La scena è affascinante. All’inizio, una telecamera attaccata al muso di un piccolo aereo telecomandato mostra solo l’oscillante orizzonte assolato di un’area desertica della Giordania meridionale.
Poi, lentamente, la telecamera inizia sorvolare la cima di una collina, la cui superficie bucherellata ricorda i paesaggi lunari che offriva l’Europa del primo dopoguerra mondiale. Cratere dopo cratere, la superficie rocciosa della colline sembra aver subito una martellante pioggia d’artiglieria. I fori però non sono il risultato di esplosioni. Ogni buca è stata scavata laboriosamente, una palata di terra alla volta, da un esercito di tombaroli. La vittima in questo caso è un sito archeologico, Fifa, che ospita oltre 10.000 sepolture dell’Età del Bronzo colme di vasellame, perle di corniola e bracciali di conchiglie; un’enorme necropoli che alcuni archeologi associano a Sodoma e Gomorra, le bibliche “città delle pianure” distrutte dall’ira divina.
Gli autori dei saccheggi “non sembrano particolarmente preoccupati”, dice Morag Kersel, archeologa della DePaul University di Chicago, descrivendo quelli che ha incontrato nella Valle del Giordano mentre faceva volare il suo aeroplanino. “Alcuni sono solo ragazzi. Sono venuti perfino a parlarci”.
Il traffico di antichità non è certo una novità in Medio Oriente, dove l’instabilità politica, unita all’abbondanza di reperti storici, alimenta un mercato globale affamato di manufatti provenienti dalla Terra Santa.
Il saccheggio sistematico degli straordinari siti mesopotamici in Iraq durante e dopo l’ultima guerra ha riportato in evidenza il problema. Dalla Siria giungono notizie di reperti archeologici barattati con armi.
In Giordania, un’oasi di relativa calma per la regione, le cose sono andate decisamente meglio rispetto ai paesi vicini. Ma la povertà e la domanda internazionale di reperti ha comunque richiesto un tributo. Alcune delle più vaste necropoli del mondo antico, erette su colline e altopiani lungo le aride sponde del Mar Morto già 5.500 anni fa, sono state saccheggiate dai tombaroli.
L’unica vera novità in questo panorama di distruzione culturale sono i droni – uno strumento di alta tecnologia che gli archeologi utilizzano per studiare (e forse contribuire a controllare) il commercio illegale di manufatti.
“Bisogna capire cosa è andato perduto prima di proteggere ciò che resta”, spiega Kersel, che cercherà di monitorare questo genere di attività lungo il Mar Morto in Giordania per i prossimi cinque anni. “I droni sono lo strumento perfetto. Costano poco, e offrono informazioni più dettagliate rispetto ai satelliti”.
Gli aeromobili a pilotaggio remoto, o UAV, sono noti soprattutto per le discusse attvità militari di sorveglianza e uccisione di combattenti in zone come il Pakistan e l’Afghanistan, ma stanno rivoluzionando la ricerca archeologica. Sono stati impiegati ad esempio per mappare remoti siti funarari della cultura Moche in Perù e per ricostruire immagini tridimensionali delle rovine Gallo-Romane sepolte sotto le autostrade svizzere, e perfino, in un caso, per individuare un quasi irragiungibile sito di arte rupestre nel sudovest americano.
“Negli ultimi 5-7 anni sono state sviluppate una serie di tecnologie che rendono i droni molto interessanti”, dice Austin “Chad” Hill, un archeologo e pilota di droni alla University of Connecticut che sta contribuendo alla ricarca di Kersel. “Si possono equipaggiare con magnetometri, barometri, GPS e tutti i tipi di telecamera. Possono fornire un’incredibile quantità di dati”.
Le uniche minacce ai droni di Hill sono state rappresentate finora dalle mucche e dalle capre che si trovavano nel punto in cui atterravano i velivoli. “I componenti per costruire un drone costano attorno ai 1.000 dollari”, dice Hill. “È possibile costruirne uno da soli. Affittarlo può essere molto più costoso”.
Neppure la normale fotografia aerea è altettanto utile, dice Hill, perché il drone in volo riesce a catturare molti più dettagli.
Grazie ai droni, Kersel ha scoperto che, in Giordania, a Fifa, i tombaroli – molto spesso ex contadini a cui è stata sottratta la terra – stanno riprendo le vecchie buche: segno che trovare manufatti diventa sempre più difficile.
Kersel spera anche di riuscire a rintracciare il flusso di vasellame dell’Età del Bronzo diretto ai paesi confinanti come Israele, dove potrebbero riapparire con un’etichetta che li indica come “antico periodo Canaanita” o “dell’epoca dei profeti” per attirare compratori appassionati di cose bibliche.
Israele ha delle leggi molto restrittive per quanto riguarda il commercio dei manufatti trovati dopo il 1978, quando fu emanata la normativa che riguardava il patrimonio archeologico. Ma ciò non impedisce che antiquari con pochi scupoli retrodatino gli oggetti in cui vengono in possesso.
Monther Jamhawi, direttore generale del Dipartmento delle Antichità in Giordania, dice che la soluzione al problema dei saccheggi è l’applicazione delle norme già esistenti, e pene severe per chi rapina il patrimonio nazionale. Ma per quanto riguarda i droni, né il governo né gli archeologi hanno proposto – fino ad ora – di utilizzarli a scopo di sorveglianza, per proteggere il sonno degli antichi defunti.
Fonte:
http://www.nationalgeographic.it , 4 mag 2014