Caldo tropicale, una boscaglia infestata da serpenti e zecche. Il Giappone ha accolto così, nella maniera più inospitale, archeologi e archeometri (esperti di datazioni e di analisi su vari tipi di materiali) giunti dall’Italia per indagare una delle misteriose tombe a tumulo che si trovano nella Prefettura di Okayama: il ‘kofun’ Tobiotsuka.
Il progetto è finanziato dalla Commissione europea nell’ambito degli Horizon 2020 e si chiama BeArchaeo, Beyond Archeology, oltre l’archeologia. A voler significare che oltre allo scavo, per capire di più su questa tomba del VII secolo d.C. e, in generale, sulla storia del Giappone antico, saranno fondamentali proprio i risultati dello studio sui materiali rinvenuti.
La parte archeologica del progetto era affidata ai ricercatori dell’IRIAE, International Research Institute for Archaeology and Etnology di Napoli, guidati dallo yamatologo (esperto di civiltà giapponese) Daniele Petrella, mentre le analisi di laboratorio all’Università di Torino e alla sua spinoff TecnArt.
Chi era l’occupante del kofun? Come venivano realizzate queste tombe monumentali diffuse in tutto il Giappone (se ne contano oltre 160mila) nell’omonimo periodo?
Alcune delle domande cui il team italiano, supportato da colleghi greci e portoghesi dell’Università di Lisbona, oltre che dagli stessi archeologi nipponici guidati dal professor Akira Seike dell’Università di Okayama, stanno cercando di rispondere.
“Nel momento storico in cui fu costruito questo kofun il potere, in Giappone, era ormai accentrato nell’area di Kinki (odierna Nara)”, spiega Petrella, “quindi i potentati regionali erano in disarmo e anche le tombe, che rispecchiavano l’agonia dell’aristocrazia locale, erano via via sempre più piccole e di forma circolare”. Ma ad Okayama pare non fosse così…
“Dopo aver scavato la parte superiore della tomba a nord, sud e ad est, ci siamo resi conto che la struttura continuava in direzione ovest, sotto gli strati di terreno e fogliame. Dunque potrebbe trattarsi di uno zenpo koenfun, ovvero un kofun ‘a toppa di serratura’ (di forma semicircolare per metà e trapezoidale, svasata, per l’altra metà Ndr)”. Proprio come quello, gigantesco, dell’Imperatore Nintoku (IV secolo d.C.), iscritto quest’anno dall’UNESCO nella lista del Patrimonio mondiale.
Gli studiosi di BeArchaeo sanno bene che nella “loro” tomba non fu sepolto un regnante, ma un personaggio di alto rango probabilmente si. “Nella camera funeraria abbiamo trovato frammenti di spade, coltelli, frecce e poi varie perle di vetro, un corredo decisamente ricco che fa pensare ad un alto dignitario, forse il capo della comunità locale”, continua l’archeologo italiano. Purtroppo nessuna traccia, ancora, del sarcofago. La caccia è rinviata alla prossima missione, nel 2020.
Anche gli archeometri hanno avuto un gran da fare nei laboratori dell’Università di Okayama, dove hanno iniziato a studiare i materiali più interessanti rivenuti sul campo. Oltre a questi, anche campioni di terra che posso fornire preziose informazioni sull’evoluzione dell’ambiente circostante.
Un team di archeozoologi, infine, si è concentrato sui reperti provenienti dagli ancor più antichi siti di epoca Yayoi (300 a.C. – 250 d.C.) dell’area di Minamikata, l’antica Okayama. Attraverso l’analisi delle ossa di cinghiale e di altri animali, di piccoli oggetti di uso quotidiano o sacrale, si sta delineando una struttura sociale molto più complessa di quanto fino ad oggi immaginato dagli specialisti giapponesi. Duemila anni fa esistevano già tribù strutturate come piccoli stati autonomi.
Rimangono tante le ombre da fugare ma l’apertura di credito concessa dai nipponici ai colleghi italiani ed europei, cui è stato permesso di mettere le mani nella storia più intima del popolo giapponese, rappresenta un immenso successo diplomatico. A riprova del fatto che la sete di conoscenza può battere qualunque nazionalismo.
Testi e foto di Marco Merola
Fonte: nationalgeographic.it, 28 nov 2019