sangue di una vergine, che la loro consacrazione avesse il potere di scacciare le streghe o i diavoli, che quando le campane suonavano da sole annunciassero sventure. Un mestiere tra i tanti che stanno scomparendo è anche quello del campanaro, solitamente abbinato alle funzioni del sagrestano: persone eccezionalmente esperte potevano eseguire veri e propri concerti con gruppi di campane collegate da tiranti, tastiere e pedaliere in modo da formare una grezza ma efficace ‘orchestra’. Una tradizione secolare, valido contributo a mantenere le giuste proporzioni fra il dare e l’avere della vita.
Solitamente le meridiane sono di tipo verticale, disegnate sulle pareti, e indicano l’ora astronomica del tempo locale; la loro impostazione richiede calcoli matematici e una grande abilità (gli Arabi raggiunsero un alto grado di precisione tecnica in questo campo) per i mutamenti stagionali in base alla posizione. Alcune sono esteticamente molto belle, con risultati cromatici e figurativi che ripercorrono la loro storia e quella degli uomini. I motti e le date riportate sui quadranti mostrano lo stretto rapporto della precarietà umana con il tempo infinito: “Fugit irreparabile tempus”, “Sorgendo il sole in sua carriera addita dell’ora la breve e passeggera vita”, “Senza parlar io sono inteso, senza rumor l’ora paleso”, “Mancherà il suon della campana o il ferro ma se si scopre il sol io non erro”, “Vuoi saper l’ora ch’è? Te’l dico presto: è l’ora d’operar da uomo onesto”.
Una tradizione assunta ad emblema dalla Vallée de la Clarée nelle Hautes-Alpes, nei pressi di Briançon: un itinerario del tempo costellato da centinaia di meridiane di valore storico inserite in un ambiente rurale di grande fascino: “Seul le temps est perdu dont l’Amour est absent”. Per secoli la campana è stata il punto di riferimento per la collettività, un mezzo di chiamata a raccolta per scopi di culto o d’allarme. Quando rintoccavano a vespro, a morto o a martello, la gente veniva informata proprio come con i moderni mass media: il momento della sosta e quello della preghiera, del pericolo e della pietà.
L’uso di strumenti sonori utili alle comunità risale a tempi antichi. Le campane furono impiegate come mezzo di adunata dal VI sec. e come sistema rituale dal IX sec. Sulle torri comunali avevano il compito di servizio civile: pericoli incombenti, pestilenze, inondazioni e chiamata alle armi: “e se voi sonerete le vostre trombe noi daremo nelle campane” (Pier Capponi), “il suon delle sciolte campane sonanti a la gloria” (Carducci).
Per misurare il tempo i cinesi usavano candele sulle quali venivano incise tacche ad intervalli orari che, consumandosi lo stoppino, liberavano una cordicella collegata ad una campana; sulle navi erano usate come strumento di segnalazione in situazioni di scarsa visibilità, di black-out totale dell’energia di bordo o di avaria degli altri mezzi di richiamo. Inizialmente battute in ferro, già dal VII secolo le campane furono fuse in bronzo, una lega composta da quattro parti di rame ed una di stagno. In Italia le fonderie, in particolare quelle pisane, lucchesi e fiorentine, tramandavano i segreti di bottega da padre in figlio riuscendo a realizzare piccoli capolavori con sonorità eccezionali e con fregi di particolare valore artistico: immagini, sigilli e stemmi.
Alcune credenze popolari riportano che per ottenere un suono più cristallino occorresse aggiungere alla fusione il sangue di una vergine, che la loro consacrazione avesse il potere di scacciare le streghe o i diavoli, che quando le campane suonavano da sole annunciassero sventure. Un mestiere tra i tanti che stanno scomparendo è anche quello del campanaro, solitamente abbinato alle funzioni del sagrestano: persone eccezionalmente esperte potevano eseguire veri e propri concerti con gruppi di campane collegate da tiranti, tastiere e pedaliere in modo da formare una grezza ma efficace ‘orchestra’. Una tradizione secolare, valido contributo a mantenere le giuste proporzioni fra il dare e l’avere della vita.
Autore: Giuliano.confalonieri@alice.it