Quella incisa sul disco di Nebra è la più antica rappresentazione della volta celeste che si conosca. Secondo i ricercatori questa lastra di bronzo (chiamata Disco di Nebra dal nome della cittadina tedesca vicino alla quale è stata ritrovata) fu realizzata attorno al 1600 a. C. Le raffigurazioni sul disco non sono fatte a caso e nemmeno a mano libera, ma basate su rigorosi calcoli matematici che fanno intravedere una competenza astronomica di altissimo livello.
La sua importanza è stata sottolineata dal suo inserimento nella lista Memory of the World dell’Unesco, sottolineando che si tratta della più antica rappresentazione astronomica conosciuta.
Risalente al 1600 a.C., il manufatto di Nebra è un disco di bronzo di circa 32 cm di diametro, con sopra impresso un diagramma in oro dei cieli.
Il disco è stato realizzato verso la fine dell’Età del Bronzo da un popolo vissuto in Europa prima dell’arrivo dei Celti. Di fatto, è il più antico almanacco astronomico della storia umana.
Il reperto fu trovato vicino la cittadina di Nebra in Sassonia (Germania orientale) nel 1999 da due cacciatori di tesori, Henry Westphal e Mario Renner, in di una cavità in pietra all’interno di un antico bastione sulla cima del Mittelberg.
I due archeologi dilettanti trovarono due spade di bronzo, due asce, uno scalpello e frammenti di un bracciale a forma di spirale la cui datazione poteva essere fatta risalire attorno al I millennio a.C. Insieme a questi manufatti rinvennero anche un disco di bronzo su cui erano inserite alcune lamine in oro.
Il disco venne scambiato erroneamente per il coperchio di un secchio e fu venduto illegalmente per 32 mila marchi tedeschi. Dopo essere passato per diverse mani, nel 2002 venne offerto sul mercato nero per 700 mila marchi.
Su mandato del Ministero della Cultura e del Ministero degli Interni, e dell’Ente per l’Archeologia della regione del Sachsen-Anhalt che ne rivendicava la proprietà, l’archeologo Harald Meller, fingendosi un normale acquirente, fissò un appuntamento con i ricettatori, dove si presentò con la polizia elvetica.
Il disco, insieme ad altri reperti archeologici, venne in possesso delle autorità competenti. Dal 2002 è in possesso del il museo regionale della preistoria di Halle, in Sassonia-Anhalt, dove è esposto permanentemente dal 2008.
Come riporta il resoconto dettagliato offerto da Giuseppe Veneziano dell’Osservatorio Astronomico di Genova, successivamente sono state condotte approfondite indagini scientifiche sul luogo del ritrovamento. Gli studi non hanno ancora chiarito se la cavità in pie tra all’interno della quale il disco è stato rinvenuto, sia un’antica roccaforte o una camera sepolcrale.
Ma il luogo, la cima del Mittelberg, quando ancora la montagna non era stata ricoperta dall’alta vegetazione, potrebbe essere stato utilizzato nel Neolitico, probabilmente come osservatorio astronomico. Il sito si trova a circa 20 chilometri dall’osservatorio solare di Goseck.
Esso era costituito da un circolo del diametro di 75 metri, composto in origine da una collinetta circondata da una serie di quattro anelli concentrici, un fossato e, tutt’intorno, due palizzate realizzate con pali di legno dell’altezza di un uomo. L’interpretazione del sito di Goseck come osservatorio archeoastronomico assume particolare importanza, perché fa da sfondo alla scoperta del disco di Nebra.
Il disco di Nebra è stato principalmente esaminato dall’archeologo Harald Meller (Ente per l’Archeologia e la conservazione dei monumenti storici di Halle), dall’astronomo Wolfhard Schlosser (Università di Bochum) e dai chimici esperti in archeologia Ernst Pernicka (archeometallurgia), Heinrich Wunderlich (tecnica e metodo delle costruzioni) e da Miranda J. Aldhouse Green (Università del Galles), archeologa e studiosa delle religioni dell’età del Bronzo.
Secondo le loro interpretazioni, le placchette circolari più piccole rappresentano le stelle. Tra di esse spicca un gruppetto di sette placchette più ravvicinate che rappresenterebbero le Pleiadi, un ammasso stellare visibile a occhio nudo nella costellazione del Toro.
I due dischi maggiori, quello circolare e quello a forma di falce, rappresentano rispettivamente il Sole (ma potrebbe essere anche la Luna piena) e la Luna crescente.
Le linee curve incastonate sui bordi del disco dovevano rappresentare porzioni dell’orizzonte visibili dal sito in cui il manufatto è stato ritrovato.
Questa interpretazione è corroborata dal fatto che esse coprono un angolo di 82°, che è proprio la differenza angolare tra i punti di sorgere e tramonto del Sole sull’orizzonte, alla latitudine del luogo del ritrovamento, nei periodi compresi tra i solstizi d’estate e d’inverno.
Sul bordo del disco è presente un arco dorato che ricorda una barca a vela sul mare, interpretato come la “Barca del Sole”. Le piccole rientranze lungo ogni lato dell’arco potrebbero rappresentare i remi della nave. Molti popoli dell’antichità immaginarono il Sole in viaggio da levante a ponente a bordo di una nave speciale.
Secondo l’archeologa Miranda Aldhouse Green, il disco racchiude i simboli di un tema profondamente religioso come il sole, l’orizzonte per i solstizi, la barca del sole, la luna ed altri esemplari particolari di stelle: le Pleiadi. Gli artefici hanno voluto sicuramente raggruppare tutti gli altri simboli di culto venuti alla luce anche in diverse regioni europee; esso fa parte quindi di un complesso sistema religioso diffuso in tutta Europa; forse indica un messaggio religioso.
Infine, sul bordo del disco sono impressi con estrema precisione 40 fori di circa 3 mm. Lo scopo dei fori laterali non è chiaro; probabilmente servivano a fissarlo, cosa che fa pensare ad un utilizzo del disco anche come oggetto di culto.
Se il disco fosse stato concepito come uno strumento astronomico, l’unica cosa che risulta accurata è la coppia di archi. Posizionando il disco su un piano orizzontale, sarebbe potuto essere utilizzato per esaminare la posizione di alba e tramonto. In alternativa, il disco sarebbe potuto essere uno strumento didattico, destinato a svelare i misteri del cielo notturno a gruppi di iniziati, forse futuri sciamani.
Ad ogni modo, il disco di Nebra rappresenta un artefatto unico nel suo genere, in grado di stabilire con certezza che i cosiddetti popoli primitivi avevanpo una conoscenza avanzata dei cieli. A differenza di siti come Newgrange (3200 a.C.) e Stonehenge (2000 a.C.), il disco di Nebra è il primo almanacco astronomico portatile della storia umana e dimostra che la conoscenza dei cieli non era limitata alle sole popolazioni britanniche, ma era diffusa in tutta l’Europa del secondo millennio a.C.
Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it, 25 apr 2014