Recensione
Il testo, che qui si recensisce, nasce e si sviluppa in numerosi anni di ricerca, dalla fine degli Anni Settanta del secolo scorso. A quest’epoca molti testi di bizantinistica, dalle fonti fino alla stessa letteratura su Bisanzio, non erano di facile accesso. Solo a partire dagli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria proliferazione di pubblicazioni dedicate a Bisanzio. E se quest’opera, L’Italia meridionale peninsulare nella storiografia bizantina (secc.VI-XIV), può presentare qualche piccolo pregio, esso consiste nel costante e continuo riferimento a tutte le fonti storiografiche e cronachistiche bizantine dal VI al XIV secolo, che contengono notizie sulle vicende lunghe e complesse dell’Italia meridionale peninsulare nel periodo bizantino. Non è stato tralasciato nemmeno un autore bizantino.
Il quadro dell’Italia meridionale peninsulare, durante il periodo bizantino, che ne scaturisce è quello di un’area strategica fondamentale nel complesso ed estenuante gioco diplomatico, militare e geopolitico dell’Impero Romano d’Oriente. Questa area si configura come lembo estremo dell’Occidente bizantino.
Con alterne vicende, il pendolo del potere bizantino si orienta sempre più verso le rilevanti e importanti regioni microasiatiche d’Oriente, mentre la provincia bizantina d’Italia, ovvero l’estremo Occidente bizantino almeno fino all’XI secolo, continua, malgrado tutto, ad assumere ed a svolgere un ruolo sempre più dinamico nella prospettiva globale e mediterranea dell’Impero romano d’Oriente. Se l’Oriente rimane il caposaldo strategico dell’Impero romano d’Oriente, l’Occidente italo-meridionale, esclusa Venezia che, percorrerà una sua via divergente, rimane l’unico e ultimo baluardo occidentale dell’Impero. Esso, l’Italia meridionale peninsulare, malgrado tutto ed in ogni caso, diviene la sentinella avanzata, l’osservatorio privilegiato e la piattaforma mobile e strategica di Bisanzio da cui lanciare e sviluppare qualsiasi iniziativa diplomatica e militare nei confronti di intrusi nord-europei o arabo-africani in cerca di conquiste. La posizione centrale nel Mediterraneo della provincia italo-meridionale consente ai Romani d’Oriente di sbarrare il passo a qualsiasi tentativo di aggressione egemonica tendente al monopolio del bacino del Mediterraneo e soprattutto delle sue rotte marittime.
Durante il Medioevo e per lo meno fino all’XI secolo, malgrado intrusioni longobarde, franche, arabe e normanne, la grecità del Sud non solo conservò la sua lingua, il greco, il suo rito religioso, quello greco-ortodosso, le sue tradizioni e istituzioni romano-orientali, ma sperimentò ed aggiornò le sue strutture economiche ed amministrative all’ombra possente del Basileus costantinopolitano.
Le prerogative della piccola e media proprietà contadina di origine greco-romana ebbero un ritorno di fiamma e furono adeguatamente preservate da un potere attento e consapevole dell’intima interconnessione tra salvaguardia della cellula sociale ed economica di base costituita dalla libera proprietà contadina, coesione sociale, consenso politico e stabilità, conservazione ed espansione territoriale marittima di confini e sfere d’influenza “magno-greche” e mediterranee.
Più volte gli strateghi bizantini, lasciati spesso a gestire in modo autonomo, in assenza di risorse adeguate, politiche volte a contrastare piani, alleanze e coalizioni dei nemici nei temi peninsulari ed insulari dell’Italia bizantina, trascinati da inevitabili ed ineluttabili eredità storiche e da congenite e oggettive tendenze geo-strategiche, si lasciarono coinvolgere ed invischiare nel tentativo di costruzione e costituzione di un Regno neo-greco del Sud.
Certo non sempre tali tentativi furono del tutto scevri da consistenti aiuti dei nemici dell’Impero romano-orientale, ma, comunque, pur nei loro sistematici e non prevedibili fallimenti, essi riprendevano e riconfermavano caratteristiche linee evolutive di una politica tendenzialmente “nazionale” e mediterranea dove l’elemento ellenico e neo-ellenico continuava a giocare un ruolo fondamentale e strategico.
L’incontro e lo “scontro” di civiltà, che si verifica nell’Estremo Sud della Penisola, è un processo di globalizzazione medievale guidato più che imposto dalla capitale dell’Impero Romano d’Oriente, Costantinopoli, quello che alcuni storici hanno chiamato un processo di bizantinizzazione. Alla fine di tale processo storico gli stessi dominatori dell’Italia meridionale, i Romani d’Oriente, si sono ritrovati un ecoambiente antropico del tutto diverso da quello che forse avevano immaginato e progettato. Latini, Longobardi, Arabi, Armeni, Siri, Slavi, Ebrei, Franchi, Normanni e Greci in quello che i bizantinisti definiscono il “Catepanato d’Italia”, ovvero l’ultima provincia bizantina d’Italia, globalizzano e “cosmopolitizzano” ulteriormente una provincia, quella italo-meridionale, a sua volta integrata in uno degli Imperi, quello romano orientale, più meticciato e creolizzato della Storia.
Il pendolo della Storia orienta il “Catepanato d’Italia” verso le sponde orientali dell’Impero bizantino, incorporando, rielaborando e metabolizzando influssi persiani, indiani e cinesi, mediati dall’Impero di Mezzo euro-asiatico. E non sono solo influssi culturali, ma anche economici e tecnologici che rendono la provincia italo meridionale bizantina nel panorama desolante di un’Europa ancora stagnante e in riflusso un faro di civiltà.
Il cosmopolitismo italo-bizantino, erede dell’ellenismo greco-romano e del libero scambismo mercantile e culturale del lago mediterraneo, ritrova la sua più degna ed evidente espressione nella riproposizione e nella riformulazione dell’universalismo giuridico romano, accompagnato e sostenuto da un cristianesimo ortodosso altrettanto universalistico e soprattutto partecipativo.
Gennaro Tedesco, L’Italia meridionale peninsulare nella storiografia bizantina (secc.VI-XIV), Spolia, Roma, 2010, pp.164, euro 21.